Le grandi proteste in Georgia contro la decisione del governo sull’Unione Europea
Che è vicino alla Russia di Putin e che ha deciso di posticipare al 2028 i colloqui per l'adesione
In Georgia ci sono sono state proteste e scontri tra manifestanti e polizia dopo che giovedì sera il primo ministro Irakli Kobakhidze, vicino alle posizioni del regime del presidente russo Vladimir Putin, ha detto che il paese non parteciperà ai negoziati per aderire all’Unione Europea prima della fine del 2028.
Dopo l’annuncio, nella serata di giovedì, decine di migliaia di manifestanti che sventolavano bandiere del paese, dell’Unione Europea e dell’Ucraina, si sono riunite davanti al parlamento di Tbilisi, la capitale del paese, e per le strade. Alcuni gruppi hanno anche provato a forzare i cancelli e a entrare. In piazza si sono sentiti slogan contro il governo e accuse nei suoi confronti di essere «schiavo», o «a servizio dei russi». La polizia è intervenuta per reprimere i manifestanti usando idranti e gas lacrimogeni per cercare di disperderli.
A fine giornata il ministero dell’Interno del paese ha fatto sapere che 32 agenti di polizia sono rimasti feriti, due dei quali sono stati ricoverati in ospedale, e 43 manifestanti sono stati arrestati. Anche fra i manifestanti ci sono stati dei feriti, fra cui due leader dell’opposizione.
L’annuncio del governo georgiano è arrivato poche ore dopo che il Parlamento europeo aveva comunicato di aver adottato una risoluzione con cui condanna le elezioni parlamentari che si sono tenute nel paese il 26 ottobre citando «irregolarità significative» di cui il partito al governo Sogno georgiano «è pienamente responsabile».
La presidente filoeuropeista uscente, Salomé Zourabichvili, ha a sua volta partecipato alle manifestazioni di piazza dicendo che la decisione del governo sui negoziati con l’Europa «segna la fine del colpo di stato costituzionale in atto da settimane. Il percorso stabilito mesi fa, che ci ha portato dall’Europa alla Russia, è ormai concluso. Oggi questo governo illegittimo non ha dichiarato la pace, ma la guerra al suo stesso popolo».