Per la legge italiana i data center non esistono

È un grosso problema, che sta rallentando e complicando molto investimenti miliardari nel paese

di Isaia Invernizzi

L'interno di un data center di IBM
L'interno di un data center di IBM (Connie Zhou/IBM)
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Dieci anni fa, quando l’azienda Data4 presentò un progetto per costruire un data center – un centro per l’elaborazione dei dati – in un’area industriale dismessa di Settimo Milanese, vicino a Milano, i tecnici del comune si trovarono a fare i conti con un problema non da poco: nelle leggi e nelle procedure amministrative italiane non c’erano riferimenti ai data center. Non trovarono indicazioni sulle regole per costruirli, sulle caratteristiche energetiche, nemmeno i riferimenti fiscali. Usarono quindi un po’ di creatività, adattando in qualche modo le norme di altri settori e inventandosene altre, pensate appositamente in quell’occasione. Presero spunto soprattutto dalle regole francesi. Dieci anni dopo, nonostante nel frattempo in Italia sia stato costruito oltre un centinaio di data center, il problema c’è ancora: per la legge italiana i data center continuano a non esistere.

Potrebbe sembrare una questione formale, una faccenda di carte bollate, ma la mancanza di norme rende più lunghi e complicati gli investimenti di un settore in forte crescita. Solo in Italia nei prossimi tre anni sono attesi 15 miliardi di investimenti e gli operatori – la maggior parte sono grandi gruppi e fondi internazionali – hanno sollecitato più volte il governo a trovare un rimedio in tempi rapidi.

La mancanza di regole ha portato le aziende a costruire dove il problema era già stato aggirato, come a Settimo Milanese. Il risultato è che la maggior parte degli investimenti si è concentrata al Nord e in particolare in Lombardia, l’unica regione italiana ad aver scritto delle linee guida. A Settimo Milanese molti altri operatori internazionali hanno approfittato della creatività di quella prima esperienza di dieci anni fa e da allora sono stati costruiti altri nove data center accanto al primo di Data4: quell’ex area industriale è così diventata uno dei più grandi complessi di data center dell’Europa meridionale.

I data center sono indispensabili per lo sviluppo della tecnologia e dei servizi digitali. Ne servono sempre di più, sono redditizi e per questo negli ultimi anni c’è stata una sorta di gara a costruirli un po’ ovunque nel mondo. Al loro interno vengono installati server, computer che lavorano in connessione tra loro dove vengono archiviati, custoditi e gestiti miliardi di dati. Dall’esterno invece sembrano normali capannoni, nella maggior parte dei casi grigi e anonimi.

La costruzione di un capannone deve rispettare norme urbanistiche di enti come comuni, province e Regioni, e prevedere servizi adeguati a seconda della funzione. Chi vuole realizzare un capannone commerciale è obbligato a costruire una quantità di parcheggi secondo parametri decisi dalla legge, chi vuole realizzare capannoni per la logistica deve costruire anche grandi piazzali e strade, e ogni tipologia di attività ha regole e obblighi diversi. I data center sono una cosa a parte perché non hanno niente a che fare con la logistica, con i centri commerciali o l’industria: non servono grandi parcheggi, né tanto meno enormi piazzali. Piuttosto hanno bisogno di posti sicuri, al riparo da possibili allagamenti o frane, e di una notevole quantità di energia elettrica.

Senza una classificazione chiara, molti operatori si sono presentati ai tecnici comunali con una richiesta di autorizzazione per capannoni industriali o logistici. «Alcuni di noi hanno chiesto permessi come operatori di telecomunicazioni, anche se in realtà i data center sono un’altra cosa», dice Sherif Rizkalla, presidente dell’IDA, Italian Datacenter Association, l’associazione che rappresenta il 90 per cento dei costruttori di data center in Italia.

In assenza di leggi, le procedure si sono rivelate incerte: in un comune la richiesta può andare a buon fine, in un altro no. Rizkalla dice che in Lombardia si possono ottenere il permesso di costruire e le autorizzazioni ambientali in un anno, a Roma si arriva fino a quattro o cinque anni perché non ci sono regole condivise: «Facciamo prima a investire al Nord che altrove. Stiamo spingendo con le istituzioni per avere un quadro normativo semplice, veloce e trasparente. Ora è lasciato tutto all’interpretazione dei singoli comuni».

