Chi è e che storia ha Tommaso Foti, il nuovo ministro per gli Affari europei

È uno dei più esperti dirigenti di Fratelli d'Italia, ha posizioni radicali ed è molto legato alla sua città, Piacenza

di Valerio Valentini

Tommaso Foti alla Camera, il 7 agosto 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Tommaso Foti alla Camera, il 7 agosto 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Per Tommaso Foti la nomina a ministro per gli Affari europei è il punto più alto di una carriera politica che tante volte, come lui stesso ebbe modo di ricordare tempo fa, lo ha visto arrivare sulla soglia di importanti incarichi, salvo poi dovervi rinunciare per un motivo o per l’altro. L’ultima volta era stato nell’ottobre del 2022, quando il governo di Giorgia Meloni si formò e lui fu molto vicino a essere scelto per farne parte. Si diceva che potesse essere ministro del Turismo o dell’Agricoltura, o forse dei Rapporti col parlamento: le ipotesi erano varie, ma che un posto per lui ci sarebbe stato, in quel governo, tra i dirigenti di Fratelli d’Italia lo davano un po’ tutti per scontato.

Sennonché, proprio nei giorni decisivi dei negoziati tra i leader della destra, fu recuperata un po’ strumentalmente un’inchiesta in cui Foti era indagato per un presunto caso di corruzione: un imprenditore edile di Piacenza, la sua città, era stato intercettato mentre diceva di avergli dato tremila euro. La vicenda era piuttosto fumosa e lo scorso febbraio è stata chiesta l’archiviazione per Foti: ma tanto bastò a compromettere la sua posizione, e a costringerlo ad accettare la nomina a capogruppo alla Camera. Francesco Lollobrigida, che fino ad allora era stato capogruppo, venne invece nominato ministro dell’Agricoltura.

«Ma Tommaso non è uno che scalpita, è anzi uno che per disciplina di partito sta al suo posto e non porta rancore», disse all’epoca Lollobrigida, che del resto lo conosce come pochi, visto che nella scorsa legislatura, tra il 2018 e il 2022, lo ebbe come suo vice a Montecitorio. Chiesero allora a Lollobrigida se Foti avesse imparato da lui a fare il capogruppo, e lui rispose: «Semmai è il contrario: è stato lui a insegnarmi». Insomma, la scelta di Giorgia Meloni di affidare proprio a Foti un ministero impegnativo, con le stesse deleghe gestite da Raffaele Fitto – tranne quella per il Sud, che la presidente del Consiglio ha deciso di tenere per sé – nel frattempo diventato commissario europeo, sembra anche un po’ una ricompensa per un funzionario di partito dalla lunghissima militanza, «appassionato e coerente» lo ha definito Meloni in un comunicato lunedì mattina.

Tommaso Foti con Raffaele Fitto alla Camera, il primo ottobre 2023 (LaPresse)

Nella sua lunga militanza politica Foti, che oggi ha 64 anni, ha saputo in più di un’occasione farsi da parte e aspettare il suo turno: fin dall’inizio degli anni Novanta, almeno. All’epoca Gianfranco Fini, che era leader del Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito neofascista che è un po’ l’antenato di Fratelli d’Italia, gli preferì in vari incarichi direttivi locali Marcello Bignami, dirigente storico della destra bolognese anche se padovano di nascita, e padre dell’attuale viceministro ai Trasporti Galeazzo. Avrebbe potuto essere l’inizio di una rivalità politica, e invece tra i due ci fu sempre grande collaborazione.

Quasi trent’anni dopo, nel 2019, fu proprio Foti a insistere affinché Galeazzo Bignami lasciasse Forza Italia ed entrasse in Fratelli d’Italia. Ora, in un curioso incrocio, sarà Bignami a sostituire Foti come capogruppo alla Camera, lasciando vacante il suo incarico di viceministro ai Trasporti.

