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  • Martedì 3 dicembre 2024

La crisi politica francese potrebbe durare a lungo

Nell'ipotesi che l'attuale governo cada e si apra un periodo di caos e incertezza, le cose per Macron potrebbero farsi difficili

Emmanuel Macron e Michel Barnier, Parigi, 11 novembre 2024 (Ludovic Marin, Pool via AP)
Emmanuel Macron e Michel Barnier, Parigi, 11 novembre 2024 (Ludovic Marin, Pool via AP)
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Lunedì 2 dicembre il primo ministro francese Michel Barnier ha fatto ricorso a una controversa manovra costituzionale per aggirare il parlamento e forzare l’approvazione di una parte dell’austero bilancio per il 2025. In risposta, l’estrema destra del Rassemblement National e l’alleanza di sinistra del Nuovo Fronte Popolare hanno presentato due mozioni di sfiducia che saranno votate mercoledì. È piuttosto probabile che una delle due passi grazie al voto congiunto di due schieramenti politici opposti e che il governo Barnier cada aprendo una crisi politica che, secondo giornali e politologi, potrebbe durare molto a lungo.

Sui principali giornali francesi non c’è molta sorpresa per la crisi che si è creata negli ultimi giorni. «Ci credeva davvero?», si chiede ad esempio Le Monde facendo riferimento a Barnier e alla possibilità che la legge di bilancio passasse senza problemi. «Come stupirsi che tutto questo finirà, salvo grandi sorprese, con la sfiducia?», inizia un articolo di Libération. A monte dell’attuale situazione politica molte e molti individuano quello che alcuni giornali definiscono «un errore politico originario»: il fatto cioè che il governo Barnier sia il prodotto di una «mistificazione democratica».

L’attuale governo non rispecchia il risultato delle elezioni anticipate che si erano tenute a luglio a seguito di una crisi innescata dal presidente Emmanuel Macron dopo i risultati delle europee. Le elezioni di luglio erano state vinte dalla sinistra del Nuovo Fronte Popolare che aveva fin da subito chiesto al presidente di rispettare il voto dei cittadini e delle cittadine e di nominare un nuovo primo ministro che facesse parte di quello schieramento. Macron si era detto fortemente contrario: da tempo infatti il presidente si è spostato a destra, sostituendo i ministri tecnici provenienti per lo più dalla società civile, che lui stesso aveva nominato dopo la campagna presidenziale del 2016, con personalità politiche provenienti o vicine alla destra. Alla fine aveva scelto Barnier che aveva formato un governo sostenuto da una coalizione di minoranza composta dai due partiti che non avevano vinto le elezioni: il partito di Emmanuel Macron, Renaissance, e il partito dei Repubblicani, di cui fa parte lo stesso Barnier.

La sopravvivenza di questo governo di minoranza dipendeva dal sostegno dell’estrema destra la cui leader, Marine Le Pen, aveva immediatamente chiarito come avrebbe approfittato di questo suo ruolo senza precedenti all’interno dell’Assemblea Nazionale per aumentare la pressione sul nuovo governo e promuovere misure apprezzate se non esplicitamente promosse dall’estrema destra.

Dopo la sua nomina la colpa del primo ministro, aggiunge Libération, è stata però quella di rafforzare politicamente questo equilibrio di potere favorevole all’estrema destra proseguendo di fatto sulla strada già intrapresa da Macron: quella di dialogare solo con la destra e non con almeno quella parte della sinistra che viene spesso definita «governativa»: che fa sì parte del Nuovo Fronte Popolare, ma ha posizioni più moderate e tendenti al compromesso rispetto a quelle di La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.

Tutto questo si è visto chiaramente sulla questione della legge di bilancio. Fin dall’inizio, tra tutti i vari interlocutori, Barnier ha messo RN al primo posto: è con RN che ha scelto di negoziare, ed è a RN che ha fatto numerose e costose concessioni sulla legge di bilancio, diventandone di fatto ostaggio. RN ha però continuato ad alzare la posta ottenendo un giorno l’eliminazione delle tasse sull’energia elettrica e un altro la riduzione del rimborso di alcuni farmaci, senza però mai mollare la presa. Tali concessioni non sono alla fine bastate. L’obiettivo di RN era probabilmente un altro, suggeriscono i giornali francesi: e cioè ottenere le dimissioni di Emmanuel Macron.

