Il mondo non si mette d’accordo sulla plastica
In Corea del Sud i negoziati per un trattato internazionale sono falliti e la questione è stata di nuovo rinviata
Manca meno di un mese alla fine di un anno che si sarebbe dovuto concludere con l’approvazione del primo trattato internazionale delle Nazioni Unite per ridurre l’inquinamento causato dalla plastica, ma qualcosa è andato storto. I paesi coinvolti non si sono messi d’accordo nel corso dell’ultima sessione di trattative a Busan, in Corea del Sud, soprattutto a causa dell’opposizione delle nazioni che producono grandi quantità di petrolio, la principale materia prima per produrre la plastica. Il confronto riprenderà il prossimo anno, ma al momento i programmi sono vaghi.
Come dimostrato in questi anni dalle Conferenze contro il cambiamento climatico, mettere d’accordo molti paesi sul modo per affrontare i problemi ambientali non è semplice, soprattutto se alcuni provvedimenti si scontrano con gli interessi di certe nazioni. I principali produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita, non vogliono regole troppo stringenti per la produzione di nuova plastica perché potrebbero incidere sulla domanda di idrocarburi, e di conseguenza sulle loro possibilità di sviluppo.
In più occasioni il trattato sulla plastica era stato definito come la prima vera occasione per regolamentare meglio un settore che si è espanso molto velocemente nell’ultimo secolo, senza che fossero decise regole comuni tra le nazioni per lo smaltimento dei suoi rifiuti. L’iniziativa era nata poco meno di tre anni fa, nel marzo del 2022, quando 175 paesi avevano sottoscritto a Nairobi, in Kenya, un impegno per adottare un documento internazionale sulla plastica. Da quel momento erano state avviate le trattative ed era stato costituito un comitato intergovernativo, con l’obiettivo molto ambizioso di arrivare all’approvazione di un trattato entro la fine di quest’anno.
L’incontro di Busan era considerato come l’occasione più importante per raggiungere un accordo, dopo gli alti e bassi delle trattative negli scorsi anni. Un centinaio di paesi, compresi quelli dell’Unione Europea e quindi l’Italia, aveva scelto di sostenere una proposta di Panama per inserire nel testo un chiaro riferimento alla necessità di ridurre la produzione di plastica portandola a «livelli sostenibili». La proposta non era però piaciuta ai rappresentanti dell’Arabia Saudita e di altri grandi produttori di petrolio, secondo i quali il trattato deve avere il solo scopo di ridurre l’inquinamento da plastica nell’ambiente e non la sua produzione. (Le trattative sono segrete, ma più fonti interne ai negoziati hanno confermato la contrarietà dei produttori di petrolio guidati dall’Arabia Saudita.)
I paesi che fanno parte della “High Ambition Coalition” (HAC), una coalizione internazionale che ha l’obiettivo di mettere fine all’inquinamento causato dalla plastica, avevano criticato già in passato i produttori di petrolio accusandoli di fare ostruzionismo durante le trattative. Tra i paesi che più o meno direttamente hanno ostacolato i lavori sono stati spesso segnalati la Russia e l’Iran, che come l’Arabia Saudita hanno economie che dipendono dall’estrazione dei combustibili fossili.
La scelta degli Stati Uniti nel corso dell’estate di sostenere con maggior forza la riduzione della produzione di plastica sembrava che potesse condizionare i lavori di Busan, ma secondo alcuni analisti la vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi ha cambiato gli equilibri. Trump ha in più occasioni dimostrato di non avere un particolare interesse per le questioni ambientali ed è a favore di un potenziamento delle attività estrattive. Facendo fallire i negoziati, gli stati interessati hanno ottenuto di prendere tempo in attesa dell’insediamento di Trump all’inizio del prossimo anno.
Anche la Cina, il principale produttore di plastica del mondo, non fa parte della HAC, ma ha comunque mantenuto un atteggiamento più aperto per lo meno nelle trattative sull’identificazione dei prodotti di plastica che inquinano di più. Sulla riduzione della produzione il governo cinese è invece contrario, sempre per l’impatto economico che potrebbe esserci per molti settori produttivi. Il coinvolgimento della Cina è però essenziale per intervenire sull’inquinamento da plastica.
Le stime variano molto, ma secondo quelle delle Nazioni Unite ogni anno si producono mediamente circa 400 milioni di tonnellate di nuova plastica, e il suo impiego è più che quadruplicato negli ultimi trent’anni. Agli attuali ritmi di crescita, entro il 2040 si potrebbe arrivare a oltre 700 milioni di tonnellate di nuova plastica prodotta ogni anno, con un aumentato rischio di inquinamento dei corsi d’acqua e dei mari, dove finisce una parte importante dei rifiuti.
Le attività di riciclo sono importanti per ridurre l’inquinamento ed evitare che si produca nuova plastica, ma la raccolta e il corretto trattamento dei rifiuti per riciclarli sono ancora poco diffusi. A livello globale si stima che meno del 10 per cento della plastica venga riciclato, il resto finisce nelle discariche, viene incenerito oppure disperso impropriamente nell’ambiente. Si stima che negli ambienti marini circa l’85 per cento di tutti i rifiuti siano materie plastiche.
Molti tipi di plastica impiegano decine di anni prima di iniziare a degradarsi e a separarsi in frammenti sempre più piccoli. Quelle con dimensioni inferiori a cinque millimetri sono definite “microplastiche” e si stima che abbiano contaminato praticamente qualsiasi ambiente conosciuto, con un impatto sulle specie viventi ancora in corso di valutazione, soprattutto per la salute umana.
La plastica è tra i materiali più diffusi e utilizzati al mondo, ha reso possibili importanti attività di ricerca, lo sviluppo di nuovi materiali in moltissimi ambiti e ha migliorato la qualità della vita di milioni di persone. La conservazione e la sicurezza dei cibi sono strettamente legate allo sviluppo della plastica, per esempio, così come molte attività in ambito sanitario. Metterla al bando sarebbe impossibile e non è nemmeno l’obiettivo del trattato, il cui scopo è di trovare regole comuni per evitare il più possibile che la plastica contamini gli ambienti e che se ne faccia un uso non responsabile.
Gli interessi economici sono però molto forti e sono diventati evidenti nell’aprile di quest’anno in Canada, durante alcune delle trattative per la stesura del trattato. Agli incontri erano presenti circa 200 lobbisti delle industrie petrolchimiche, più degli scienziati presenti per fornire dati e informazioni sull’impatto ambientale della plastica ai rappresentanti politici.
Come per altri negoziati sul clima, anche per il trattato sulla plastica è prevista un’approvazione all’unanimità ed è quindi sufficiente l’opposizione di uno o più stati per rallentare il processo o fermarlo completamente. Alcuni paesi approfittano della mancanza di una votazione vera e propria per ostacolare i negoziati, al tempo stesso senza esporsi più di tanto. Difficilmente le regole di approvazione saranno modificate per i prossimi passaggi delle trattative.
Il mancato accordo a Busan non è arrivato completamente inatteso, visti i tempi stretti che erano stati decisi per l’approvazione del trattato, ma avrà comunque conseguenze sulle prossime iniziative. Le trattative proseguiranno con nuovi negoziati, per i quali non sono ancora noti tempi e luogo.