I soldi raccolti dalla CGIL fanno litigare le famiglie di Satnam Singh
Il fratello vuole che i 365mila euro vadano ai parenti in Punjab e non alla compagna Soni, perché i due non erano sposati
La mattina del 5 novembre è arrivato a Cisterna di Latina, nel Lazio, Amritpal Singh. È il fratello maggiore di Satnam Singh, il 31enne indiano che morì lo scorso giugno dopo aver perso un braccio mentre stava lavorando nei campi attorno alla cittadina. Il comune aveva messo a disposizione di Amritpal un alloggio in un centro per l’accoglienza che si trova in un’ex foresteria universitaria. Il sindaco Valentino Mantini lo attendeva all’ingresso per consegnargli 5.150 euro raccolti dal comune per la sua famiglia, che vive a Moga, una città di 212mila abitanti nello stato indiano del Punjab. Con lui c’erano la vicesindaca Maria Innamorato, alcuni assessori e i rappresentanti dei sindacati CGIL, CISL e UIL.
Tra questi c’era anche la segretaria di Latina della FLAI (Federazione lavoratori agro industria) CGIL, Laura Hardeep Kaur. Era lì perché, dopo l’incidente mortale, la CGIL ha avviato una raccolta di fondi pubblica per sostenere i genitori di Satnam e la compagna Soni. In un mese ha raccolto quasi 365mila euro, donati da cittadini, associazioni, partiti e altri sindacati. Solo che è nata una controversia su chi debba ricevere quei soldi.
I soldi non sono stati ancora assegnati, ma la CGIL fa sapere che saranno divisi tra la sua famiglia di origine e Soni, la compagna di Satnam. Appena sceso dal furgoncino su cui aveva viaggiato con il presidente della comunità indiana del Lazio, Gurmukh Singh, Amritpal Singh però si è messo in disparte, visibilmente contrariato. Quando gli è stato chiesto il perché, ha risposto che era per la presenza di Laura Hardeep Kaur (i sikh maschi si chiamano tutti Singh, che vuol dire «leone», e le donne Kaur, «principessa»: è un sistema adottato per superare il sistema delle caste, fondato sui cognomi). Ha spiegato che la sindacalista aveva organizzato una raccolta di fondi per aiutare Soni, che lo aveva fatto in nome di suo fratello e non avrebbe potuto perché i due non erano sposati.
«I ragazzi di questi tempi fanno molte cose, ma una che convive non è una moglie», ha detto. Ci sono volute ore di trattative, anche con i rappresentanti della comunità indiana che lo sostenevano, per convincere Amritpal Singh ad accettare l’ospitalità e i soldi raccolti dal comune di Cisterna.
Gli indiani di religione sikh più tradizionalisti non riconoscono che possa esistere una famiglia al di fuori del matrimonio. Hanno vissuto molto male il fatto che Laura Hardeep Kaur, che è nata in Italia da genitori provenienti dal Punjab, in nome di Satnam Singh abbia raccolto dei fondi per una donna a cui non riconoscono alcun diritto. Molti le rimproverano il fatto che dopo l’incidente si è fatta proteggere dallo Stato italiano e non dalla comunità indiana. Ritengono giusta la richiesta di Amritpal Singh che gli unici legittimi destinatari delle donazioni siano i familiari in Punjab, e dunque che i 365mila euro siano inviati a loro. «Per noi Soni non è nessuno, perché non era sposata con Satnam. Non si possono raccogliere soldi in nome di Satnam senza consultare la sua famiglia», dice Gurmukh Singh.
Alla CGIL spiegano che stanno cercando una forma legale per assegnare i soldi, anche perché non è facile trasferire somme così grandi con un money transfer, cioè trasferendo il denaro da una carta di credito o di debito a un conto bancario all’estero. A settembre hanno inviato alla famiglia di Satnam 5mila euro per i funerali, che si sono svolti in Punjab. In seguito hanno spedito altri 5mila euro, sempre ai genitori di Satnam, ma il trasferimento è stato bloccato dalla Bank of India.
Alla fine di novembre alcuni rappresentanti della CGIL hanno incontrato Amritpal Singh. «Gli abbiamo spiegato che vorremmo dare una parte dei soldi ai familiari, di tenere una somma per pagare le spese processuali e di costituire un’associazione, intitolata a Satnam, per aiutare le vittime dello sfruttamento sul lavoro e del caporalato», dice Roberto Iovino, uno dei partecipanti all’incontro. «Abbiamo detto che vorremmo aiutare anche Soni, che è rimasta traumatizzata da questa vicenda non meno di loro, e che se non vogliono lo faremo da soli».
Soni lavorava con Satnam Singh e come lui era impiegata in nero nell’azienda Agrilovato di Borgo Santa Maria, nell’Agro pontino. Ha assistito all’incidente e ha raccontato ai magistrati che il proprietario Alessandro Lovato ha impedito di chiamare i soccorsi e ha caricato Satnam su un furgone, mettendo il braccio amputato in una cassetta della frutta. Durante l’incidente probatorio, un procedimento con cui si acquisiscono prove durante la fase delle indagini preliminari, ha aggiunto che Satnam è stato buttato giù dal furgone davanti a casa sua e ha sbattuto la testa contro uno spigolo di un muretto, provocandosi un’ulteriore ferita.
Ora Soni vive in una casa protetta gestita dal comune di Latina. «Si è ritrovata improvvisamente sola», dice il suo avvocato Giovanni Lauretti. La legge italiana riconosce le convivenze «more uxorio», aggiunge, cioè tra due persone che vivono insieme come se fossero sposate: dato che lei e Satnam Singh hanno vissuto insieme per tre anni e «condiviso una vita affettiva, familiare e lavorativa», Soni potrà legittimamente costituirsi parte civile al processo per chiedere un risarcimento.
Laura Hardeep Kaur fu la prima persona ad arrivare davanti alla casa di Satnam Singh dopo che fu scaricato da Lovato, e a vederlo a terra in condizioni disperate. «Sono stata chiamata da un compagno di lavoro di Satnam», aveva raccontato sul Manifesto due giorni dopo. «Mi ha inviato la foto del braccio staccato e buttato in una cassetta, e siamo subito accorsi sul posto per capire l’accaduto: un orrore».
«Abbiamo sempre detto che non avremmo abbandonato Soni e la famiglia di Satnam, e così abbiamo fatto», dice.