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  • Venerdì 29 novembre 2024

I populisti vanno forte su TikTok

Politici come Georgescu, Bardella o Kennedy Jr. si comportano più come influencer che come candidati, e questo piace molto agli utenti e all'algoritmo

Frame dei video su TikTok di Nigel Farage, Calin Georgescu e Robert Kennedy Jr.
Frame dei video su TikTok di Nigel Farage, Calin Georgescu e Robert Kennedy Jr. (dai loro profili)
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La vittoria a sorpresa di Calin Georgescu, candidato nazionalista e filorusso, al primo turno delle presidenziali in Romania, è almeno in parte dovuta alla grande quantità di contenuti pubblicati su TikTok, che hanno attratto e convinto un numero inatteso di elettori. Questo sta avvenendo non soltanto in Romania: in tutta Europa sulla piattaforma cinese vanno forte soprattutto i candidati populisti.

Martedì l’ente regolatore dei media della Romania ha chiesto alla Commissione Europea di aprire un’indagine per accertare se e quanto TikTok abbia influito sulle elezioni (per le quali la Corte costituzionale ha ordinato di ricontare i voti). Mercoledì il vicepresidente dell’ente, Pavel Popescu, ha proposto di sospendere TikTok, ritenendo che possa «aver manipolato il processo elettorale», e giovedì il presidente uscente Klaus Iohannis ha convocato una riunione del Consiglio nazionale della sicurezza sul tema.

La comunicazione su TikTok di Georgescu è ritenuta uno dei fattori della sua rimonta (nei sondaggi prima del voto era molto staccato dagli altri candidati). Georgescu è stato accusato di non aver rispettato le regole sulla comunicazione politica, e di avere utilizzato TikTok in maniera impropria, con il benestare della piattaforma stessa. La strategia di comunicazione di Georgescu, secondo i suoi critici, avrebbe fatto ampio uso di bot, cioè di account falsi manovrati in massa per accrescere i commenti e le visualizzazioni dei contenuti. Su TikTok inoltre sarebbe vietato sponsorizzare i messaggi politici, ma non è chiaro quando Georgescu abbia fatto uso delle sponsorizzazioni. Il primo ministro romeno Marcel Ciolacu, del Partito Socialdemocratico, ha chiesto di investigare con quali fondi Georgescu abbia finanziato la sua campagna sui social.

Un portavoce di TikTok ha detto a Politico che le accuse di aver influenzato le elezioni romene sono «inaccurate e svianti» e che la piattaforma ha collaborato con la Commissione elettorale romena.

Georgescu non è ovviamente l’unico candidato o leader politico che sta su TikTok. In generale il social è ritenuto fondamentale per rivolgersi alla parte più giovane dell’elettorato, visto che circa il 70 per cento dei suoi utenti (un miliardo in tutto) ha meno di 35 anni e il 36 per cento meno di 25.

Ci sono anche dei critici: l’eurodeputato Raphaël Glucksmann, uno dei leader dei Socialisti francesi, ha smesso di utilizzare TikTok denunciando il rischio di interferenze straniere attraverso la piattaforma. La sua scelta, però, è piuttosto isolata. Per restare in Francia, il presidente del partito di estrema destra Rassemblement National, Jordan Bardella, ha puntato su questo social per aumentare la sua popolarità, e ci è riuscito.

I contenuti del suo profilo sono a loro modo esemplari della tattica social degli altri partiti di estrema destra. È raro che ci siano appelli al voto o anche solo il nome del partito o di Marine Le Pen, la leader storica del Rassemblement National. Non è immediato neppure capire che Bardella sia un politico, se non lo si conosce già, perché si presenta più come un influencer. In questo momento Bardella è preso dalla promozione del suo libro, finalizzato a prepararsi alla successione a Le Pen – o ad anticiparla: lei rischia di non potersi ricandidare alle presidenziali per un processo sull’uso improprio di fondi europei.

Nei video si vede Bardella ricevere regali dai fan, soprattutto cibo e spuntini. Altri sono meme: in uno lo si vede bere una birra piccola sotto il testo: «POV: Bevi le lacrime dei macroniani», cioè i suoi avversari politici. Anche questo fa parte del processo di “normalizzazione” del Rassemblement National, cioè dare un’immagine più moderata e rassicurante a un partito che ha una pesante eredità razzista e antisemita, per espanderne la base elettorale.

Mostrarsi “simpatici” serve alla stessa cosa: provare ad aumentare i consensi e raggiungere una fascia anagrafica che non bazzica i media tradizionali. Lo ha fatto pure il presidente Emmanuel Macron, da tempo impopolare, che si è prestato ad alcune lezioni spiritose sulla lingua francese.

L’esempio di Macron dà l’idea del perché abbiano account sulla piattaforma anche istituzioni – come il Parlamento Europeo – che vietano il social sui dispositivi aziendali dei loro dipendenti per le ragioni dette sopra. Leïla Chaibi, un’eurodeputata della Sinistra, ha spiegato che bisogna andare sui social perché le persone ci vanno e che «non possiamo permetterci di aspettare», per non lasciare alla destra populista una sorta di monopolio su TikTok.

Non è una tesi infondata, come ha dimostrato un’analisi di Politico poco prima delle elezioni europee dello scorso giugno. I gruppi di destra ed estrema destra hanno avuto, in termini di follower e like, una visibilità decisamente superiore agli altri del Parlamento Europeo, che si sono mossi in ritardo. La cosa si deve sia a un numero maggiore di profili in rapporto agli eurodeputati sia, soprattutto, alla frequenza con cui postano, che nella maggior parte dei casi è quotidiana.

