Il più grande disastro industriale della storia, 40 anni fa
Il 3 dicembre del 1984 una nube tossica arrivò sulla città di Bhopal, in India: era isocianato di metile, morirono decine di migliaia di persone
Nelle prime ore del 3 dicembre del 1984 una nube tossica arrivò sui quartieri altamente popolati nella città di Bhopal, in India. Per lunghe ore non fu dato nessun allarme, le persone cominciarono a tossire, soffocare e morire nelle loro case, cercando fughe confuse e quasi sempre inutili per strada. La nube era l’effetto del rilascio di oltre 42 tonnellate di isocianato di metile, una sostanza altamente tossica utilizzata per la produzione di pesticidi nel vicino stabilimento della Union Carbide, una multinazionale chimica statunitense.
Quello che iniziò il 3 dicembre del 1984 è considerato il più grave disastro industriale della storia. Migliaia di persone morirono quella notte, migliaia nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi: gli effetti della contaminazione causano morte e malattie ancora oggi, l’area non è mai stata bonificata, i risarcimenti sono stati minimi e i titolari dell’azienda non hanno mai risposto delle loro responsabilità in un processo.
Bhopal è una città dell’India centrale, nello stato del Madhya Pradesh: è nota come la città dei laghi (ce ne sono due di grandi dimensioni nelle vicinanze). Allora aveva meno di 800mila abitanti, ora ne ha 2,6 milioni. Fra gli anni Sessanta e Settanta l’India visse quella che fu definita la “rivoluzione verde”, un profondo rinnovamento delle tecniche agricole con l’introduzione di un approccio industriale e di innovazioni tecnologiche come l’uso di fertilizzanti, pesticidi, fitofarmaci e colture selezionate geneticamente. Questo permise di aumentare la produzione di cibo per la popolazione, diminuire i rischi di carestia e il numero di persone denutrite.
In questo contesto molti stati indiani (l’India è una repubblica federale) incentivarono multinazionali estere a costruire impianti per produrre i beni necessari al settore agricolo.
Nel 1969 la Union Carbide Corporation costruì a Bhopal uno stabilimento per fabbricare pesticidi, prima importando l’isocianato di metile (MIC), la sostanza tossica necessaria per produrli, e poi dal 1980 iniziando a produrlo sul luogo. L’azienda non funzionò mai davvero a livello economico: la richiesta dei suoi pesticidi restò bassa, in parte perché gli agricoltori indiani non potevano permetterseli, in parte perché arrivarono sul mercato sostanze meno costose.
A partire dagli anni Settanta l’azienda fece una serie di tagli per ridurre i costi: furono licenziati molti dipendenti, ma anche tralasciate misure di sicurezza e scelte le soluzioni più economiche, ma più inquinanti, per gestire i rifiuti. I controlli delle autorità locali erano inesistenti e quelli dell’azienda ridotti al minimo, nonostante alcune fughe “minori” di materiale tossico avessero già causato incidenti, ricoveri e almeno un morto fra i lavoratori.
All’inizio degli anni Ottanta la produzione di pesticidi fu di fatto interrotta (salvo che per un breve periodo nel 1984) e pochi mesi prima dell’incidente l’azienda decise la dismissione dello stabilimento.
I serbatoi di MIC restarono però pieni, mentre la manutenzione diminuì e i sistemi di allarme vennero ignorati o volontariamente spenti. Il 2 dicembre una prima segnalazione di una fuga di gas tossico venne registrata intorno a mezzogiorno, ma i responsabili della sicurezza decisero di occuparsene “dopo la pausa per il tè”, un’ora dopo. Non fu comunque considerato un evento realmente preoccupante.
In realtà, per ragioni mai completamente chiarite, dell’acqua era entrata a contatto con il gas nei serbatoi: questo aveva innescato una reazione chimica con aumento della temperatura e della pressione del gas, che iniziò a fuoriuscire all’esterno. Era previsto un sistema di refrigerazione di emergenza, ma era spento, e vari sistemi di emergenza per bloccare o bruciare il gas non funzionarono, perché disattivati o guasti. Anche le sirene di allarme automatiche erano state disattivate: suonarono solo nella notte, attivate manualmente quando ormai nell’area era percepibile la presenza del gas. In due ore più di 42 tonnellate di isocianato di metile uscirono all’esterno.
Non è mai stato completamente chiarito come l’acqua sia entrata nei serbatoi: in quei giorni alcuni operai stavano ripulendo con getti d’acqua dei condotti ostruiti. L’acqua potrebbe essere penetrata attraverso valvole malfunzionanti. Nelle successive indagini però non è mai stato possibile riprodurre le condizioni che avrebbero portato alla contaminazione accidentale. L’azienda in seguito sostenne la tesi del sabotaggio volontario da parte di un dipendente scontento, anche per provare a ridimensionare le proprie responsabilità.
