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  • Giovedì 28 novembre 2024

Per la Cassazione non si possono mettere mobili sul pianerottolo

In una controversia tra condòmini si è stabilito che lo spazio davanti alla porta di casa non può essere usato privatamente (ma i portaombrelli non contano)

Una scena dalla serie tv “Friends”
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La Corte di Cassazione ha emesso un’ordinanza su una contesa legale tra alcuni residenti di uno stesso condominio, stabilendo che occupare con i propri mobili lo spazio dei pianerottoli delle scale è illegittimo. L’uso degli spazi comuni di un condominio è una delle cose che più frequentemente possono essere al centro di contese legali tra condòmini. Il caso di questa ordinanza era nato da una denuncia di un proprietario nei confronti di altri due che avevano occupato due pianerottoli delle scale condominiali con dei mobili. La richiesta era stata respinta in primo grado e accolta in appello, condannando i due a togliere i mobili e a rimettere il pianerottolo com’era. Questi avevano quindi fatto un ricorso in Cassazione che è stato respinto.

Gli spazi comuni di un condominio sono indicati nell’articolo 1117 del Codice civile in una lista “non tassativa”, cioè soggetta a integrazioni. La lista comprende i luoghi di transito all’interno dell’edificio tra i quali non sono esplicitamente indicati i pianerottoli. Questi sono però stati indicati come spazi comuni da diverse sentenze (tra cui per esempio queste due) a causa della loro funzione che li rende un punto di passaggio necessario per chi vuole muoversi tra i piani dell’edificio.

Di conseguenza, salvo i casi in cui sia di proprietà di un condòmino, il pianerottolo è generalmente inteso come uno spazio comune, e quindi in quanto tale non può essere utilizzato privatamente e deve essere gestito in modo che tutti i residenti lo possano usare allo stesso modo (come tutti gli altri spazi comuni del condominio). Per esempio, si può mettere sul pianerottolo un portaombrelli che non ostacola il passaggio, ma non lo si può occupare con dei mobili o per parcheggiare la propria bicicletta.

I ricorsi in Cassazione servono per contestare il giudizio della Corte d’appello (il secondo grado di giudizio dell’ordinamento italiano) quando si ritiene che si sia basato su un’interpretazione o un’applicazione sbagliata delle norme che regolano quel caso. La Cassazione, il terzo e ultimo grado di giudizio previsto dalla giustizia italiana, non entra quindi nel merito della decisione della Corte d’appello, cioè non fa una nuova valutazione dei fatti per arrivare a una nuova decisione. Si limita a verificare che le norme siano state interpretate e applicate correttamente e che non ci siano state irregolarità.

Siccome il compito della Corte di Cassazione è proprio quello di assicurarsi che questa interpretazione avvenga in modo corretto e uniforme, il suo giudizio funge da criterio per orientare le decisioni dei tribunali a livello nazionale, che nell’emettere le proprie sentenze possono tenere conto delle decisioni della Cassazione su fatti simili. Spesso è così: le sentenze della Cassazione sono citate dai giudici dei tribunali inferiori come dei precedenti, perché la loro interpretazione del diritto costituisce una fonte autorevole e le loro decisioni possono essere usate come fonti giuridiche per risolvere controversie simili.

Nonostante questo, non sono vincolanti per le decisioni successive dei giudici e non hanno valore di legge, nonostante nell’immaginario comune la sentenza della Cassazione sia percepita come definitiva per la regolamentazione di un fatto (probabilmente anche per il fatto che è il terzo e ultimo grado di giudizio, oltre il quale un processo non può andare): i giudici possono quindi decidere di prendere una decisione che va in senso contrario rispetto a una precedente sentenza della Cassazione.

La decisione della Cassazione sul caso dei mobili di singoli condòmini che occupano i pianerottoli, insomma, non garantisce sulle future decisioni su casi simili, anche se è molto probabile che venga presa in considerazione e che possa avere una certa influenza.