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  • Venerdì 6 dicembre 2024

Nel 2025 sentiremo parlare molto di cassa integrazione

Stellantis, che negli ultimi tre anni ha ricevuto dall'INPS 700 milioni di euro, la chiederà ancora per migliaia di dipendenti; e nell’indotto va anche peggio

di Isaia Invernizzi

Lo sciopero dei lavoratori del settore dell'auto, lo scorso ottobre
Lo sciopero dei lavoratori del settore dell'auto, lo scorso ottobre (Marco Di Gianvito/ZUMA Press Wire)
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Dall’11 dicembre all’8 gennaio i lavoratori dello stabilimento di Stellantis a Pomigliano d’Arco, vicino a Napoli, saranno in cassa integrazione o in ferie forzate perché si fermerà la catena di montaggio della Panda. Gli operai dello stabilimento di Mirafiori, vicino a Torino, sono già in cassa integrazione dal 2 dicembre e rimarranno a casa almeno fino all’8 gennaio. A Melfi, in Basilicata, si lavorerà solo due giorni a settimana e su un unico turno fino al 23 dicembre, quando la produzione si fermerà almeno fino all’Epifania. Nello stabilimento di Atessa, in Abruzzo, 1.500 persone sono già in cassa integrazione.

I lavoratori e i sindacati temono che tutto questo sia solo il preludio di un anno, il 2025, in cui sentiremo parlare molto di cassa integrazione e di rischio licenziamenti.

Nel 2024 dagli stabilimenti italiani di Stellantis sono usciti molti meno veicoli rispetto agli ultimi anni, soprattutto meno auto. L’azienda ha giustificato le chiusure con il calo delle vendite in Italia e in Europa. Mancano tre settimane alla fine dell’anno: ai ritmi tenuti negli ultimi mesi, al 31 dicembre saranno prodotti in totale circa 500mila veicoli. Nel 2023 ne erano stati prodotti molti di più, 752mila, di cui 521mila auto. Questi dati aiutano a comprendere meglio la dimensione della crisi occupazionale: il calo della produzione, infatti, è correlato alla richiesta di cassa integrazione perché meno auto vengono costruite, meno dipendenti lavorano.

Nonostante negli ultimi mesi molti di loro – circa 3.800 – abbiano accettato gli incentivi al licenziamento proposti da Stellantis, negli stabilimenti italiani lavorano ancora poco più di 40mila persone tra operai e impiegati. Nei periodi in cui la produzione è intensa, sono addirittura poche. Stellantis ha promesso più volte che sarebbe tornata a produrre almeno un milione di veicoli entro il 2030, ma finora l’azienda non ha rispettato molte delle promesse fatte e sia il governo che i sindacati lo considerano un obiettivo difficilmente realizzabile.

Dopo le dimissioni dell’amministrazione delegato di Stellantis, Carlos Tavares, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che il governo difenderà l’occupazione e l’indotto di Stellantis. Per indotto si intendono le persone che lavorano nelle aziende esterne: i loro affari dipendono quasi esclusivamente da Stellantis a cui forniscono sedili, tettucci, filtri dell’aria, filtri dell’olio e centinaia di altri componenti.

Sono anche le prime ad accorgersi che le cose vanno male. All’inizio del 2023 alla Lear di Grugliasco, vicino a Torino, iniziarono ad arrivare molti meno ordini da Stellantis in previsione della chiusura dello stabilimento AGAP, acronimo di Avvocato Giovanni Agnelli Plant, aperto nel 2013 e poi messo in vendita lo scorso anno. Tre settimane fa i sindacati hanno chiesto di rinnovare almeno fino al settembre del 2025 la cassa integrazione straordinaria in scadenza per i 380 lavoratori, che altrimenti sarebbero licenziati.

Un caso simile riguarda la Trasnova di Pomigliano, azienda di logistica a cui Stellantis non ha rinnovato il contratto di fornitura. Venerdì la proprietà ha inviato lettere di licenziamento ai circa 400 lavoratori, che dalla fine di novembre hanno organizzato un sit-in permanente davanti allo stabilimento di Stellantis. Nei prossimi mesi, dicono i sindacati, bisogna attendersi decine se non centinaia di crisi simili.

Il presidio dei lavoratori di Transnova, a Pomigliano d'Arco

Il presidio dei lavoratori di Transnova, a Pomigliano d’Arco (ANSA / CESARE ABBATE)

La difesa promessa da Meloni consiste nell’estensione della cassa integrazione. Il suo scopo dovrebbe essere proteggere i posti di lavoro durante crisi passeggere attraverso un sussidio economico gestito dall’INPS, ma negli ultimi anni è stata spesso utilizzata per ritardare il più possibile i licenziamenti. Il sussidio viene finanziato con contributi pagati da tutte le aziende e può essere parziale, quando i lavoratori subiscono soltanto una riduzione dell’orario di lavoro, oppure totale, se i lavoratori vengono lasciati a casa: in questo secondo caso si chiama “cassa integrazione a zero ore”.

