La grazia di Biden a suo figlio non è piaciuta quasi a nessuno
È stata criticata anche da molti alleati del presidente e viene considerata un precedente pericoloso ora che Trump sta per tornare al governo
La decisione del presidente statunitense Joe Biden di concedere la grazia «piena e incondizionata» a suo figlio Hunter è stata criticata in questi giorni da molti alleati del presidente, ed è considerata un precedente rischioso soprattutto ora che Donald Trump sta per tornare alla presidenza e non ha nascosto di voler usare la giustizia americana per i suoi scopi personali.
La decisione di Biden è stata giudicata comprensibile dal punto di vista personale, ma al tempo stesso controversa dal punto di vista giudiziario, perché il provvedimento di grazia emesso dal presidente è molto ampio, e riguarda non soltanto i reati scoperti ma quelli eventualmente ancora da scoprire. È anche ritenuta un possibile indebolimento dell’eredità politica del presidente, già danneggiata dall’ultima campagna elettorale e dalla vittoria di Trump alle elezioni.
Hunter Biden aveva due casi a suo carico: a giugno di quest’anno era stato giudicato colpevole per aver mentito in un questionario al momento dell’acquisto di un’arma da fuoco nel 2018 (aveva dichiarato di non essere dipendente da droghe quando invece ne era un consumatore abituale); a settembre si era dichiarato colpevole di aver evaso circa 1,4 milioni di dollari in tasse tra il 2016 e il 2019.
Mentre i processi erano in corso, in più di un’occasione Biden aveva assicurato che non avrebbe interferito, e aveva presentato la sua decisione come una questione fondamentale di fiducia nella giustizia: «Ho detto che rispetterò la decisione della giuria, e lo farò. Non gli darò la grazia», aveva detto a giugno. Nelle interviste, Biden cercava spesso di evidenziare la differenza tra lui, che rispettava il sistema giudiziario statunitense, e Trump, che invece accusava la giustizia di essere politicizzata.
Tutta questa costruzione retorica è crollata quando Biden ha graziato suo figlio: «Le incriminazioni (contro Hunter Biden, ndr) sono state presentate solo dopo che molti dei miei oppositori politici al Congresso hanno istigato i procuratori ad attaccarmi e a contrastare la mia elezione», ha scritto Biden nel comunicato in cui annunciava la grazia. «Nessuna persona ragionevole che esamini i fatti dei casi di Hunter può giungere ad altra conclusione che non sia che è stato preso di mira perché è mio figlio».
Se è plausibile che il caso di Hunter Biden sia stato gonfiato politicamente, le motivazioni del presidente sono simili a quelle di Donald Trump quando parla di essere ingiustamente perseguitato ai suoi processi.
Non è del tutto inusuale che i presidenti diano la grazia a persone a loro molto vicine, o perfino parenti: Jimmy Carter diede la grazia a suo fratello, Bill Clinton al suo fratellastro, Donald Trump al padre di suo genero (Charles Kushner, che è da poco stato nominato ambasciatore in Francia). Nessuno prima di Biden però aveva violato così apertamente un principio da lui stesso dichiarato soltanto pochi mesi prima.
Trump ha approfittato dell’occasione per criticare duramente Biden, ma anche molti alleati del presidente sono stati scontenti della decisione. Marie Gluesenkamp Perez, deputata Democratica, ha scritto sui social media che la decisione di Biden fa gioco a chi ritiene che il sistema giudiziario sia più clemente con chi è ricco e potente: «Il presidente ha preso la decisione sbagliata. Nessuna famiglia è al di sopra della legge».
Sempre sui social media Michael Bennet, senatore Democratico, ha scritto che la decisione di Biden «mette l’interesse personale davanti al dovere ed erode ulteriormente la fiducia degli americani in un sistema giudiziario giusto e uguale per tutti».
Molti hanno poi paragonato la decisione di Biden di graziare suo figlio all’insistenza con cui il presidente ha evitato fino all’ultimo di ritirarsi dalle elezioni presidenziali di quest’anno, pur sapendo di essere debole e che le sue prospettive di vittoria erano bassissime: entrambe le decisioni sono viste come atti di egoismo e ipocrisia. Peter Baker, giornalista del New York Times, ha scritto: «Biden è stato sconfessato, anche da molti Democratici, come il presidente che si è rifiutato di farsi da parte fino a quando non era troppo tardi, ha aperto la strada al ritorno al potere di Donald Trump e, in un atto finale di ripudio personale di un principio comune, ha graziato suo figlio da numerose condanne penali».
Non è chiaro se quest’ultima decisione contribuirà davvero a danneggiare quella che negli Stati Uniti viene definita la legacy di Biden, cioè la sua eredità politica e il modo in cui verrà ricordato nella storia come presidente, ma molti lo giudicano in ogni caso un grave errore.
Un altro aspetto controverso della decisione di Biden riguarda l’ampiezza della grazia concessa al figlio. Biden non si è limitato a eliminare le due condanne nei confronti di suo figlio, ma anche tutti i reati «che potrebbe aver commesso o di cui avrebbe potuto prendere parte tra il primo gennaio 2014 e il primo dicembre 2024». Questo è molto inusuale, perché di solito le grazie presidenziali riguardano un reato specifico. L’unico precedente storico risale al 1974, quando Gerald Ford diede al suo predecessore Richard Nixon una grazia generale per tutti i possibili crimini commessi durante il suo mandato. Ma anche in quel caso il periodo di copertura della grazia era di quattro anni, e non dieci come per Hunter.
I media americani sostengono che Biden abbia deciso di concedere una grazia così ampia per timore che Trump, una volta presidente, possa manovrare la giustizia per prendere ancora di mira Hunter Biden, su cui i Repubblicani hanno costruito negli anni una grande campagna di discredito politico.