Com’è andato il processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin
Il 3 dicembre la Corte d'Assise ha condannato Filippo Turetta all'ergastolo, dopo un processo con giudizio immediato
Oggi, martedì 3 dicembre, la Corte d’Assise di Venezia ha condannato in primo grado Filippo Turetta all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa l’11 novembre 2023. Il caso è uno dei più seguiti e discussi in Italia degli ultimi anni. Turetta, reo confesso, era accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione e crudeltà, oltre che di sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking: il 25 novembre il pubblico ministero aveva chiesto che fosse condannato all’ergastolo. La sentenza è stata letta nel pomeriggio.
Le ultime udienze si erano tenute il 25 e il 26 novembre, ed erano state dedicate alla requisitoria del pubblico ministero e all’arringa della difesa. Ricostruendo le fasi dell’aggressione e il rapporto precedente tra Turetta e Cecchettin, il pubblico ministero aveva sostenuto la premeditazione e la crudeltà nel femminicidio, oltre a confermare l’accusa di stalking. In particolare l’accusa si era soffermata sulla lista scritta quattro giorni prima del femminicidio dallo stesso Turetta con gli oggetti per uccidere Giulia Cecchettin, e sulla crudeltà di Turetta nei vari momenti dell’aggressione. Per l’accusa, inoltre, Turetta studiò in modo dettagliato un piano che avrebbe potuto abbandonare in qualsiasi momento avendo «tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere».
Il difensore di Turetta aveva invece cercato di smontare la tesi dell’accusa sul riconoscimento delle aggravanti per evitare la condanna all’ergastolo. Tra le altre cose, l’avvocato aveva sostenuto che l’aggressione di Turetta fosse da ricondurre a un «cortocircuito» emotivo più che alla crudeltà, e che la lista scritta da Turetta fosse indicativa della sua indecisione più che della premeditazione. Inoltre, pur riconoscendo la persecuzione di Turetta nei confronti di Cecchettin, l’avvocato ha detto che Cecchettin non aveva paura di lui, altrimenti non avrebbe acconsentito a vederlo la sera in cui fu uccisa.
Cecchettin aveva 22 anni e con la sua famiglia viveva a Vigonovo, in Veneto. Turetta, anche lui 22enne, abitava a Torreglia, poco lontano: lui e Cecchettin avevano avuto una relazione, ma quest’ultima aveva deciso di interromperla. Studiavano entrambi Ingegneria all’università di Padova. La sera dell’11 novembre 2023 Turetta andò a prendere Cecchettin in auto per passare qualche ora insieme. Cecchettin inviò l’ultimo messaggio alla sorella poco prima delle 23. Un testimone riferì di aver visto un uomo e una donna litigare in un parcheggio a Vigonovo, non molto distante dalla casa di Cecchettin.
Le ricerche iniziarono dopo la denuncia per la scomparsa presentata dai familiari di Cecchettin. Gli investigatori ricostruirono i movimenti dell’auto di Turetta fino alla frontiera con l’Austria e poi in Germania. Inizialmente la procura di Venezia aprì un’inchiesta per scomparsa di persona, che si trasformò in un’indagine per tentato omicidio dopo l’acquisizione di un video risalente all’11 novembre in cui si vedeva Turetta aggredire, ferire e caricare forzatamente in auto Cecchettin nella zona industriale di Fossò, in provincia di Venezia.
Il corpo di Giulia Cecchettin fu trovato sabato 18 novembre ai piedi di una scarpata della val Caltea nella zona del comune di Barcis, in Friuli. Il giorno successivo, domenica 19 novembre, Turetta fu arrestato a pochi chilometri dalla cittadina di Bad Dürrenberg, vicino a Lipsia, nella Germania orientale. Confessò subito di aver ucciso Cecchettin. Pochi giorni dopo venne estradato in Italia.
Da allora Turetta si trova nel carcere di Montorio a Verona. Durante il primo interrogatorio, l’1 dicembre dello scorso anno, spiegò nei dettagli come aveva ucciso Cecchettin. Disse di averla colpita con una decina di coltellate: la perizia depositata dal pubblico ministero stabilì poi che le coltellate furono 75.
Alcuni spezzoni del video di questo interrogatorio vennero mandati in onda su Rete 4, durante la trasmissione Quarto Grado, pochi giorni prima dell’inizio del processo. Non fu l’unica volta che vennero pubblicati atti delle indagini: in estate molti giornali avevano rilanciato alcune intercettazioni di una conversazione privata tra Turetta e i suoi genitori in carcere, pubblicate dal tabloid Giallo. Il colloquio era del 3 dicembre 2023 e alcune frasi pronunciate dal padre di Turetta avevano innescato una grossa polemica. Sulla vicenda erano intervenute anche le Camere Penali, che avevano criticato l’uso voyeuristico delle intercettazioni a ridosso dell’inizio della fase dibattimentale, e il Garante della privacy aveva annunciato di aver avviato istruttorie contro varie testate per violazione della privacy.
Dopo la confessione, gli avvocati di Turetta chiesero il giudizio immediato, un procedimento speciale che permette di passare dalle indagini preliminari direttamente alla fase del dibattimento, cioè a quello che comunemente viene chiamato “processo”.
Il processo è iniziato il 23 settembre. Durante la prima udienza i giudici avevano accolto la richiesta di procura e difesa di non sentire testimoni, ritenendo che fosse sufficiente quanto era stato ricostruito durante le indagini. Erano inoltre stati ammessi come parte civile solo i familiari di Cecchettin: il papà Gino, i fratelli Elena e Davide, lo zio Alessio e la nonna Carla Gatto. Nell’atto di richiesta di costituzione di parte civile Gino Cecchettin aveva chiesto un risarcimento danni di circa un milione di euro. Turetta non era in aula. Il suo avvocato aveva fatto sapere che non avrebbe chiesto la perizia psichiatrica, dunque non avrebbe messo in dubbio la salute mentale del 22enne: poteva quindi essere processato.
Turetta fu sentito dai giudici durante la seconda udienza, il 25 ottobre. In quell’occasione il 22enne aveva ripercorso tutte le fasi del femminicidio di Cecchettin, che aveva ricostruito anche in una memoria scritta di 40 pagine consegnata alle parti. Alla domanda sul perché avesse ucciso Cecchettin, Turetta aveva risposto: «L’ho uccisa perché non voleva tornare con me». Alla fine dell’udienza, il presidente della Corte d’Assise di Venezia aveva annullato quella successiva, prevista per il 28 ottobre, perché difesa, accusa e parti civili erano riuscite a interrogare l’imputato. Il processo era quindi stato aggiornato al 25 e 26 novembre per la discussione finale.
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