Da più di due anni l’Irlanda dà un sussidio agli artisti, e funziona
È di 325 euro alla settimana, ha cambiato la carriera a molti di loro ma non si sa se sarà confermato oltre agosto
Nell’agosto del 2022 il governo irlandese ha iniziato a dare 325 euro alla settimana a duemila artisti, estratti a sorte tra quelli che si erano candidati per partecipare a un progetto sperimentale. Il progetto si chiama Basic Income for the Arts (BIA), “reddito di base per le arti”, ed è stato un successo. Scadrà ad agosto dell’anno prossimo, e ancora non si sa se verrà confermato dal governo che si deve ancora formare dopo le elezioni di venerdì scorso.
In un paese che vive un momento particolare di coolness – con Sally Rooney nella letteratura, Paul Mescal nel cinema e i Fontaines D.C. nella musica, per fare qualche nome – il settore culturale si sta mobilitando perché questo reddito venga confermato, e se possibile esteso. Una petizione online che lo chiede ha già più di 10mila firme.
Lo scrittore Conor Matthews faceva i turni notturni nell’hotel di un pub, prima di ricevere la mail del dipartimento della Cultura e delle Arti che lo informava di essere stato selezionato. Ora può dedicarsi a tempo pieno alla professione di scrittore, e ha ottenuto risultati incoraggianti. Ha trovato i finanziamenti per due serie audio: un podcast e una raccolta di poesie. Poche settimane fa una sua commedia breve è stata recitata al Teatro civico di Dublino.
Matthews racconta di essere stato a lungo disoccupato, prima. «Potranno esserci voluti tre anni, ma oggi sono in una posizione migliore. È ironico perché in passato ho ricevuto l’assistenza sociale per nove anni, e non ne era venuto fuori niente», dice in una caffetteria di Dublino. Era costretto ad andare in centri per l’impiego dove riempiva moduli per candidature che avrebbe potuto compilare a casa. Ai tempi dei turni notturni era stravolto: oltre alla sua vita creativa, ne aveva risentito anche quella privata.
Ci sono report semestrali, basati sui sondaggi tra i duemila artisti e un confronto con un gruppo di controllo di mille (pescati tra gli oltre 9mila che si erano candidati), che hanno documentato un miglioramento delle condizioni di vita e della salute mentale di chi riceve il BIA. L’aspetto economico resta ovviamente centrale per un settore molto precario, non solo in Irlanda, dove ci sono differenze di reddito significative tra la minoranza di artisti che ha avuto un successo commerciale e tutti gli altri.
Per esempio, una delle domande dei primi questionari era una cosa tipo “Puoi permetterti un giaccone per l’inverno?”. Con il BIA, è aumentata la percentuale delle risposte positive. «Ci vendiamo come un paese di artisti e poi eravamo in una situazione di dover chiedere loro se potessero avere un cappotto d’inverno», ricorda Angela Dorgan, la direttrice di First Music Contact (la principale associazione di settore della musica pop irlandese) che è stata nel gruppo del governo creato per sostenere gli artisti durante la pandemia di Covid-19 e una delle protagoniste della campagna per introdurre il BIA.
Dorgan racconta di una band che adesso ha un contratto con un’importante etichetta statunitense, ma era stata sul punto di sciogliersi quando uno dei componenti faticava a permettersi i soldi per il biglietto del bus con cui andava alle prove.
Il progetto è anonimo, per evitare un effetto distorsivo sul mercato, ma tra i selezionati ci sono più di 700 artisti visivi, 584 musicisti, 204 lavoratori del cinema e 184 scrittori, oltre a persone impegnate nel teatro, nella danza e nell’architettura. Tra i criteri per partecipare c’erano: avere una produzione documentata e mostrare di avere delle entrate legate a essa.
C’è stato poi un effetto positivo sulla qualità. Per Matthews poter dedicare più tempo alla scrittura, poterci provare davvero, ha migliorato la qualità della sua produzione e reso possibili risultati che resteranno nel suo curriculum. Gearoid O’Dea è un artista visivo, e anche per lui il BIA ha fatto la differenza. Recentemente ha esposto a Berlino e alla mostra annuale della Royal Hibernian Academy of Arts, una delle più prestigiose di Dublino e quindi d’Irlanda.
Senza il BIA, O’Dea non avrebbe avuto tempo per candidarsi ai bandi, né soprattutto per realizzare opere più ambiziose. «Prima avevo un lavoro a tempo pieno, ora ne ho uno più flessibile. Il programma mi ha consentito di ridurre le ore al punto in cui posso avere l’arte come focus principale», racconta nel suo studio in un garage nella zona di Rathmines, nel sud della capitale.
O’Dea ha comunque dovuto mantenere un altro lavoro, da manutentore, perché Dublino è talmente costosa che altrimenti era impossibile restarci. Peraltro, dice, in città mancano anche spazi per l’arte contemporanea.
Tre degli artisti del collettivo Glue Factory, di cui fa parte O’Dea, hanno avuto accesso al reddito. C’è una grossa differenza tra loro e gli altri, che sono incastrati in lavori full-time e partecipano a meno bandi, producono e vendono meno opere. Per O’Dea il lato commerciale è secondario su quello espressivo, ma avere più tempo ha significato poter esplorare nuove soluzioni creative. Per esempio il mix tra acquerelli e pastelli con cui lumeggia – cioè rende su carta il fascio di luce dei soggetti – sui fogli Fabriano appesi e appoggiati nel suo studio. In assenza del BIA, O’Dea si sarebbe probabilmente concentrato su cose più immediate e veloci da finire.
I sostenitori del programma lo descrivono come un investimento. Il governo l’ha finanziato con 105 milioni di euro, aumentati nell’ultima legge di bilancio: un’inezia rispetto al surplus del bilancio statale, dovuto alle tasse delle multinazionali che hanno spostato la sede in Irlanda per ragioni fiscali, che per il 2024 varrà 8,6 miliardi di euro (il PIL nazionale è di circa 500 miliardi di euro). In media i suoi beneficiari hanno investito 550 euro al mese nella loro attività artistica, oltre a pagare le tasse sui profitti che fanno.
«Non è un’elargizione», insiste Dorgan. Fa l’esempio di artisti che scritturano musicisti per sessioni che altrimenti non avrebbero avuto le risorse per fare; che assumono fotografi, oppure noleggiano uno studio invece che registrare in casa. «I soldi che ricevono vengono reinvestiti nel settore». Dorgan ricorda il ruolo di Catherine Martin, la ministra della Cultura uscente. Fu Martin a proporre il BIA e a farlo accettare ai partiti centristi Fine Gael e Fianna Fáil, che resteranno al governo, a differenza di quello di Martin (i Verdi) che non è stata rieletta in parlamento.
Durante la campagna elettorale, tutte le forze politiche hanno detto di essere favorevoli a prorogare il reddito. «Si spera che il governo sarà nella posizione in cui sarà più impopolare rimuoverlo che mantenerlo, ma vedremo», dice O’Dea. «Penso che se nel Ventunesimo secolo non sostieni gli artisti, non hai il diritto di definirti una democrazia. Sei solo un’economia, sennò», conclude Dorgan. Programmi come il BIA o per l’equa remunerazione delle professioni creative, secondo lei, sono essenziali perché continui il grande momento dell’industria culturale irlandese a livello globale.
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