L’estrema destra vuole ripetersi alle elezioni parlamentari in Romania
Il candidato nazionalista che ha vinto il primo turno delle presidenziali non ha un partito che partecipa, ma potrebbe andare bene quello in cui era prima
Călin Georgescu, il candidato nazionalista e filoputiniano che ha vinto a sorpresa il primo turno delle presidenziali in Romania, non ha un partito che partecipa alle elezioni parlamentari di questa domenica. Ma le elezioni sono comunque considerate un test sulla crescente popolarità dell’estrema destra nel paese, anche visto quando si tengono: tra il primo turno delle presidenziali di cui saranno ricontati i voti (se non sarà proprio ripetuto) e il ballottaggio dell’8 dicembre.
Georgescu è un ex esponente dell’Alleanza per l’unità dei romeni (AUR), di estrema destra, con posizioni simili alle sue: se chi l’ha votato sosterrà AUR, il partito potrebbe confermare il primo posto che gli attribuisce uno degli ultimi sondaggi, un risultato che non si era mai verificato. Nelle intenzioni di voto altri due partiti di estrema destra sono dati attorno alla soglia di sbarramento del 5 per cento: il Partito dei giovani e SOS Romania dell’eurodeputata Diana Șoșoacă, che la Corte costituzionale aveva escluso dalle presidenziali per le sue posizioni antisemite e filorusse.
Le elezioni parlamentari sono più importanti delle presidenziali, perché decidono il governo (anche se comunque il presidente ha un ruolo attivo in politica, nomina il primo ministro e rappresenta il paese all’estero). Di solito il compito di esprimerlo viene assegnato al partito che riceve maggiori consensi, ma non è scontato che AUR e i suoi eventuali alleati di estrema destra otterranno un numero sufficiente dei 466 seggi di Camera e Senato per arrivare alla maggioranza.
Il governo uscente era guidato da Marcel Ciolacu, il leader del Partito socialdemocratico (PSD) che si è candidato alle presidenziali ma è arrivato terzo. Dal 2021 il PSD governa insieme al Partito Nazionale Liberale (PNL) in una cosiddetta “grande coalizione”, cioè un’alleanza tra i maggiori partiti di centrosinistra e centrodestra che fino a quel momento erano stati avversari. PSD e PNL hanno dominato la politica romena dopo la fine del regime comunista nel 1989, gestendo passaggi storici come l’ingresso nella NATO del 2004 e nell’Unione Europea del 2007, ma sono più impopolari che in passato.
Il risultato di Georgescu ha galvanizzato lo schieramento di destra antisistema, che come detto è però diviso tra diversi partiti, di cui il principale è AUR. Il suo leader, George Simion, si era candidato anche lui alle presidenziali, ma ha ottenuto solo il 13,9 per cento delle preferenze (contro il 22,3 per cento di Georgescu), arrivando quarto.
AUR, e anche SOS Romania, hanno cercato di intestarsi i consensi di Georgescu – e viceversa – insistendo sui punti comuni della proposta politica: valori cristiani, un nazionalismo revisionista sui movimenti nazifascisti romeni del Novecento, proposte economiche populiste, e maggiore autosufficienza (se non l’autarchia) della Romania dal punto di vista della sicurezza energetica e alimentare.
Il sito Politico Europe ha notato che le presidenziali hanno segnato una cesura tra i partiti più istituzionali, PSD e PNL, e quelli nuovi, di più recente formazione.
Tra i secondi, oltre ad AUR, c’è il partito liberale di centrodestra Unione Salva Romania (USR) di Elena Lasconi, la sfidante di Georgescu al ballottaggio, che è stato fondato nel 2016. Nonostante Lasconi abbia presentato il secondo turno come «una battaglia esistenziale» per la democrazia, ha espresso dubbi sui ricorsi del PSD alla Corte costituzionale, che hanno portato alla decisione di ricontare i voti. Lasconi li ritiene un’interferenza che rischia di fare il gioco della destra (al primo turno ha superato Ciolacu, il leader del PSD, di soli 2.700 voti).
Al tempo stesso, un buon risultato dell’estrema destra costituirebbe un grosso incentivo ad allearsi per i partiti europeisti (un po’ come è avvenuto in Austria). Peraltro, in previsione del ballottaggio, Georgescu ha cercato di dare rassicurazioni sulle sue posizioni più estreme, dicendo che non vuole portare la Romania fuori dall’Unione Europea e dalla NATO.
Georgescu è accusato dai suoi oppositori di non aver dichiarato i fondi con cui ha finanziato la sua campagna sul social TikTok, facendo ampio uso di bot (cioè di account automatici manovrati in massa per accrescere i commenti e le visualizzazioni dei contenuti) e sponsorizzando contenuti politici nonostante sia vietato dalle regole della piattaforma. In questi giorni l’ente regolatore dei media ha proposto la sospensione di TikTok dopo aver chiesto alla Commissione Europea di aprire un’indagine per accertare se e quanto abbia influito sulle elezioni.
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