Il Parlamento Europeo ha approvato la nuova Commissione Europea
Nonostante le molte divisioni interne ai gruppi, legate anche all'allargamento a destra della sua composizione
Mercoledì mattina il Parlamento Europeo ha approvato la nuova Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’Unione, formato dalla presidente Ursula von der Leyen e da 26 commissari, in rappresentanza di tutti i paesi membri: ha ricevuto 370 voti favorevoli su 688 (gliene servivano la metà più uno), con 36 astenuti e 282 voti contrari. Molti gruppi parlamentari si sono però divisi internamente sul voto, sia a destra che a sinistra.
Nonostante l’approvazione fosse considerata abbastanza scontata, il voto ha avuto dei margini di incertezza insoliti per gli standard della politica europea. Con 370 voti a favore, la seconda Commissione guidata da von der Leyen è quella approvata con la maggioranza più ridotta dal 1993, cioè da quando il parlamento ha iniziato ad approvare le Commissioni. La prima Commissione di von der Leyen nel 2019 aveva ricevuto 401 voti, una trentina in più di quelli ricevuti dalla seconda.
Il problema, che si era già presentato nelle settimane scorse con le audizioni nelle commissioni parlamentari dei singoli candidati commissari, sono state principalmente le vicepresidenze della Commissione proposte per la spagnola Teresa Ribera (dei Socialisti) e per l’italiano Raffaele Fitto. Fitto è di Fratelli d’Italia, che fa parte del gruppo europeo dei Conservatori e Riformisti, di estrema destra, e che non rientra fra quelli che tradizionalmente formano la maggioranza centrista nel parlamento.
Von der Leyen ha già guidato la Commissione nella scorsa legislatura, iniziata nel 2019: a luglio, dopo le elezioni europee, il Parlamento aveva approvato la sua nomina per un secondo mandato. Il voto per la nomina della presidente della Commissione è segreto, mentre quello per approvare l’inter Commissione è palese: in questo caso le divisioni nei gruppi parlamentari sono state quindi molto più evidenti, e commentate anche prima del voto.
Il gruppo di cui nei giorni scorsi si era discusso di più è stato quello dei Verdi: a luglio von der Leyen aveva avuto bisogno dei loro voti per essere riconfermata come presidente, a causa della possibilità che col voto segreto molti parlamentari dei partiti della maggioranza votassero contro di lei. In cambio i Verdi avevano chiesto a von der Leyen di sostenere politiche ambientali più incisive e di non allearsi con l’estrema destra, una richiesta che era arrivata anche dal gruppo dei Socialisti.
Con l’assegnazione della vicepresidenza a Fitto però, secondo molti, von der Leyen sarebbe venuta meno a quegli accordi. Inoltre, l’alleanza su specifiche questioni fra il Partito Popolare (di cui von der Leyen fa parte) e le destre europee si è manifestata anche pochi giorni fa, quando hanno votato assieme un emendamento che posticipa l’entrata in vigore di una legge sulla deforestazione, in opposizione alle richieste dei Verdi. Al momento di votare si sono confermate le divisioni interne al gruppo: su 53 parlamentari 27 hanno votato a favore, 19 contro e 6 si sono astenuti. Anche i Socialisti avevano avuto gli stessi problemi, e i parlamentari francesi si sono opposti al voto di una Commissione che includesse Fitto.
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In generale, più che per la nomina di Fitto, nello specifico i partiti di sinistra erano insoddisfatti per l’assegnazione di una vicepresidenza a un partito di estrema destra e che non fa parte della maggioranza che tradizionalmente sostiene la Commissione, e che anzi solitamente è stato piuttosto marginale nella politica dell’Unione. Negli ultimi anni però von der Leyen ha costruito un rapporto piuttosto stretto con Giorgia Meloni, che oltre a guidare il governo italiano è la leader del gruppo europeo dei Conservatori e Riformisti.
Secondo molti, la vicepresidenza di Fitto non è solo un modo per riconoscere una maggiore rilevanza all’Italia, uno dei paesi più popolati e con l’economia più grossa dell’Unione, ma anche per allargare la base di consensi della Commissione. Nel Parlamento infatti non ci sono coalizioni permanenti come nei parlamenti nazionali. Le maggioranze si formano sugli specifici provvedimenti da votare, e possono quindi cambiare di volta in volta. Nella scorsa legislatura la stragrande maggioranza delle proposte era stata sostenuta da Popolari, Socialisti e Renew Europe (il gruppo centrista), che si sono impegnati a collaborare anche in questa, ma in modo meno vincolante.
Al contrario alcuni esponenti del Partito Popolare Europeo si sono opposti nello specifico alla nomina di Teresa Ribera: i parlamentari Popolari spagnoli la accusano di avere delle responsabilità nella pessima gestione delle disastrose alluvione di Valencia di fine ottobre, in quanto vice-prima ministra con la delega alla Transizione ecologica nel governo spagnolo. Anche i Popolari sloveni avevano annunciato che avrebbero votato contro la Commissione, in protesta alla scelta di nomina della commissaria per il paese.
Anche i Conservatori e Riformisti, guidati da Giorgia Meloni, hanno votato divisi secondo le delegazioni nazionali: i 25 parlamentari italiani e i tre fiamminghi avevano già detto che avrebbero votato a favore della Commissione, mentre molti degli altri, fra cui gran parte della delegazione polacca (la più numerosa nel gruppo dopo quella italiana), hanno votato contro.
Mentre fra i gruppi che tendenzialmente sostengono von der Leyen ci sono state divisioni più o meno grosse (a parte Renew, in cui c’è stata solo qualche astensione), i gruppi contrari alla Commissione hanno votato compatti. I parlamentari della Sinistra (di cui fanno parte Sinistra Italiana e il Movimento 5 Stelle), dei Patrioti per l’Europa (che include la Lega) e dell’Europa delle Nazioni Sovrane hanno tutti votato contro alla Commissione.