La capacità dei data center viene indicata in megawatt, la misura della potenza elettrica utilizzata. Le aperture del 2023 hanno portato la potenza energetica attiva in Italia a un totale di 430 megawatt, in aumento del 23 per cento rispetto al 2022. Soltanto in provincia di Milano ci sono data center per 184 megawatt. Se gli annunci di investimenti saranno rispettati – molto dipende anche dalle autorizzazioni – nei prossimi tre anni la potenza complessiva raddoppierà. Luca Dozio, direttore dell’osservatorio data center del politecnico di Milano, spiega che l’Italia può sfruttare un’opportunità dovuta alla saturazione di altri mercati come quello francese, inglese, olandese, irlandese e tedesco: «I grandi operatori stanno guardando sempre più con interesse cosa succede in Italia, Spagna, Svizzera e Polonia».

La richiesta di energia di queste strutture è notevole: i data center ne hanno bisogno in modo costante, 24 ore al giorno, tutti i giorni dell’anno. La loro attività non è legata a cicli produttivi o influenzata dalla stagionalità. Circa metà dell’energia viene usata dal sistema di raffreddamento: bisogna estrarre l’aria calda dai server, che lavorando si scaldano come qualsiasi computer.

In Italia il costo dell’energia elettrica – circa il 40 per cento in più rispetto alla Spagna e il 30 per cento in più rispetto alla Francia, nel 2023 – è un altro problema che può scoraggiare gli investimenti internazionali. Molti data center hanno iniziato a installare pannelli solari per risparmiare energia, una soluzione che potrebbe incentivare la costruzione di nuovi impianti nelle regioni meridionali. «Il Sud ha anche un’altra carta da giocare, quella della connettività: c’è una buona infrastruttura di connessione con cavi marini verso il Medio Oriente», dice Rizkalla. «Anche in questo caso, però, oggi è tutto un po’ vincolato dalla mancanza di norme certe».

Lo scorso luglio la deputata di Azione Giulia Pastorella ha presentato una proposta di legge delega per riconoscere i data center. Per prima cosa la proposta prevede di introdurre nella normativa italiana la definizione di data center e di definire procedure di approvazione semplificate per queste infrastrutture. Viene chiesto di introdurre un codice Ateco specifico, cioè un codice che identifica l’attività economica, e di favorire il potenziamento della rete elettrica nazionale. «Gli investitori fanno i calcoli velocemente: se la mancanza di una normativa nazionale fa perdere tempo si rivolgono ad altri paesi», dice Pastorella. «Siamo in competizione con l’Europa e non possiamo permetterci di perdere opportunità per un problema del genere. Questo non è un settore che ha bisogno di aiuti e soldi, ma di favorire gli investimenti».

Alla fine di ottobre il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha annunciato che verrà presentato un disegno di legge collegato alla legge di Bilancio che ricalca quasi totalmente la proposta fatta qualche mese prima da Pastorella. In particolare Urso ha detto che verrà introdotto un codice Ateco per i data center. Durante un convegno organizzato dall’IDA il capo di gabinetto del ministero, Federico Eichberg, ha spiegato che le novità consentiranno di avere regole certe a livello nazionale. Per gli investimenti superiori al miliardo di euro, inoltre, il governo potrà nominare un commissario straordinario per velocizzare le pratiche e tutti gli aspetti burocratici. Insomma, qualcosa si sta muovendo anche se per ora non è stato approvato nulla.

Il governo sembra essersi deciso dopo aver ascoltato alcune grandi aziende. All’inizio di ottobre per esempio il presidente di Microsoft, Brad Smith, ha incontrato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Smith ha annunciato un investimento di 4,3 miliardi di euro in Italia nei prossimi due anni proprio per espandere la sua rete di data center dedicati alla tecnologia cloud e all’intelligenza artificiale.