Il controverso rifiuto della Francia di arrestare Netanyahu
Nonostante il mandato di arresto della Corte penale internazionale: c'entrano due articoli, o meglio, l'interpretazione di uno dei due
Negli ultimi giorni la possibilità di arrestare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, è diventata un tema di dibattito in diversi paesi. La questione per ora rimane teorica, perché per essere arrestato Netanyahu dovrebbe trovarsi nel territorio di uno dei paesi che hanno accettato la giurisdizione della Corte, e che quindi hanno firmato il trattato che l’ha fondata, cioè lo Statuto di Roma. Giorgia Meloni per esempio ha detto che l’Italia non ha ancora una posizione ufficiale al riguardo; altri stati, come Paesi Bassi e Spagna, hanno detto invece che l’arresterebbero.
Mercoledì la Francia è diventata invece il secondo paese europeo, dopo l’Ungheria di Viktor Orbán, a dire che non arresterebbe Netanyahu. La posizione del governo francese è stata molto discussa non solo per la decisione in sé, ma anche per gli argomenti usati per sostenerla. La Francia infatti ha fatto riferimento a un particolare articolo dello Statuto, l’articolo 98, che da tempo è diventato lo strumento usato da alcuni paesi per non applicare i mandati di arresto della Corte.
È un articolo che riguarda il principio dell’immunità, che nelle relazioni fra stati garantisce ai capi di stato e di governo che viaggiano in un altro paese mentre ricoprono il loro ruolo di non rischiare l’arresto e la persecuzione, per evitare che possano essere condizionati da pressioni esterne. Quindi, in ordine, un po’ di cose da cui partire.
La prima è che mentre la Francia è firmataria dello Statuto di Roma, e quindi è obbligata a rispettare le decisioni della Corte, Israele non lo è.
La seconda è che la Palestina accetta la giurisdizione della Corte dal 2014, e quindi la Corte ha potuto indagare sui crimini commessi da Israele nella Striscia di Gaza ed emettere poi il mandato di arresto contro Netanyahu.
La terza è che l’articolo 27 dello Statuto dice che l’immunità non può essere invocata per sottrarsi a un mandato d’arresto: obbliga quindi la Francia ad arrestare Netanyahu nel caso in cui il primo ministro israeliano entri in territorio francese, anche se Israele non è sottoposta alla giurisdizione della Corte.
La quarta è che la Francia dice – semplificando e approssimando – che l’articolo 98 prevale sull’articolo 27, e che quindi il suo obbligo è quello di garantire l’immunità a Netanyahu, non di arrestarlo.
La quinta è che in passato la Corte ha contestato questa interpretazione dell’articolo 98, sostenendo che non fosse corretta e che in presenza di un mandato di arresto il principio dell’immunità dovesse venire meno. Il problema ruota insomma attorno all’interpretazione dell’articolo 98 dello Statuto di Roma.
In parole semplici, l’articolo 98 dice che la Corte non può obbligare uno stato ad arrestare una persona protetta da immunità che provenga da uno «stato terzo» (in questo caso inteso come uno stato che non è parte dello Statuto di Roma) a meno che quello stato terzo non cooperi, revocando l’immunità del suo connazionale e permettendone l’arresto. La Francia sostiene quindi che, sulla base dell’articolo 98, finché Israele non accetta di cooperare con la Corte, non può eseguire il mandato d’arresto.
Le cose non stanno proprio così, almeno secondo la Corte.
– Ascolta: Globo – Chi arresterà Benjamin Netanyahu?, con Chantal Meloni
Al tempo della stesura dello Statuto di Roma, l’articolo 98 non venne considerato particolarmente importante e non fu oggetto di vero dibattito: tentativi successivi di capire la genesi di quell’articolo non portarono a nulla di certo. Nel tempo, come detto, è stato però interpretato come via per sottrarsi all’obbligo imposto dalla Corte a un paese di arrestare un leader di un altro paese.
La Corte si è più volte opposta a questa interpretazione. Ha riconosciuto che esiste una «tensione» fra l’articolo 27 e l’articolo 98, ma che il primo prevale sempre sul secondo. Questo perché secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che contiene le linee guida su come scrivere, applicare e interpretare tutti i trattati internazionali, un testo va interpretato nel suo «contesto e alla luce del suo oggetto e scopo».
Lo Statuto di Roma dice nel suo Preambolo che i crimini internazionali più gravi «non devono rimanere impuniti e deve essere garantito il loro effettivo perseguimento»: per questo, sostiene la Corte, far prevalere l’articolo 98 sull’articolo 27, che è quello che più di tutti permette di perseguire anche coloro che normalmente non potrebbero esserlo, renderebbe vano il suo l’operato.
Questa posizione è stata sostenuta dalla Corte lo scorso ottobre su un caso riguardante la Mongolia. Nonostante sia firmataria dello Statuto di Roma, ad agosto decise di non arrestare il presidente russo Vladimir Putin che era in visita nel paese. Anche contro Putin era stato emesso un mandato di arresto, e anche in quel caso il paese coinvolto, la Mongolia, si rifece all’articolo 98 per giustificare la sua decisione. La Corte stabilì che aveva violato i suoi obblighi di stato membro e aveva nuovamente specificato che l’articolo 98 non garantisce l’immunità dalle accuse di crimini di guerra.
In una sentenza simile del 2019 che riguardava l’ex dittatore del Sudan Omar al Bashir la Corte ribadì anche che qualsiasi stato sotto la sua giurisdizione, in caso di dubbi sull’interpretazione di un articolo, dovesse rivolgersi a lei per chiedere chiarimenti. Applicando lo stesso principio all’oggi, prima di rendere pubblica la sua decisione di non arrestare Netanyahu la Francia avrebbe dovuto chiedere formalmente alla Corte di esprimersi sull’articolo 98, come peraltro previsto dall’articolo 97.
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Proprio il caso di Putin è stato molto citato nelle ultime ore per mostrare la problematicità degli argomenti francesi in merito al mandato di arresto contro Netanyahu.
Quando nel 2023 la Corte emise il mandato contro Putin – accusato di crimini di guerra commessi in Ucraina – il ministero degli Esteri francese diede «pieno sostegno» alla Corte. Il governo francese disse che la decisione era completamente in linea «con l’impegno di lunga data della Francia nella lotta all’impunità». Aggiunse che avrebbe continuato a «sostenere l’indispensabile lavoro della giustizia internazionale per garantire che i responsabili di tutti i crimini commessi dalla Russia in Ucraina siano ritenuti tali».
Per questo motivo, molti hanno accusato la Francia di adottare “due pesi e due misure” riguardo a due situazioni molto simili a livello legale ma molto diverse a livello politico. Anche Amnesty International ha definito la posizione francese «profondamente problematica».
È comunque improbabile che Netanyahu venga arrestato, anche perché è difficile pensare che in futuro voglia viaggiare in un paese che ha detto di volerlo arrestare.
In questi giorni alcuni giornali hanno scritto che il governo francese avrebbe deciso di esporsi sul suo mandato di arresto per via dei negoziati appena conclusi sul cessate il fuoco fra Israele ed Hezbollah in Libano. Secondo quanto riferito da Le Monde, Netanyahu avrebbe chiesto al presidente francese Emmanuel Macron di esprimersi riguardo al mandato d’arresto della Corte penale internazionale se voleva che Israele non si opponesse alla presenza della Francia come negoziatore del cessate il fuoco, dopo mesi di tensioni fra i rappresentanti dei due stati in questo contesto.
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