Marine Le Pen non ha mai avuto così tanto potere
La politica francese ruota sempre più attorno alle decisioni della leader dell'estrema destra, che si è ripresa spazi che fino a poco tempo fa sembrava avere perso
Mercoledì i deputati del partito di estrema destra del Rassemblement National (RN) sono stati fondamentali per far cadere il governo di minoranza di Michel Barnier, e ci sono buone possibilità che continueranno a essere decisivi anche nelle prossime settimane. Giovedì infatti il presidente Emmanuel Macron ha annunciato che indicherà un nuovo primo ministro, che molto probabilmente dovrà fare i conti con l’appoggio che sarà disposto a dargli il RN.
Le vicende degli ultimi giorni hanno mostrato in maniera chiara il grado di influenza che Le Pen ha ormai acquisito nella politica francese, dopo anni passati all’opposizione. «Le Pen non è mai stata così potente», titolava qualche giorno fa l’agenzia Bloomberg.
Negli ultimi anni in effetti il Rassemblement National è diventato un partito sempre più difficile da ignorare. Alle elezioni europee di giugno del 2024 era arrivato primo con il 31,4 per cento dei voti, il doppio di quelli presi dall’alleanza centrista guidata da Macron. Nella sua storia – iniziata negli anni Ottanta col padre di Marine, l’estremista di destra Jean-Marie Le Pen – non aveva mai superato il 30 per cento in nessuna delle elezioni a livello nazionale a cui si era presentato.
Alle elezioni legislative che si erano tenute subito dopo le europee era arrivato terzo, ma in gran parte perché il centro e l’alleanza di sinistra del Nuovo Fronte Popolare si erano alleati con l’esplicito scopo di impedirgli di vincere in molti collegi. Era comunque riuscito a far eleggere 142 deputati, quasi il doppio di quelli eletti nel 2022 – in cui aveva ottenuto il miglior risultato della sua storia alle legislative, fino a quel momento – e 134 in più di quelli eletti nel 2017. Inoltre era stato di gran lunga il partito più votato: al secondo turno aveva preso da solo circa tre milioni di voti in più della coalizione di sinistra e di quella centrista.
Questi risultati erano stati attribuiti a un’operazione di moderazione delle posizioni più estreme del partito per ingraziarsi l’elettorato meno radicale, oltre a un’efficace campagna elettorale del presidente del RN, Jordan Bardella. Sembrava che Bardella, che ha solo 29 anni, potesse oscurare Le Pen, di cui è considerato il naturale successore, ma le cose poi sono andate un po’ diversamente.
Bardella è stato rieletto al Parlamento Europeo ed è stato nominato capogruppo del gruppo di estrema destra dei Patrioti per l’Europa: negli ultimi mesi ha spostato quindi le sue attenzioni dalla politica francese a quella europea, e ha permesso a Le Pen di riprendersi gli spazi che non aveva più.
– Leggi anche: Due leader, un unico partito
Negli ultimi mesi però alla centralità di Le Pen non era corrisposta un’influenza paragonabile.
A settembre Le Pen aveva accolto positivamente la nomina di Michel Barnier, definendolo «una persona rispettosa delle diverse forze politiche» che non aveva mai «ostracizzato» il suo partito: si era quindi detta favorevole a collaborare con lui. Il principale quotidiano di sinistra francese, Libération, aveva messo in copertina una foto di Barnier con la scritta «Approvato da Marine Le Pen».
Questa vicinanza non era stata ben accolta da alcuni esponenti di Rassemblement National, né dai suoi elettori storici, che l’avevano vista come una parziale alleanza con Macron. Le Pen e Bardella avevano cercato di rassicurarli dicendo che si trattava di un’alleanza “strategica”: il governo di minoranza di Barnier aveva bisogno dei voti del RN per governare, e questo avrebbe permesso loro di chiedere in cambio l’approvazione di alcune leggi, fra cui quelle nell’ambito migratorio.
Dopo poco però era diventato chiaro che Barnier non avrebbe ceduto su molti aspetti della sua legge di bilancio, che prevedeva tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse per frenare l’aumento preoccupante del debito pubblico francese.
Diversi deputati del Rassemblement National avevano iniziato a spingere Le Pen a essere più dura con Barnier. Jean-Philippe Tanguy, deputato di RN, aveva per esempio detto che se il partito avesse avuto un «mandato imperativo» dai suoi elettori, Rassemblement National avrebbe dovuto votare la sfiducia al governo «da molto tempo». Le Pen ha infine deciso di seguire questa strada, verosimilmente anche perché delusa dalla scarsa influenza avuta su Barnier.
Sia Le Monde che Mediapart hanno scritto che il comportamento di Le Pen è stato probabilmente influenzato anche da un processo in corso. Insieme ad altri dirigenti del partito, Le Pen è accusata di avere usato i fondi pubblici del Parlamento Europeo in modo improprio per pagare i propri assistenti parlamentari. La procura di Parigi ha chiesto che Le Pen venga condannata a cinque anni di carcere e anche all’ineleggibilità (cioè il divieto di candidarsi o ricoprire cariche pubbliche).
Se questo avvenisse, anche senza la condanna alla detenzione, per Le Pen sarebbe impossibile presentarsi alle elezioni presidenziali del 2027, a cui Macron non può candidarsi essendo già stato presidente due volte di fila. Le Pen si era candidata e aveva perso al ballottaggio contro Macron sia nel 2017 che nel 2022.
Le Monde ha suggerito che Le Pen potrebbe aver sfiduciato Barnier ad appena tre mesi dal suo insediamento anche per spingere Macron a dimettersi, nonostante lui abbia escluso più volte questa possibilità. In questo scenario in teoria in Francia si potrebbero tenere elezioni presidenziali anticipate prima della fine del processo contro Le Pen, la cui sentenza è attesa per marzo 2025.
– Leggi anche: Che opzioni ha ora Macron