Il partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (AfD) e la sua leader Alice Weidel hanno un approccio più tradizionale. Vengono pubblicati soprattutto spezzoni di discorsi parlamentari o interviste, quasi sempre con una durata inferiore al minuto, ma con una grafica molto riconoscibile e omogenea. Prima di venire espulso, l’eurodeputato Maximilian Krah era uno degli influencer politici più noti di AfD. Weidel è comunque una delle cinque politiche tedesche con più seguito su TikTok.

In teoria i messaggi di AfD – polarizzanti, nazionalisti, estremi – dovrebbero essere agli antipodi delle regole di moderazione della piattaforma, eppure generano interazioni, e finiscono per essere promossi dall’algoritmo. L’impegno su TikTok di AfD ha funzionato per aumentare i consensi tra i giovani sia alle europee (sono triplicati tra chi ha meno di 24 anni d’età) sia nelle recenti elezioni statali nella Germania orientale.

Secondo l’ultimo report del Reuters Institute, TikTok resta il social più popolare tra chi ha meno di 24 anni ed è aumentata la percentuale di chi lo utilizza per informarsi: lo fa il 23 per cento di questa fascia demografica più giovane. Molti dei politici su TikTok si mostrano consapevoli del pubblico, che ha un’età media più bassa rispetto alle altre piattaforme, e adattano i loro contenuti o li personalizzano invece che limitarsi a “riversare” quelli che pubblicano altrove.

Per esempio sul profilo di Nigel Farage, leader del partito sovranista britannico Reform UK, ci sono video in cui consiglia agli studenti del primo anno di università di divertirsi, o mostra i biglietti di auguri natalizi mandatigli da una scuola elementare del suo collegio elettorale. C’è anche un video insieme a Barron Trump, che ha aiutato il padre Donald Trump a conquistare il cosiddetto “bro vote”, il voto dei giovani elettori maschi (tra i 18 e i 30 anni circa) che tendono storicamente a votare poco.

Lo stesso Trump (padre) ha aperto un profilo su TikTok. Per lui vale una considerazione che si può fare anche per il presidente argentino di destra, Javier Milei, che non pubblica spessissimo sulla piattaforma, ma fin dall’inizio ha potuto contare su una rete molto ampia di profili collegati a lui (nel caso di Mieli @elPelucaMilei e @mileicortos), con centinaia di migliaia di follower, che condividono video di fatto propagandistici, con un montaggio serrato ed emozionale (“edit”, in gergo).

Dell’amministrazione di Trump farà parte, come segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr.: anche lui ha una forte presenza su TikTok, dove (prima di appoggiare Trump) aveva organizzato una specie di controdibattito presidenziale, contestando la sua esclusione da quello ufficiale. Kennedy Jr. ha fatto una comunicazione piuttosto bizzarra sul social, contraddistinta da video dove maneggia diversi animali tra i quali un serpente, un granchio e una lucertola, parlandone come fossero animali domestici. Gli è servito per consolidare la reputazione di ambientalista, che aveva all’inizio della sua carriera, quando era un celebre attivista.

In altri video Kennedy Jr. ha sostenuto teorie complottistiche sui vaccini, sulle case farmaceutiche, sull’assassinio di suo zio John Fitzgerald Kennedy da parte della CIA. Peraltro, secondo un’analisi della ong Global Witness, TikTok ha approvato spot elettorali che contenevano disinformazione durante la campagna delle presidenziali statunitensi.

Durante il suo primo mandato Trump aveva cercato di far chiudere TikTok negli Stati Uniti, nell’ambito di una serie di ritorsioni economiche nei confronti della Cina, ma durante l’ultima campagna elettorale ha cambiato idea, e ora ci sono aspettative che ritiri o sospenda la legge federale che impone a ByteDance di vendere entro il 19 gennaio la sua divisione statunitense.

Su TikTok funzionano i video grotteschi, come alcuni di quelli di Kennedy Jr., o ridicoli. Da tempo la propaganda del presidente venezuelano Nicolás Maduro ha adottato toni simili per dargli un’immagine innocua e amichevole, nonostante la repressione sistematica del suo regime. Per Maduro è strumentale usare una piattaforma social cinese, visto che accusa quelle occidentali (e soprattutto X) di censurarlo.

Una grossa domanda, a cui non c’è ancora una risposta, è se i politici populisti vanno forte su TikTok perché i loro messaggi sono più adatti alla piattaforma, perché i loro staff la sanno usare meglio. Oppure perché – come sostengono i più critici – i messaggi divisivi vengono effettivamente spinti dall’algoritmo che seleziona quali contenuti sottoporre agli utenti (non si sa: le piattaforme social non sono trasparenti sul funzionamento dei loro algoritmi).

Un problema, infine, è che la maggioranza degli studi esistenti si è finora concentrata sui partiti di destra, anche perché sono stati spesso i primi a intuire il potenziale di TikTok per la comunicazione politica. Uno di questi, pubblicato sul Journal of Contemporary European Studies, ha rilevato che contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare i partiti sovranisti puntano molto su messaggi positivi e ispirazionali e, come visto, adattano il loro modo di comunicare alle specificità del mezzo.

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