Il centro per migranti costruito dall’Italia a Gjader per ora serve solo a chi vive a Gjader
È vuoto e inutilizzato, ma ha creato un'ottantina di posti di lavoro in un luogo dove altrimenti non c'è niente
La costruzione da parte del governo italiano di un grosso centro per migranti a Gjader, un piccolissimo centro abitato nell’entroterra albanese, sta cambiando in parte le abitudini degli abitanti.
Il centro per migranti è enorme ed è composto da tre blocchi principali: un centro di trattenimento con 880 posti, un centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) da 144 posti e un carcere da 20 posti. È stato costruito a meno di cinque minuti di auto dalla zona abitata di Gjader, in un’area pianeggiante in mezzo alle montagne. Gjader è un posto desolato: ha case a uno o due piani, qualche bar e supermercato, una scuola, una chiesa. Negli ultimi decenni si è gradualmente spopolato e oggi non esiste un dato preciso su quanti abitanti abbia: verosimilmente qualche centinaio.
Aleksandër Preka, una sorta di rappresentante formale degli abitanti di Gjader (che non è un comune, ma fa parte della municipalità di Lezhe), dice che «il paese è molto contento» della presenza dei centri, soprattutto perché questi stanno dando lavoro a «più o meno 80 persone» di Gjader e delle città circostanti. Sono stati assunti come addetti alle pulizie o operai, e continuano a lavorare anche adesso che i centri sono vuoti: «Sorvegliano gli edifici, fanno lavori edilizi».
Preka dice che le persone di Gjader vogliono che il centro per migranti rimanga aperto e funzionante, in modo che le persone assunte di recente non perdano il lavoro.
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Solo qualche mese fa, quando il progetto era stato presentato, le opinioni erano piuttosto diverse: molte persone di Gjader erano contrarie e preoccupate soprattutto per ragioni legate alla sicurezza. Temevano che i migranti portati qui dall’Italia sarebbero usciti dai confini del centro e avrebbero girato liberamente per il paese, creando disordini. «All’inizio però non eravamo informati, non sapevamo praticamente niente: per questo eravamo preoccupati», dice Preka.
Il centro per migranti è pieno di telecamere, è sorvegliato giorno e notte da agenti italiani e albanesi ed è completamente circondato da un muro di cemento e metallo che sarebbe molto difficile da superare: sarebbe insomma poco plausibile che i migranti, se mai dovessero arrivare, uscissero e si mettessero a girare per Gjader (cosa che comunque è vietata dall’accordo sottoscritto dai governi di Italia e Albania).
Gli abitanti non sanno cosa succederà al centro se i tribunali dovessero continuare a negare al governo italiano la possibilità di portare migranti in Albania. «Da quanto ci è stato detto, finché l’accordo rimarrà in vigore, i centri non verranno chiusi». Un’ipotesi che è stata più volte citata negli ultimi giorni è che, se l’arrivo di migranti si confermerà essere impossibile a livello legale, il centro verrà trasformato in una prigione per i detenuti albanesi presenti nelle carceri italiane, che sono poco meno di 2mila.
Non ci sono conferme ufficiali: ne hanno parlato alcuni giornali italiani e il deputato Riccardo Magi lo ha chiesto esplicitamente al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi durante un “question time” alla Camera (cioè una sessione in cui i ministri vanno a rendere conto in parlamento del proprio operato). Piantedosi non ha risposto alla domanda e ha sviato il discorso. «Sarebbe comunque una cosa positiva, perché almeno le persone [locali] continuerebbero a lavorare lì» dice Preka.
Per ora gli abitanti di Gjader dicono di non aver avuto problemi legati alla presenza del centro. Quando sono stati portati qui i primi migranti, a inizio novembre, non c’è stata confusione: i residenti non se ne sarebbero neanche accorti se non avessero letto le notizie o non ne fossero stati avvisati.
Nella zona però la sicurezza è aumentata parecchio: per 24 ore al giorno sono presenti decine di agenti delle forze dell’ordine sia italiani (all’interno del centro) che albanesi (all’esterno). Non controllano quello che succede nella cittadina, ma si assicurano che nessuno faccia foto alle strutture del centro o si arrampichi sulle montagne retrostanti, dalle quali si avrebbe un’ottima visuale dell’interno.
Il centro per migranti si estende di fianco al territorio di una base militare albanese, che a sua volta si trova a poche decine di metri dalle case. In primavera, quando i lavori per il centro italiano erano appena iniziati, la base non era particolarmente sorvegliata: era vietato entrare, ma non c’era nessuno di guardia e si potevano fare liberamente foto e video. Ora anche qui è stata aumentata la sicurezza e c’è sempre un agente albanese a controllare che nessuno entri o si avvicini. Non si possono più fare foto, e nemmeno domande.