Una volta concessa, la cassa integrazione viene pagata direttamente al lavoratore dalla sua azienda (che riceve poi un conguaglio da parte dell’INPS) oppure, se l’azienda si trova in particolari difficoltà, il pagamento viene fatto direttamente dall’INPS. Dal 2014 al 2020 l’allora FCA chiese la cassa integrazione per circa 446 milioni di euro, di cui 253 garantiti dall’azienda. Dal 2021 al maggio del 2024 la spesa per la cassa integrazione è cresciuta a 980 milioni di euro, di cui 700 milioni messi dall’INPS e 280 a carico di Stellantis.

Spesso le discussioni sulla cassa integrazione riguardano appunto i numeri, i soldi, dimenticando quali siano le conseguenze per i lavoratori e le lavoratrici. Maria Epifania, che tutti conoscono come Mery, fu assunta nello stabilimento di Mirafiori nel 1997 insieme ad altre mille persone. Dalla sua postazione nella catena di montaggio ha visto passare la Panda, la Multipla, la Marea, la Mito, la Musa e molti altri modelli. La prima volta che sentì parlare di cassa integrazione fu 17 anni fa e da allora quasi ogni anno è stata costretta a casa per diversi mesi. Tra il 2011 e il 2013, durante l’era di Sergio Marchionne, non ha mai lavorato.

Nel 2024 è stata in cassa integrazione da aprile ad agosto, poi una settimana a settembre e tutto il mese di ottobre. A novembre ha lavorato nove giorni, ora è ancora a casa almeno fino all’8 gennaio. «Stare in cassa integrazione vuol dire perdere circa 500 euro di stipendio al mese. Mi rimangono tra i 1.000 e i 1.100 euro», dice Epifania. «Fuori da Mirafiori la vita va avanti: il mutuo, le bollette, le tasse, la spesa. I costi aumentano. Ogni giorno devo capire come arrivare a fine mese, è una costante che non mi abbandona mai. A 50 anni mi ritrovo a chiedere aiuto ai genitori. Pensavo che a questa età avrei dovuto aiutarli io».

Un lavoratore nello stabilimento di Stellantis a MIrafiori

Un lavoratore nello stabilimento di Stellantis a Mirafiori (ANDREA DI MARCO/Ansa)

Molti altri colleghi vivono condizioni simili, se non peggiori: nello stabilimento di Mirafiori lavorano molte coppie che stanno affrontando una doppia riduzione dello stipendio. L’età media è molto alta e le prospettive date da Stellantis sono incerte. Tavares aveva promesso di portare lì la produzione della 500 ibrida a partire dal settembre del 2025, ma con le sue dimissioni bisognerà capire se il piano sarà confermato. «Marchionne non l’ho mai stimato, ma almeno lui aveva le idee chiare, ora qui non si fa altro che parlare di quanto tempo passerà prima che la fabbrica chiuda», dice Enzo Palomba, anche lui in catena di montaggio.

Tra le altre cose, essere in cassa integrazione significa non poter fare programmi perché devi stare a disposizione dell’azienda. La chiamata in servizio può essere fatta anche il giorno prima. «Quando si torna al lavoro i ritmi sono più serrati e l’età avanza: il lavoro in catena di montaggio è duro, non ci si ferma mai», dice Palomba.

Piero Calenda, che lavora alla catena di montaggio della Maserati, si ritiene fortunato perché la moglie non lavora nel settore dell’auto. «Viviamo giorno per giorno. Io dovrei rientrare l’8 gennaio, ma non ne sono certo. Quando sono in cassa integrazione devo tirare la cinghia, molti colleghi sono costretti a rinunciare al dentista o a curarsi. Sono anni che va avanti così e non ci aspettiamo molto di meglio nei prossimi mesi».

La situazione più critica riguarda i 250 lavoratori chiamati delle “ex mascherine”, cioè coloro che nel 2020 furono inviati al reparto destinato alla produzione di mascherine durante l’emergenza coronavirus. All’epoca la struttura commissariale guidata dal generale Francesco Figliuolo commissionò a Stellantis una produzione da 27 milioni di mascherine al giorno, con un contratto da 240 milioni di euro. Le mascherine furono distribuite a insegnanti e studenti in tutte le scuole italiane. L’accordo si chiuse nel 2021 dopo che il ministero segnalò diversi lotti non conformi.

Nel reparto lavoravano 500 persone “con ridotte capacità lavorative”, acciaccati dall’età e da problemi di salute dovuti al lavoro ripetitivo in catena di montaggio. Metà di loro si è dimessa: c’è chi è andato in pensione, chi ha accettato gli incentivi al licenziamento. Circa 250 lavoratori sono rimasti in cassa integrazione per due anni, così a lungo che i sussidi stanno per scadere. I sindacati hanno chiesto un incontro urgente a Stellantis per chiedere l’estensione degli ammortizzatori sociali. Finora l’azienda non ha fatto sapere cosa intende fare di queste persone, che senza cassa integrazione rischiano il licenziamento.