Nel 2020 il nome di Foti venne avanzato da Fratelli d’Italia come possibile candidato della destra alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, quelle della possibile «spallata», come venne chiamata, in cui cioè una eventuale vittoria della destra parve meno impensabile del solito: alla fine Matteo Salvini scelse di candidare Lucia Borgonzoni della Lega e il centrosinistra guidato da Stefano Bonaccini vinse di nuovo e con grande margine. Quando alcuni cronisti chiesero un commento sull’esito del voto a Foti, sperando magari in una sua dichiarazione maliziosa, lui si schermì ma al tempo stesso rivendicò una sua certa visione delle cose. Il punto era infatti che la candidatura di Borgonzoni era stata vista da tanti come troppo polarizzata, troppo ideologica, in una regione storicamente “rossa”, cioè che vota a sinistra. «Mi chiedete se non fosse il caso di trovare un candidato più moderato? E lo chiedete a me? E il moderato sarei io?», rispose scherzando Foti.

Proprio moderato, in effetti, Foti non lo è. Non lo è di carattere, spigoloso e assertivo, benché al dunque abile nel cercare compromessi, come racconta chi ha a che fare con lui ogni giorno, nell’ufficio di presidenza della Camera. Nell’aprile del 2023, quando la maggioranza non ottenne i voti necessari per approvare lo scostamento di bilancio – un provvedimento molto delicato con cui il parlamento autorizza il governo a spendere più del previsto, e per il quale non a caso è richiesta la maggioranza assoluta dei voti – lui da capogruppo si assunse la responsabilità dell’incidente davanti alla presidente del Consiglio, che era nel frattempo impegnata a Londra per un incontro col primo ministro britannico Rishi Sunak e che si arrabbiò moltissimo. Foti offrì le dimissioni a Meloni, che le respinse subito.

Oltre che di carattere, poco moderato Foti lo è anche nel profilo politico. «A destra, da sempre», è uno dei suoi motti. Iniziò la gavetta politica nella sua Piacenza come militante del Fronte della Gioventù (la giovanile del MSI) al liceo scientifico Respighi, «prima palestra di confronto e di scontro», come ricorda. Poi seguì Fini nella svolta istituzionale del 1995 che portò alla nascita di Alleanza Nazionale, e negli anni seguenti si legò sempre più a Giorgia Meloni. Foti fu con lei, insieme a Ignazio La Russa, Guido Crosetto e un’altra manciata di dirigenti, quando uscì dal Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi per fondare Fratelli d’Italia, nel 2012.

Il suo primo riferimento politico, che poi avrebbe definito anche «amico speciale» e «più d’ogni altro camerata», fu Carlo Tassi, storico parlamentare dell’MSI di Piacenza. Tassi divenne noto anche a livello nazionale quando, durante le votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica nel maggio del 1992, inveì contro i parlamentari della Democrazia Cristiana urlando a ripetizione «ladri, ladri» e sventolando delle manette nell’aula di Montecitorio, finendo poi rimproverato dal presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro in quello che resta un memorabile battibecco parlamentare. Scalfaro invitò Tassi a sedersi. «Mi indichi la norma del regolamento che mi obbliga a stare seduto», replicò il deputato del MSI. «Ma non c’è neppure nessuna norma che la obblighi a ragionare: è facoltativo», rispose Scalfaro, che pochi giorni dopo fu eletto capo dello Stato.

Le prese di posizione di Foti piuttosto clamorose sono parecchie, ed ebbero spesso rivendicazioni di appartenenza o di nostalgia che lui definì «goliardiche» ma che sono state quantomeno molto provocatorie. Una delle più celebri risale al 2020. In occasione del 25 aprile, giorno della Liberazione, Foti postò su Facebook un selfie con indosso una mascherina con su scritto «Boia chi molla», motto fascista. Poche ore dopo rimosse il post, dicendo di essere stato frainteso e che quel suo messaggio intendeva sottolineare come anche in un giorno di festa lui stesse andando al lavoro.

Anche sulle questioni europee, quelle cioè di cui dovrà occuparsi da ministro, le sue idee sono nette e abbastanza radicali. Tra i suoi colleghi di partito piacentini c’è chi ricorda un convegno da lui organizzato in città in vista delle elezioni europee del 2014, per ricordare Giorgio Almirante, storico leader del MSI, e una sua famosa citazione: «L’Europa o va a destra o non si fa». La stessa frase è tornata a circolare tra i deputati di Fratelli d’Italia negli scorsi giorni, dopo che nel voto del Parlamento Europeo in favore della commissione guidata da Ursula von der Leyen è emerso uno spostamento a destra della maggioranza.

