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  • Martedì 3 dicembre 2024

Una parte del processo per la valanga di Rigopiano è da rifare

Quella relativa ad alcuni imputati che erano stati assolti in appello: la condanna per l’ex prefetto di Pescara invece è stata confermata dalla Cassazione

I resti dell'hotel Rigopiano, 18 gennaio 2024 (Emanuele Valeri/Ansa)
I resti dell'hotel Rigopiano, 18 gennaio 2024 (Emanuele Valeri/Ansa)
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La Cassazione, l’ultimo grado di giudizio, ha emesso la sua sentenza sul caso della valanga che quasi otto anni fa, il 18 gennaio del 2017, causò la morte di 29 persone all’hotel Rigopiano, in Abruzzo. Ha confermato la condanna a un anno e otto mesi di carcere per l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo e quella a sei mesi per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso, rendendole così definitive. Ha invece stabilito che dovrà essere fatto un nuovo processo d’appello per sei ex dirigenti della Regione Abruzzo: nel processo di appello erano stati assolti. Lo stesso ha deciso per l’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, cinque dirigenti della provincia e un tecnico del comune.

Provolo era stato assolto in primo grado e condannato in secondo grado a un anno e otto mesi di carcere per falso e omissioni di atti d’ufficio, con riferimento alla mancata convocazione della sala operativa e quindi del centro di coordinamento dei soccorsi.

La richiesta di rifare il processo era stata avanzata dal procuratore generale della Cassazione, che in realtà lo aveva richiesto anche per Provolo. Al centro del nuovo processo, che si svolgerà alla Corte d’Appello di Perugia, ci saranno anche le accuse di disastro colposo e omicidio colposo in concorso, escluse in primo e in secondo grado.

La sentenza della Cassazione ha dunque confermato solo in parte le richieste del procuratore generale.

Il 27 novembre il sostituto procuratore generale di Cassazione aveva chiesto un nuovo processo d’appello per Provolo per valutare anche le accuse di concorso in omicidio colposo, in lesioni colpose e depistaggio. Aveva inoltre chiesto di annullare le assoluzioni di sei dirigenti della Protezione civile regionale, e di confermare le condanne di primo e secondo grado dei dirigenti della provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, entrambi a tre anni e quattro mesi; dell’ex gestore dell’hotel Di Tommaso, sei mesi; dell’allora sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e del tecnico del comune Enrico Colangeli, entrambi due anni e otto mesi. Per Lacchetta il procuratore aveva chiesto un nuovo processo per disastro colposo. Lacchetta finora era stato condannato soltanto per omissione dell’ordinanza di sgombero dell’hotel: in primo grado l’accusa aveva chiesto per lui una condanna a 11 anni e 4 mesi di carcere.

Nel corso della sua requisitoria, il procuratore generale aveva ricordato che il 18 gennaio del 2017 il pericolo di valanghe «era forte, livello 4, e venne comunicato alla prefettura». Il rischio, tuttavia, riguardava solo il 6 per cento dei comuni in Abruzzo e tra questi c’era Farindola, il comune in cui si trovava l’hotel Rigopiano. Per il procuratore l’ordinanza di sgombero dell’albergo «avrebbe evitato la tragedia».

Nel processo di appello, lo scorso febbraio, erano stati assolti ventidue imputati e otto erano stati ritenuti colpevoli: tre di loro erano invece stati assolti in primo grado. La Corte d’Appello aveva stabilito che la responsabilità della morte di 29 persone all’hotel Rigopiano era da ricondurre principalmente alla gestione del territorio in quel momento, e aveva escluso ogni responsabilità della Regione. In sintesi, per i giudici quel giorno c’erano tre cose che dovevano essere fatte, di competenza innanzitutto del comune di Farindola e della provincia di Pescara, e che non erano state fatte: chiudere la strada, pulirla dalla neve ed evacuare l’hotel.

Il ricorso in Cassazione era stato fatto  l’11 luglio del 2024 dalla procura generale dell’Aquila, che aveva chiesto di rivedere le parti della sentenza di secondo grado che avevano portato all’assoluzione degli imputati, specie per quanto riguardava la prevedibilità del rischio e la prevenzione. Nel ricorso la procura aveva insistito in particolare sul ruolo degli enti pubblici, compresi Regione e Protezione Civile: la tesi era che senza il «concorso di colpose omissioni» il disastro dell’hotel Rigopiano non sarebbe avvenuto.

L’hotel Rigopiano-Gran Sasso Resort si trovava a 1.200 metri d’altezza nel comune di Farindola, in provincia di Pescara. Fu travolto da una valanga di neve, detriti e tronchi d’albero il pomeriggio del 18 gennaio del 2017, con un impatto così violento da far ruotare l’edificio di tre piani di circa 13° e da farlo spostare di qualche decina di metri. All’interno c’erano 40 persone, 29 delle quali morirono. Quella mattina c’erano state nella zona quattro scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5. Gli ospiti non poterono lasciare la struttura perché la strada che collegava l’albergo al comune di Farindola era impraticabile per la neve.

Quando la valanga raggiunse l’hotel l’allarme fu dato da uno degli ospiti, che si salvò per caso, ma per via di negligenze e informazioni sbagliate date dal gestore dell’hotel i soccorsi non arrivarono per ore. I primi elicotteri arrivarono alle 6:30 del mattino successivo, e le operazioni durarono una settimana.