Se la sfiducia passasse il governo Barnier cadrà e si aprirà una crisi politica in cui il presidente Macron (che resterebbe comunque in carica anche in caso di caduta del governo) tornerà a essere protagonista. Si tratterebbe comunque dell’inizio di un periodo di caos e incertezza, nota Politico, che potrebbe protrarsi per settimane e persino mesi.

Degli strumenti che Macron avrebbe a disposizione per risolverla uno non può utilizzarlo. Non può sciogliere infatti l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni parlamentari. In base alla Costituzione francese l’Assemblea Nazionale può essere sciolta solo dopo 12 mesi dall’ultimo scioglimento. Visto lo scioglimento dello scorso luglio l’attuale Assemblea Nazionale non potrà dunque essere sciolta prima del luglio del prossimo anno ed eventuali nuove elezioni legislative non si terrebbero prima di quella data.

Il presidente potrebbe decidere allora di nominare un nuovo primo ministro e un nuovo governo, ma come ha suggerito proprio Marine Le Pen nelle ultime ore «è lecito mettere in dubbio l’utilità di tale mossa, in un momento in cui il governo potrebbe continuare a essere solo un governo di minoranza». Al di là delle valutazioni di Le Pen nominare un nuovo primo ministro potrebbe non essere così semplice. L’Assemblea Nazionale francese è divisa in tre blocchi politici quasi alla pari: i centristi di Macron, il Rassemblement National di estrema destra e la coalizione della sinistra, tre gruppi agli antipodi che si rifiutano di lavorare insieme. Questo significa che qualsiasi nuovo governo si ritroverebbe ad affrontare le stesse difficoltà di quello attuale e potrebbe cadere in pochi giorni.

Che in caso di caduta del governo Barnier Macron possa nominare un altro primo ministro resta comunque l’ipotesi più probabile e sui giornali circolano già dei nomi. Potrebbe nominare una personalità di destra, molto simile a Barnier, che avrebbe il sostegno dei centristi e dei Repubblicani e che, sempre come Barnier, potrebbe cercare di ingraziarsi Le Pen facendole via via nuove concessioni per restare in piedi e rafforzandola però in vista delle presidenziali che si terranno nel 2027, alla scadenza del mandato di Macron.

Un altro nome che fanno i giornali è quello del ministro della Difesa Sébastien Lecornu che è molto vicino a Macron e che, in quell’area politica, è anche ben visto da RN. Fu colui che prima delle elezioni europee partecipò a una cena segreta con Marine Le Pen, come rivelato negli scorsi mesi da Libération. Questa nomina rifletterebbe un orientamento dell’esecutivo ancora più favorevole a RN, potrebbe avere ripercussioni negative nel partito di Macron che non condivide questo spostamento verso l’estrema destra e potrebbe ritorcersi contro lo stesso Macron che, dopo aver perso le elezioni e nominando una persona a lui così vicina, darebbe di nuovo l’impressione di voler prendere il controllo della politica interna.

L’altra opzione potrebbe essere quella di nominare primo ministro il presidente del partito centrista MoDem François Bayrou, coinvolto di recente in una vicenda giudiziaria molto simile a quella che hanno dovuto affrontare RN e Marine Le Pen. Bayrou è stato accusato di aver utilizzato in modo improprio i fondi pubblici del Parlamento europeo per attività di politica nazionale e il processo si è concluso con la sua assoluzione, in mancanza di prove relative a un suo coinvolgimento. Quando a settembre un processo molto simile è iniziato contro Le Pen, Bayrou l’ha difesa assicurandosene dunque il favore.

Per Macron sarà comunque fondamentale nominare un nuovo primo ministro in tempi brevi per chiudere velocemente la crisi politica che si aprirebbe con la sfiducia a Barnier e mostrarsi come colui che sta garantendo la stabilità istituzionale. Il vantaggio, per Macron, sarebbe anche quello di allontanare il più possibile l’ipotesi delle sue dimissioni che rappresenterebbero in effetti la terza possibilità di uscita dall’attuale crisi politica: «Mostrando», hanno detto alcuni deputati a lui vicini, «che in questo momento la cosa più responsabile e più urgente è chiudere con la legge di bilancio, non cambiare presidente». Se i tempi andassero troppo per le lunghe e se Macron nominasse un nuovo primo ministro controverso le richieste delle sue dimissioni aumenterebbero. «È un’idea che potrebbe iniziare a prendere piede», ha detto Benjamin Morel, politologo all’Università Panthéon-Assas: «Marine Le Pen potrebbe iniziare a dire che rovescerà ogni singolo governo finché Macron non si dimetterà».