L’Italia è un problema per Stellantis, e viceversa
Chi arriverà al posto di Carlos Tavares dovrà fare i conti con vendite in calo, lavoratori arrabbiati e rapporti tesi con il governo
Chi succederà a Carlos Tavares, che domenica sera si è dimesso da amministratore delegato di Stellantis, dovrà gestire il momento più complicato della storia del gruppo automobilistico, alle prese con un notevole calo delle vendite negli Stati Uniti e in Europa. I problemi da affrontare sono tanti, vengono da lontano, molti riguardano il mercato globale dell’auto, e non sarà facile risolverli in pochi mesi come chiedono gli investitori, i governi, i sindacati e i lavoratori.
L’Italia è un problema nel problema, perché da mesi gli stabilimenti sono quasi fermi in attesa di un piano industriale mai arrivato. Migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione, i rapporti con i sindacati sono ormai logori, così come quelli con il governo che più volte ha chiesto maggiori investimenti in Italia, invano.
In Italia nel settore automobilistico lavorano complessivamente 167mila persone, che diventano 1,2 milioni se si considera anche l’indotto diretto e indiretto, cioè la rete di aziende e professionisti coinvolti. Tutto il comparto genera nel complesso 90 miliardi di euro di fatturato all’anno e incide sul PIL, il prodotto interno lordo, per il 5,2 per cento. Ha insomma un impatto enorme sull’economia del paese. Circa i tre quarti di queste imprese hanno a che vedere con Stellantis, in maniera più o meno diretta e più o meno esclusiva. Non si chiama più Fiat, non è più italiana, eppure da Stellantis dipende la tenuta di buona parte del sistema industriale italiano.
Al ritmo tenuto negli ultimi mesi, in tutto il 2024 Stellantis produrrà circa 500mila veicoli negli stabilimenti italiani (i principali sono Mirafiori in Piemonte, Cassino in Lazio, Pomigliano in Campania, Melfi in Basilicata e Atessa in Abruzzo). È uno dei dati più bassi degli ultimi 20 anni. Nel 2023 aveva prodotto 752mila veicoli in Italia, di cui 521mila auto. Stellantis ha promesso più volte che entro il 2030 avrebbe raggiunto il milione di veicoli prodotti in Italia, un obiettivo che garantirebbe lavoro ai suoi 22mila dipendenti diretti ricorrendo molto meno alla cassa integrazione. Per come sono andate le cose finora, però, quella quota non sembra facilmente raggiungibile nel giro di cinque anni.
Nell’ultimo anno la produzione di auto è stata fermata più volte soprattutto a Mirafiori, a Torino, uno degli stabilimenti simbolo della Fiat, dove alla fine di novembre è stata annunciata una lunga chiusura per le festività natalizie, dal 18 dicembre al 5 gennaio. I sindacati temono che all’inizio dell’anno la sospensione verrà prorogata ancora, come successo negli ultimi mesi quando lo stabilimento era già stato chiuso a lungo. Stellantis ha spiegato in una nota che la sospensione è dovuta alle basse vendite delle auto di lusso in Cina e Stati Uniti, e delle auto elettriche in Europa. Il 97 per cento della produzione di Mirafiori è costituito dalla 500 elettrica.
In Europa gli ultimi dati disponibili relativi alle vendite sono dello scorso ottobre, quando il gruppo ha venduto poco più di 150mila auto, il 16,7 per cento in meno rispetto allo stesso mese del 2023. Le quote di mercato, cioè quante auto di Stellantis vengono vendute sul totale, sono state del 14,4 per cento contro il 17,4 per cento di un anno fa. Dall’inizio dell’anno sono stati venduti 1,7 milioni di veicoli, con una diminuzione del 7,1 per cento rispetto al 2023.
Da gennaio a ottobre Stellantis ha venduto quasi 400mila auto in Italia, l’8 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. È diminuita anche la quota di mercato, passata dal 32,8 per cento al 29,9. Il calo delle vendite è stato usato da Stellantis per giustificare la sospensione della produzione in quasi tutti gli stabilimenti italiani, dove ormai si produce una quota marginale dei veicoli del gruppo.
Oltre che marginale quantitativamente, la produzione italiana di Stellantis lo è anche per qualità. Negli ultimi anni, infatti, l’azienda ha spostato all’estero la produzione di molte auto del marchio Fiat e ha lasciato in Italia pochi modelli, spesso datati. La nuova Topolino elettrica viene realizzata in Marocco, la 600 elettrica e ibrida a Tychy, in Polonia, Fiat Doblò viene costruito tra Spagna e Portogallo, il van E-Ulysse in Francia, mentre la Grande Panda in Serbia. I reparti di ricerca e sviluppo, dove vengono pensati e disegnati i nuovi modelli, sono stati riorganizzati e ridotti, in alcuni casi spostati all’estero: Stellantis ha proposto generosi incentivi al licenziamento, accettati da molti tecnici e ingegneri italiani oltre che dagli operai.
