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  • Mercoledì 4 dicembre 2024

Ai presidenti sudcoreani è quasi sempre andata male

Sia durante la dittatura sia nel periodo democratico, tra colpi di stato, omicidi e inchieste giudiziarie

Una protesta contro Yoon Suk-yeol nel novembre 2024
Una protesta contro Yoon Suk-yeol nel novembre 2024 (AP Photo/Ahn Young-joon)
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La storia della Corea del Sud dalla Seconda guerra mondiale a oggi è segnata dall’utilizzo della legge marziale da parte di leader autoritari che l’hanno usata per rafforzare il proprio potere, reprimere il dissenso e compiere massacri. È soprattutto una storia molto turbolenta: prima che il paese adottasse un governo democratico (tra gli anni Ottanta e Novanta) i dittatori sudcoreani sono stati assassinati e deposti da frequenti colpi di stato.

Ma anche durante il periodo democratico, che dura ancora oggi, pochissimi presidenti sono riusciti a terminare il loro mandato evitando accuse, grossi scandali e condanne giudiziarie.

Questa storia turbolenta comincia con il primo presidente sudcoreano del dopoguerra, Syngman Rhee. Nel 1948, appena due mesi dopo la fondazione del governo postbellico, fu il primo ad applicare la legge marziale. Non la estese a tutto il paese ma solo all’isola di Jeju, nel sud della penisola coreana, dove un reggimento dell’esercito si era rifiutato di fermare con la violenza una rivolta popolare. Syngman Rhee usò la legge marziale per inviare nuove truppe a gestire i rivoltosi: a Jeju furono uccise tra le 14 e le 60 mila persone.

La legge marziale fu poi imposta in tutto il paese per la prima volta nel 1950 quando scoppiò la Guerra di Corea, quella che portò alla divisione tra Corea del Nord e Corea del Sud. Ma anche dopo la fine della guerra fu usata più e più volte per reprimere il dissenso: Syngman Rhee la impose ben dieci volte. Nel 1960 fu comunque rovesciato da una rivolta popolare.

– Leggi anche: La storia della Guerra di Corea

Dopo la rivolta seguì un anno di forte instabilità. Il nuovo presidente, Yun Bo-seon, fu rovesciato nel 1961 dal generale Park Chung-hee (che però mantenne Yun in carica per qualche mese, per dare al suo regime una parvenza di legittimità).

Park Chung-hee è una figura importantissima nella storia moderna sudcoreana. Fu un leader autoritario e violento, che però in più di 15 anni di governo mise in atto le misure economiche che hanno portato oggi la Corea del Sud a essere un paese ricco e prospero. Park impose la legge marziale moltissime volte: quando fece il colpo di stato nel 1961; per reprimere proteste studentesche nel 1964; in occasione dell’approvazione di una nuova Costituzione che gli dava poteri da dittatore nel 1972; per reprimere proteste nelle regioni meridionali nel 1979.

Park Chung-hee nel 1970

Park Chung-hee nel 1970 (Photo by Keystone/Getty Images)

Park fu assassinato nel 1979 da Kim Jae-gyu, il direttore della principale agenzia d’intelligence coreana, durante un banchetto. Kim fu catturato, torturato e impiccato.

Dopo l’uccisione di Park seguì un altro periodo di turbolenza politica che si concluse con un ennesimo colpo di stato, da parte del generale Chun Doo-hwan. Fu Chun, nel 1980, a invocare per l’ultima volta la legge marziale: abolì tutte le attività politiche, fece chiudere le scuole e i giornali e fece arrestare centinaia di dissidenti. In risposta alla legge marziale ci furono proteste nella città meridionale di Gwangju: Chun inviò l’esercito, che uccise centinaia di persone. Il conteggio ufficiale dei morti del massacro di Gwangju è di 191, ma le famiglie delle vittime hanno sempre sostenuto che sia stato molto più alto.

Negli anni Ottanta la Corea cominciò lentamente a democratizzarsi, ma la politica nazionale rimase turbolenta. A Chun seguì un generale suo amico personale, Roh Tae-woo, che governò fino al 1988. Il presidente che venne dopo si chiamava Kim Young-sam e riuscì a far condannare i suoi due predecessori (Chun e Roh) per il massacro di Gwangju. Chun fu condannato a morte e Roh a 17 anni di prigione. Ma Kim l’anno dopo diede la grazia a entrambi, in un gesto di distensione per la giovane democrazia del paese.

La Corea del Sud entrò nella sua fase pienamente democratica con il presidente Kim Dae-jung, un ex attivista che fu più volte imprigionato e che ha governato tra il 1998 e il 2003. Nel 2000 Kim vinse il premio Nobel per la Pace per le sue politiche di avvicinamento alla Corea del Nord.

Dopo Kim Dae-jung, però, la democrazia coreana ha conosciuto diverse presidenze complicate. Roh Moo-hyun (2003–2008) subì un processo di impeachment, poi annullato dalla Corte Costituzionale. Dopo la fine del suo mandato fu indagato per corruzione, ma prima che le indagini potessero concludersi si suicidò. La sua figura, poco popolare quando era in carica, è stata rivalutata negli anni successivi, e oggi è uno dei presidenti più popolari della storia coreana.

Park Geun-hye nel 2017

Park Geun-hye nel 2017 (AP Photo/Ahn Young-joon, File)

In seguito il presidente Lee Myung-bak (2008–2013) è stato condannato a 17 anni di prigione per corruzione, dopo la fine del suo mandato (fu graziato dall’attuale presidente Yoon Suk-yeol). Il caso forse più notevole rimane quello di Park Geun-hye (2013–2016), la figlia del dittatore Park Chung-hee, che fu investita da un eccezionale scandalo di corruzione in cui, tra le altre cose, risultò che Park era sotto l’influenza di una specie di sciamana che influenzava le sue decisioni di governo. Dopo enormi proteste popolari, nel 2016 Park fu deposta da un procedimento di impeachment; fu arrestata pochi giorni dopo e condannata a 24 anni di prigione. È poi stata graziata nel 2021.

L’unico ex presidente della storia recente sudcoreana a non essere mai stato indagato formalmente è il penultimo, il progressista Moon Jae-in (2017-2022). Negli ultimi mesi però sono emerse notizie di possibili indagini anche contro di lui.