Il cambiamento climatico ha effetti anche sulla poesia giapponese
La trasformazione delle stagioni sta cambiando il modo di scrivere e leggere gli haiku, molto legati al ciclo della natura
Gli haiku, i brevissimi componimenti poetici giapponesi, hanno sempre avuto un forte legame con la natura: una delle regole principali per scriverne uno è che deve contenere un kigo, cioè una «parola stagionale», che spesso rimanda anche a un preciso stato d’animo. Negli ultimi anni però l’alterazione del ciclo delle stagioni dovuta al cambiamento climatico sta facendo cadere in disuso alcuni kigo, e secondo vari studiosi gli haiku rischiano di perdere parte della loro forza comunicativa, che deriva anche da riferimenti alla natura riconoscibili e condivisi.
L’haiku è composto tradizionalmente da 17 sillabe (o, più precisamente, da 17 more): cinque per il primo verso, sette per il secondo e cinque per il terzo. Deve comprendere un kigo che rimandi a un elemento della natura riconducibile a una stagione: i kigo più diffusi sono conservati nei saijiki, delle specie di annali naturalistici che contengono elenchi di parole ed espressioni legate ai periodi dell’anno. Oltre al significato letterale, molti kigo portano con sé anche un preciso stato d’animo. Per esempio fuyu significa inverno, ma trasmette anche una sensazione di desolazione e introspezione; yama-nemuru, un altro kigo stagionale per l’inverno, è traducibile in «montagna che dorme» e richiama nelle poesie un senso di immobilità e pace.
Gli haiku si sono diffusi in Occidente dall’inizio del Novecento, diventando più popolari dopo la Seconda guerra mondiale. La forma poetica breve, evocativa, che usa la natura come metafora delle sensazioni umane, riscosse successo ad esempio tra i poeti ermetici come Giuseppe Ungaretti, e a volte viene usata nelle prime esercitazioni di poesia nelle scuole. Nella composizione di haiku in italiano, come in altre lingue, vengono rispettati di solito i canoni dei tre versi e dell’elemento naturalistico, ma non il numero di sillabe. Negli ultimi anni sempre più spesso appassionati e appassionate di diversi paesi scrivono haiku che parlano anche del cambiamento climatico, usando come elementi stagionali riferimenti alle temperature crescenti o a eventi climatici estremi.
In Giappone l’estate del 2024 è stata la più calda mai registrata per il secondo anno di fila, con le alte temperature che cominciano già nei mesi primaverili e proseguono durante l’autunno. Una delle conseguenze di questo cambiamento è la fioritura dei ciliegi anticipata alla seconda metà di marzo, invece che ad aprile come succedeva storicamente. Proprio la contemplazione dei ciliegi ad aprile (che nel calendario giapponese corrisponde alla tarda primavera) è il concetto espresso da «hanami», un kigo che oggi rischia di non avere più corrispondenza nella realtà. Gli haiku che descrivevano precisi momenti dell’anno, ancora attuali e riconoscibili fino a poco tempo fa, stanno poco a poco perdendo di significato. Un altro esempio, citato anche dal Guardian, è un haiku scritto da Matsuo Bashō, il più famoso poeta del genere, il 18 settembre 1689:
«Ishiyama no
Ishi yori shiroshi
Aki no kaze»
Che si può tradurre in:
«Più bianco della
pietra di Ishiyama:
vento d’autunno»
La poesia rievoca un vento freddo tramite il kigo «aki no kaze», vento d’autunno, associato a un’atmosfera malinconica di passaggio alla stagione autunnale. Negli stessi luoghi e nello stesso periodo dell’anno in cui Bashō compose questa poesia, il clima negli ultimi anni è quasi estivo, con temperature significativamente più alte.
David McMurray, che insegna corsi di haiku presso l’Università internazionale di Kagoshima ed è curatore della rubrica «Asahi Haikuist Network» dal 1995, ha detto al Guardian che la capacità dei kigo di comprimere tre o quattro mesi di una stagione in una singola parola si sta perdendo. Murray fa l’esempio della parola «zanzara», che ha sempre evocato una serie di immagini estive. Oggi però le zanzare ci sono anche in autunno, anche nel nord del Giappone, e il riferimento stagionale è quindi molto indebolito. McMurray teme che i saijiki rischino di diventare soltanto un documento storico.
I primi haiku risalgono al Seicento e nel tempo si sono evoluti per adattarsi ai cambiamenti della società: lo stesso elenco dei kigo è cambiato e si è arricchito negli anni con termini più moderni, seguendo la sensibilità e le necessità espressive dei poeti.
Un esempio della trasformazione degli haiku nella società giapponese è il concorso che Oi Ocha, un’importante marca di tè verde in Giappone, organizza ogni anno dal 1989: chiunque può inviare il proprio haiku, e i mille componimenti selezionati dalla giuria vengono stampati sulle etichette delle bottiglie di tè. Da regolamento non è necessario che l’haiku inviato contenga un kigo: una variazione notevole rispetto alla tradizione, che ha il fine di incoraggiare più persone a partecipare.
La perdita di aderenza alla realtà degli haiku è un esempio delle conseguenze indirette del cambiamento climatico che riguardano il patrimonio culturale e artistico. Sono conseguenze meno evidenti di fenomeni estremi come alluvioni e siccità, ma se ne trovano già esempi in molti contesti. L’anno scorso a Taiwan la popolazione di aborigeni Seediq ha annullato le cerimonie autunnali del raccolto, perché l’aumento di frequenza e intensità dei tifoni nella regione aveva distrutto le coltivazioni. L’aumento delle temperature sta rendendo poi sempre più rare le condizioni necessarie per la formazione di piccole crepe lungo la superficie ghiacciata del lago Suwa, in Giappone: la formazione di queste crepe è il fenomeno centrale per il rituale dell’Omiwatari, che quindi non si svolge dal 2018.