L’impoverimento dell’offerta di Stellantis ha avuto effetti sulle quote di mercato anche perché da anni ormai l’azienda fatica a interpretare il cambiamento della domanda, cioè il fatto che le persone comprano sempre meno auto e quando ne comprano una la tengono molti più anni rispetto al passato. Per di più in Italia e in Europa la domanda di modelli elettrici è ancora bassa a causa di una certa diffidenza nei confronti dell’autonomia delle batterie e in generale di questa tecnologia. Anche la concorrenza della Cina fa la sua parte: i produttori cinesi sono più reattivi e godono dei vantaggi garantiti da anni di sviluppo sostenuto da investimenti pubblici miliardari.
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Tavares invece ha puntato proprio sull’elettrico e su un aumento dei costi che soprattutto negli Stati Uniti ha causato un crollo delle vendite. «Purtroppo Stellantis ha deciso di far pagare a tutti gli italiani la sua scelta di aumentare i profitti nell’immediato, senza un piano in prospettiva futura», dice Gianni Mannori, responsabile della Fiom nello stabilimento di Mirafiori, dove dall’autunno del 2025 dovrebbe essere prodotta la 500 ibrida. L’arrivo di questo modello è considerato l’unico modo per evitare la chiusura definitiva dello stabilimento e il licenziamento di migliaia di operai. «Ma vedremo come sarà l’effetto sul mercato, perché sarà quello che determinerà il tempo in cui la 500 ibrida sarà prodotta a Mirafiori», continua Mannori. «È a causa di questa incertezza che in Italia dovrebbero essere portati più modelli per dare stabilità all’industria dell’auto, solo che Stellantis non ci ascolta. Non ci ha mai ascoltato».
Oltre alle basse vendite, Tavares ha sempre detto ai sindacati che produrre in Italia è proibitivo per via dei prezzi dell’energia e del costo del lavoro, cioè di stipendi, contributi e tasse. Sull’energia non ha torto – in Italia nel 2023 costava circa il 40 per cento in più rispetto alla Spagna e il 30 per cento in più rispetto alla Francia – mentre il costo del lavoro in Italia è simile se non inferiore a quello di molti paesi europei. Il calo delle vendite ha portato Tavares a chiedere con ancora più insistenza nuovi incentivi statali, cioè contributi pubblici per aiutare le persone a liberarsi della vecchia auto per comprarne una nuova.
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La concessione degli incentivi è stato uno dei motivi di confronti aspri con il governo italiano, che accusa Stellantis di aver spostato all’estero la produzione di auto a marchio Fiat e di avere relegato l’Italia a un ruolo sempre più marginale.
A fine gennaio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni disse alla Camera: «se si vuole vendere un’auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come gioiello italiano, allora quell’auto deve essere prodotta in Italia». Pochi giorni dopo Tavares diede un’intervista a Bloomberg in cui replicò con irritazione: «Tutto questo è un capro espiatorio per cercare di evitare di assumersi la responsabilità del fatto che, se non si danno sussidi per l’acquisto di auto elettriche, si mettono a rischio gli impianti italiani».
Questo è stato solo il primo di vari duri confronti tra Tavares e il governo italiano, andati avanti nei mesi successivi, ancora più duri a causa di diverse promesse non rispettate da Stellantis: su tutte, la costruzione di una gigafactory a Termoli, cioè un impianto per produrre le batterie dei veicoli elettrici. L’obiettivo iniziale, poi sfumato, era di metterla in funzione per l’aprile del 2026, con 1.800 assunzioni.
Anche la politica ha le sue responsabilità in questa gestione che ha portato l’Italia a essere sempre meno centrale per Stellantis. Negli ultimi decenni nessun governo ha avuto il coraggio e la forza di creare le condizioni per interrompere il monopolio e aprire alla concorrenza. Le conseguenze di una politica industriale quasi assente sono evidenti: l’Italia non può fare a meno di Stellantis, ma non ha saputo creare un’alternativa.
L’esistenza di un unico produttore di auto ha condizionato l’intera filiera dell’industria del settore: ha scoraggiato anche gli investimenti delle aziende fornitrici di componentistica, che in Italia sono migliaia, ma di piccole dimensioni e dipendenti totalmente dalla produzione di Stellantis. A Torino gli effetti di questa situazione sono già concreti: il calo degli ordini dovuto alla sospensione della produzione nello stabilimento di Mirafiori ha fatto chiudere molte aziende e ci sono circa 30mila lavoratori a rischio. Lo stesso sta accadendo intorno agli altri stabilimenti in Campania e in Basilicata.
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