C’è un’offensiva dei gruppi armati siriani verso Aleppo
Sono incoraggiati dal fatto che in questo periodo gli alleati del presidente Assad, come Hezbollah e Russia, hanno molto altro a cui pensare
Un’alleanza di gruppi armati ha avviato un’offensiva nel nord-ovest della Siria in direzione della città di Aleppo, che dal 2016 è sotto il controllo del regime del presidente Bashar al Assad.
Tra i gruppi armati che partecipano all’attacco quello dominante per quantità di uomini e di armi a disposizione è Hayat Tahrir al Sham (Hts), che in arabo vuol dire “organizzazione per la liberazione del Levante”, dove con la parola Levante si intende la Siria, e controlla gran parte della regione di Idlib contigua alla regione di Aleppo.
Sono tutti eredi lontani dei gruppi di ribelli siriani che a partire dal 2011 combatterono contro il regime di Assad e poi in parte mutarono in fazioni estremiste. I combattenti sono induriti da una guerra civile che in questi anni ha ucciso un numero di persone che secondo alcune fonti supera il mezzo milione.
Mercoledì i miliziani di Hts e di altri gruppi minori sono avanzati da ovest verso est di sette chilometri nel giro di poche ore e hanno preso, secondo fonti locali, diciotto piccoli centri urbani. Hanno anche conquistato una base che i locali chiamano in modo sbrigativo «al Foj», il reggimento, perché è la sede del 46esimo reggimento dell’esercito di Assad ed è un punto chiave per ogni spostamento verso Aleppo, grazie al fatto che è in cima a una collina a cinque chilometri dalla città. Ci sono state decine di morti negli scontri, sempre secondo fonti locali che non possono essere verificate.
L’offensiva è stata definita nei comunicati ufficiali di Hts una campagna per ristabilire la capacità di deterrenza dei gruppi armati contro il regime perché è una risposta alle manovre aggressive delle forze di Assad, che da un mese e mezzo avevano intensificato gli attacchi su un fronte che da quattro anni non si muoveva. Ogni giorno ci sono stati bombardamenti da parte degli assadisti con l’artiglieria e con i droni Fpv, una sigla che vuol dire first person view, visione in prima persona: sono droni commerciali riconvertiti in bombe volanti e guidati da piloti che indossano un visore che consente loro di vedere quello che vede il drone in tempo reale. A questi vanno aggiunti anche i bombardamenti degli aerei russi.
È possibile che le forze di Assad avessero intensificato i loro attacchi come manovra preventiva per mascherare la loro debolezza in questo periodo. Il regime siriano non sarebbe sopravvissuto alla guerra civile se in suo aiuto non fossero accorsi prima il gruppo libanese Hezbollah nel 2012, poi le forze armate iraniane nel 2013 e infine la Russia, per decisione di Vladimir Putin, nel 2015.
I tre alleati del presidente siriano riuscirono a fermare i gruppi armati (non lo Stato Islamico, quella era una guerra che si combatteva soprattutto nella parte orientale della Siria e a pagarne il prezzo furono soprattutto le milizie curde appoggiate dai bombardieri statunitensi). Durante gli anni della guerra civile ci furono atrocità, come massacri di civili e l’uso di armi chimiche.
Oggi però i tre alleati di Assad hanno altro a cui pensare. Hezbollah è così in difficoltà che dopo avere detto per più di un anno che avrebbe sospeso le operazioni ostili contro Israele soltanto se fossero finiti i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza ha appena accettato un cessate il fuoco con Israele. Negli ultimi due mesi ha perso i primi due leader in linea di successione e almeno duemila uomini (il numero è ricavato dagli annunci ufficiali che celebrano la morte di ogni singolo combattente, che però sono meno rispetto alle morti effettive). Inoltre ha perso una grande quantità di armi.
L’Iran per la prima volta è impegnato in una sfida diretta contro Israele. Ha bombardato per due volte il territorio israeliano e ha scoperto gravi falle nella sua sicurezza. Le perdite più importanti le ha subite in Siria, dove i suoi generali e i suoi militari sono esposti ai raid aerei israeliani. È probabile che gli iraniani non vogliano esporsi ancora di più per fare la guerra a terra ai gruppi armati di Idlib mentre sono così vulnerabili agli attacchi dal cielo.
La Russia è impegnata ormai da più di mille giorni in Ucraina e deve reggere l’altissimo numero di perdite, fra uomini, mezzi militari e risorse, che quella guerra comporta. I bombardieri russi riescono ancora a bombardare le postazioni dei gruppi armati siriani – e spesso anche obiettivi civili – ma non possono fare molto di più.
Assad controlla la maggior parte del territorio siriano e le città vicino alla costa, la cosiddetta «Siria utile», ma deve ancora far fronte ai movimenti armati che lo vogliono rovesciare, soprattutto a nord-ovest e talvolta anche a sud.
L’offensiva di mercoledì punta con decisione verso Aleppo, ma c’è sempre da fare una distinzione fra un’avanzata militare nelle zone aperte di campagna punteggiate da pochi centri urbani senza ripari e fortificazioni e la conquista di una città, dove ogni singolo palazzo può diventare un fortino che resiste per mesi. Adesso l’operazione sembra irruente, ma potrebbe spegnersi alla periferia di Aleppo. È comunque significativa, perché ormai dal 2020 le operazioni militari languivano se paragonate agli anni precedenti.
Anche i gruppi armati siriani hanno usato droni Fpv, una tecnologia rudimentale ma efficace che sia i soldati russi che i soldati ucraini hanno perfezionato nella guerra in corso. È possibile che a insegnare l’uso dei droni siano stati dei consiglieri militari mandati con discrezione dal Gur, l’intelligence militare ucraina, che ha deciso di aiutare all’estero alcune fazioni che combattono contro i russi. La presenza di uomini del Gur è stata segnalata in Siria a partire da febbraio e anche in alcuni paesi africani dove sono impegnati mercenari russi.
Nelle prime immagini degli scontri si vede un’arma catturata dai miliziani siriani che può appartenere soltanto alle forze speciali russe. Chi la portava era a bordo di un veicolo poco distante, preso in mezzo a un’imboscata, ed è fuggito oppure è stato ucciso.
Hayat Tahrir al Sham è una fazione islamista sunnita erede del gruppo estremista Jabhat al Nusra, che fino all’aprile 2013 era semplicemente un nome di copertura dello Stato Islamico, il gruppo terroristico più aggressivo del mondo.
L’espediente era stato usato in modo che lo Stato Islamico si potesse inserire nella guerra civile siriana senza scatenare allarmi ed era finito nell’aprile 2013, quando l’allora leader, Abu Bakr al Baghdadi, rivelò la verità con un discorso ufficiale. Ma uno spezzone di Jabhat al Nusra che contava migliaia di uomini rifiutò di obbedire allo Stato Islamico e si dichiarò fedele ad al Qaida. Il gruppo scissionista siriano passò attraverso differenti evoluzioni e nel 2016 dichiarò in via ufficiale la separazione anche da al Qaida.
Oggi, pur mantenendo posizioni rigide in fatto di dottrina islamista, Hayat Tahrir al Sham è un gruppo ostile sia allo Stato Islamico che ad al Qaida e compie retate nel nord della Siria sotto il suo controllo per catturare gli uomini dei due gruppi terroristici.