L’esercito di Assad sta collassando in diverse regioni della Siria
Non solo a nord, dove i gruppi armati sono arrivati alla città di Homs, ma anche a est, dove stanno avanzando i curdi, e a sud di Damasco
Dopo Aleppo e Hama, i gruppi armati siriani provenienti da nord sono arrivati alla periferia della città di Homs senza quasi sparare un colpo, perché i soldati del regime del presidente Bashar al Assad si sono ritirati dalle loro postazioni attorno alla città nelle prime ore della mattina. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani le truppe siriane hanno lasciato anche la città, ma il ministero della Difesa siriano smentisce e dichiara che sono ancora al loro posto.
Fonti locali sostengono che i soldati a Homs starebbero trattando con gli insorti la possibilità di una ritirata pacifica, ma anche che il regime starebbe ritirando soldati da altre regioni per mandarle a rafforzare la guarnigione della città. Homs è una città strategica per accelerare o fermare la rivoluzione, perché è ben collegata alla capitale Damasco.
Dopo Homs la prossima tappa dell’avanzata dei ribelli sarebbe subito la capitale Damasco, 160 chilometri più a sud, e i suoi due luoghi simbolo: la grande piazza centrale degli Omayyadi, dove si affacciano i palazzi del comando di tutte le forze militari siriane e l’edificio della tv di stato siriana, e il palazzo di Assad, che invece per prudenza è sempre stato sul monte Qassioun, separato dalla città, e domina tutti i quartieri di Damasco.
I gruppi armati guidati da Hayat Tahrir al Sham (Hts) hanno percorso finora circa 140 chilometri. A ogni fase dell’avanzata la resistenza delle truppe che dovrebbero difendere il presidente Assad è diventata sempre più debole, fino a sparire del tutto in alcuni casi. Molti reparti non stanno più scommettendo sulla resistenza a oltranza del regime e si stanno rifiutando di sparare.
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Ai soldati che abbandonano le loro postazioni non mancano le armi per provare a fermare i gruppi ribelli. A mancare è la volontà di combattere, e a dispetto della propaganda manca anche la convinzione che il regime di Assad sia eterno e da solo basti alle necessità di ogni siriano. «Assad, Siria, Allah e basta», come dice un motto del regime.
A sud della capitale, nella regione di Daraa dove nel 2011 cominciò la rivoluzione contro Assad, i gruppi di siriani che in questi anni avevano cessato la lotta armata sono diventati di nuovo attivi e stanno occupando piccoli centri abitati, strade e posti di blocco. Secondo gli accordi con il regime, avrebbero dovuto rinunciare per sempre a ribellarsi e in cambio le truppe di Assad non li avrebbero perseguitati, uccisi oppure fatti prigionieri. Ora però stanno combattendo di nuovo: vuol dire che sono convinti di poter rompere gli accordi senza conseguenze. Anche a Daraa molti reparti militari fedeli al presidente hanno abbandonato le loro posizioni.
Dall’altra grande provincia del sud in Siria, al Suwayda, arrivano video che mostrano i ribelli dentro il comando generale della polizia e mentre strappano immagini di Bashar al Assad e di suo padre Hafez dalla facciata dell’edificio.
Nell’est, dall’altra parte del paese, i soldati di Assad stanno lasciando anche la città di Deir Ezzor e le milizie curde stanno occupando le posizioni vuote. I curdi controllano un pezzo di territorio nel nord della Siria, il Rojava, e in questi anni hanno preso una posizione neutrale: non stanno con i ribelli e non stanno con Assad. Ora però è diverso.
A vedere i movimenti su una mappa, la situazione è senza precedenti: mentre il gruppo Hayat Tahrir al Sham occupa le città siriane a occidente, i curdi siriani hanno deciso di approfittare dello sbandamento di Assad per fare lo stesso a oriente. È un’occasione per ridisegnare tutti i confini interni.
Libano e Giordania hanno annunciato la chiusura temporanea dei confini con la Siria, perché potrebbero finire sotto il controllo dei gruppi armati nelle prossime ore.
Una parte degli assadisti è consapevole che non può limitarsi soltanto a deporre le armi, perché in questi anni ha represso in modo troppo brutale le ribellioni e adesso che la situazione si sta ribaltando potrebbe diventare vittima di rappresaglie spietate. Per questo motivo potrebbero succedere due cose. La prima è che i soldati continueranno a cedere città e territorio ai gruppi ribelli. La seconda è che potrebbero organizzarsi per difendere a oltranza alcune aree specifiche: la città di Latakia, sulla costa, che da sempre è abitata da sostenitori ferventi di Assad, oppure la capitale Damasco. Magari in attesa che arrivi qualche intervento dall’esterno, anche se in queste ore non si vede chi potrebbe fermare l’avanzata dei ribelli.
Dal 2011, quando cominciò la rivoluzione contro Assad, l’idea che i ribelli potessero partire da nord, dove erano più forti, vincere tutte le battaglie intermedie nella Siria centrale e arrivare fino alla capitale è sempre sembrata poco plausibile, ma è quello che sta succedendo da nove giorni. Da nord e da sud i miliziani anti Assad convergono su Damasco. L’obiettivo finale, come ha detto in un’intervista a Cnn Abu Mohammad al Jolani, il leader di Hayat Tahrir al Sham, è «rovesciare il regime di Assad».