Nel gennaio del 2023 intervenne nell’acceso dibattito sulla ratifica del nuovo trattato del MES, il Meccanismo europeo di stabilità per i paesi e le banche in crisi. Ricordando la storica opposizione della destra al trattato, disse che era il caso di essere molto prudenti, perché «dopo aver ratificato, non c’è più spazio per pentimenti. E allora sì che faremmo tutti la figura dei babbei». Nei prossimi mesi proprio il MES sarà uno degli argomenti di cui dovrà occuparsi da ministro.

Tommaso Foti alla Camera durante la discussione sulla ratifica del MES, il 5 luglio 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Nell’agosto del 2023 fece un certo rumore una sua intervista al Corriere della Sera nella quale auspicava un blocco generalizzato dei prezzi di vari beni di consumo per fronteggiare l’inflazione, che però difficilmente poteva essere esteso a livello europeo perché «in un libero mercato è difficile intervenire per legge». In quegli stessi giorni, in un’intervista alla Stampa auspicò l’introduzione di «una sorta di tetto al prezzo del petrolio». Quando l’intervistatore gli fece notare che c’era il rischio che sarebbe stata una promessa mancata come era stato nel caso del «blocco navale» auspicato dal suo partito per le imbarcazioni di migranti che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo, Foti rispose che «per blocco navale intendevamo dire che serviva un’operazione dell’Europa come con la Turchia, che si coordinasse con Libia e Tunisia».

Si è occupato anche di PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato coi fondi europei del Next Generation EU, cioè una delle sue principali nuove deleghe ministeriali, generando qualche polemica in parlamento. Nel dicembre del 2023 Foti presentò infatti una proposta di legge per limitare sensibilmente le facoltà di controllo preventivo della Corte dei Conti su presunti atti illegittimi da parte delle amministrazioni pubbliche sui progetti contenuti nel PNRR. L’intenzione era di agevolare le procedure di attuazione del Piano ed evitare che, per paura di possibili procedimenti giudiziari, i funzionari pubblici rinunciassero a dare le autorizzazioni necessarie. Per alcuni però quella proposta fu una sorta di ritorsione di Fratelli d’Italia nei confronti della Corte dei Conti, entrata in conflitto col ministro Fitto proprio sulla gestione dei fondi e dei programmi del PNRR.

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È il terzo piacentino a ricoprire un incarico ministeriale, dopo Pier Luigi Bersani e Paola De Micheli (che a differenza di Foti avevano frequentato il liceo classico Melchiorre Gioia), ma il primo di destra: e di questo Foti va molto fiero, legato com’è alla sua città, di cui è stato anche vicesindaco, e alla sua provincia che per molti emiliani «è già quasi Lombardia», ma che è ormai da anni la più a destra di una regione tendenzialmente di sinistra. Anche alle recenti elezioni regionali di metà novembre, dove la destra è stata battuta per 16 punti, nella sola provincia di Piacenza ha vinto di 15 punti, con Fratelli d’Italia al 37,5 per cento, 6 punti in più del Partito Democratico. Foti è una persona che sa mantenere relazioni e che sta molto sul territorio. Tra il 2014 e il 2018, quando fu l’unico consigliere regionale di Fratelli d’Italia eletto, spesso in occasione delle sedute più lunghe i funzionari di partito organizzavano delle cene nella casa bolognese di Galeazzo Bignami (il menù fisso, a quanto si racconta, prevedeva le tagliatelle della madre di Bignami). Foti quasi sempre non partecipava, richiamato nella sua città da impegni vari.

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A testimonianza di questo suo impegno per la città, nel giugno del 2023 ha presentato una proposta di legge, approvata poi in prima lettura dalla Camera, per riconoscere al teatro municipale di Piacenza lo statuto di monumento nazionale.

I suoi amici, che lo chiamano quasi tutti col diminutivo “Masino”, raccontano che l’unico ambito in cui le sue preferenze non vanno a qualcosa di piacentino è il vino, nonostante la grande tradizione della zona, essendo lui un amante dell’altoatesino Gewürztraminer. È tifoso interista, cosa che lo avvicina molto al presidente del Senato Ignazio La Russa.