La nube tossica si diresse verso sud-est, in direzione di Bhopal, e in primo luogo verso i suoi quartieri più poveri adiacenti allo stabilimento, i cosiddetti slum. Quando le persone vengono a contatto con il MIC sentono subito un fortissimo bruciore agli occhi e iniziano a tossire, e molti a vomitare.
Nel giro di poco tempo l’effetto è spesso un edema polmonare: l’organismo cerca di eliminare le tossine dai polmoni producendo una grande quantità di liquido. Accumulandosi all’interno degli alveoli, il luogo in cui avviene lo scambio tra ossigeno e anidride carbonica nella circolazione sanguigna, il liquido può portare alla morte per soffocamento. A migliaia morirono così, nelle prime ore, senza capire nemmeno cosa stesse succedendo: altri cercarono di scappare, senza sapere bene dove, e nella calca alcuni morirono schiacciati.
Altre migliaia di persone morirono nei giorni successivi per gli effetti della contaminazione: non si è mai arrivati a un numero certo. La stima ufficiale di oltre 5.479 morti viene considerata molto “prudente”: solo nelle prime settimane i morti potrebbero essere stati quasi 10mila, 170mila persone ricevettero cure mediche, 500mila furono esposte alla contaminazione.
Ma gli effetti del disastro sono continuati per generazioni: è stato calcolato che le morti complessive potrebbero essere state 25mila, e che 560mila persone abbiano avuto danni gravi o irreversibili (molti riguardavano gli occhi e la vista). Nell’area di Bhopal furono infatti contaminate anche le falde acquifere, che rifornivano 42 quartieri: Union Carbide verificò che le acque erano «contaminate in modo letale» in alcuni test del 1989, che però mantenne segreti. Solo dieci anni dopo, nel 1999, fu dimostrato anche l’inquinamento delle acque, grazie a una inchiesta dell’organizzazione ambientalista Greenpeace.
Ogni anno, ancora oggi, numerosi bambini nella zona attorno al vecchio impianto nascono malformati e con gravi disfunzioni. I casi di cancro, di diabete e di altre malattie croniche sono più alti rispetto alla media nazionale.
Nelle ore immediatamente successive all’incidente l’amministratore delegato di Union Carbide, Warren Anderson, arrivò in India con una squadra di tecnici: fu arrestato all’aeroporto, ma pochi giorni dopo, pare su pressione del primo ministro dello stato Arjun Singh, fu rilasciato su cauzione (1.200 dollari), viaggiò con un volo governativo a Delhi e ottenne il permesso di tornare negli Stati Uniti. Singh intanto già nella mattinata del 3 dicembre era volato a 550 chilometri di distanza da Bhopal. L’India in seguito chiese più volte l’estradizione di Anderson, che il governo degli Stati Uniti respinse sempre. È morto nel 2014, a 92 anni, in Florida.
Il processo per i danni causati dall’azienda si chiuse nel 1989 con un accordo extraprocessuale fra l’azienda e il governo indiano: Union Carbide pagò 470 milioni di dollari di compensazione, ma le vittime dell’incidente e le loro famiglie non furono consultate. Per la gran parte di loro gli indennizzi non superarono i 500 dollari, una cifra che ai sopravvissuti non bastava nemmeno per coprire le spese mediche.
Nel corso degli anni ci sono stati vari tentativi, alcuni ancora in corso, di perseguire nuovamente l’azienda e chiedere nuovi rimborsi: la Corte Suprema indiana ha respinto il più importante nel 2023. La società fu acquisita nel 2001 dalla Dow Chemical, i cui legali sostengono che l’accordo raggiunto tra Union Carbide e governo ha di fatto esaurito ogni possibile futura richiesta contro la società per il disastro ambientale. Per lo stesso motivo vecchia e nuova società si sono sempre rifiutate di procedere alla rimozione dei rifiuti tossici e alla bonifica dell’area, che a 40 anni di distanza resta ancora contaminata. Solo alcune ONG si occupano da anni di fornire cure riabilitative ai molti fra adulti e bambini che tuttora sono alle prese con malattie, disabilità fisiche e mentali.
Negli ultimi 15 anni il governo del Madhya Pradesh ha progressivamente aumentato l’area in cui distribuisce acqua potabile, da 14 a 42 quartieri, e bloccato molti accessi alle acque contaminate, che non vengono più bevute ma che parte della popolazione utilizza ancora.