L’invasione delle panchine giganti
Negli ultimi anni ne sono state installate a centinaia in tutta Italia, per una fortunata iniziativa di promozione del turismo che però è anche assai criticata
È cominciato tutto una quindicina di anni fa. A partire dalla provincia di Cuneo, in Piemonte, e poi pian piano in tutta Italia fino al Sud, in cima alle colline, in punti particolarmente panoramici, lungo spettacolari percorsi a piedi tra le vigne, o ancora affacciate sul mare, hanno cominciato a comparire delle panchine giganti. Sono solitamente tinte di colori accesi, e per salirci sopra occorre un minimo di agilità: ma si è ripagati da un genere di foto che sui social network garantisce un certo successo.
Quasi tutte queste panchine fanno parte del Big Bench Community Project, un’iniziativa ideata dal designer statunitense Chris Bangle, secondo cui si tratta di «un fenomeno virale reale» che ha portato molte persone a vedere con una prospettiva diversa posti prima poco considerati. Per i critici invece quella delle panchine giganti è una moda che non valorizza affatto il territorio.
Bangle ha 68 anni, ha lavorato a lungo nel settore delle automobili e installò la sua prima panchina gigante nel 2010 a Clavesana, nella regione vinicola delle Langhe, dove si era trasferito l’anno precedente assieme alla moglie. Tutta rossa, alta circa due metri e larga quattro, l’aveva concepita come un’installazione artistica che permettesse di «ripensare la prospettiva sul paesaggio e su se stessi»: salendoci sopra infatti si ha l’impressione di tornare un po’ bambini e di osservare uno scenario noto, come quello dei suoi vigneti, in modo nuovo.
Nel giro di poco tempo la panchina gigante divenne un’attrazione locale, con il risultato che nella zona ne furono installate altre, tutte dello stesso modello, di più colori, e sempre in luoghi suggestivi. Grazie alla loro progressiva diffusione fu creata l’Associazione Big Bench Community Project (BBCP), che dal 2021 è una fondazione non profit impegnata nella promozione del progetto: al momento secondo il suo sito ne esistono 392 e ce ne sono altre 65 in costruzione, quasi tutte in Italia, ma anche in Spagna, nei Paesi Bassi o in Svezia.
Una panchina installata a Paola, in provincia di Cosenza
La fondazione non installa le panchine, ma fornisce a titolo gratuito a chi ne vuole montare una il disegno di Bangle, che è protetto da copyright. Il progetto prevede che debbano essere sempre richieste su iniziativa di persone del posto, che vengano posizionate in punti panoramici, per esempio lontano da case e chiese, e che siano accessibili 24 ore su 24, per favorire l’esperienza collettiva. Devono inoltre essere finanziate da privati o da gruppi di volontari (che la fondazione chiama promotori), e non da fondi pubblici: questo perché sia «un progetto rivolto alle comunità, ma senza pesare sulle casse delle amministrazioni pubbliche», spiega sempre Bangle.
Chi vuole installare una di queste panchine giganti insomma deve costruirla da sé, e deve comunque pagare uno “starter kit” che costa tra i 580 e i 1.390 euro e include tra le altre cose i cartelli stradali che indicano le installazioni che rientrano nell’iniziativa. Il ricavato copre le spese di gestione della fondazione e in parte è destinato a un bando per progetti culturali rivolto ai comuni in cui sono installate le panchine.
La prima panchina installata in Svezia, a Funäsdalen
Nel tempo le big bench sono diventate attrazioni note in tutta Italia, tanto che ce ne sono varie imitazioni, la ricerca degli hashtag dedicati all’iniziativa su Instagram porta a decine di migliaia di post e c’è chi per visitarle propone itinerari a piedi o in bici. Al tempo stesso chi ha criticato apertamente il progetto – in particolare persone esperte di alta montagna e attente alla cura del territorio – ne ha parlato come di «assurdità giganti», «un’invasione», «la moda del momento».
In Valtellina, in Lombardia, ci sono state proteste contro l’installazione di una panchina gigante, specialmente dopo che la frequentazione che ha attirato aveva creato problemi di parcheggi sovraffollati e sporcizia. L’antropologo Annibale Salsa, ex presidente del Club Alpino Italiano e parte del comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco, sostiene che, a causa di quella che ha definito «un’invadenza seriale», i luoghi in cui sono collocate le panchine «corrono il rischio di diventare anonimi nonluoghi che ti fanno sentire dappertutto e da nessuna parte».
In un articolo pubblicato nel 2022 sul giornale L’Adige, Salsa riprendeva appunto il termine coniato da Marc Augé, uno dei maggiori antropologi contemporanei, che spesso viene usato per descrivere spazi come aeroporti, centri commerciali e stazioni, che vengono progettati in modo anonimo e rendono molto difficile formare relazioni. Salsa ha definito le panchine giganti «una delle tante americanate di cattivo gusto da cui siamo circondati». Secondo altri ancora le panchine attirerebbero inoltre persone motivate più dalla moda che dalla conoscenza di posti nuovi, e banalizzerebbero lo stesso territorio che il progetto sostiene di voler valorizzare.
A ogni panchina del BBCP è assegnato un timbro da collezionare in un passaporto fatto apposta
«Nella vita esistono sempre le critiche, e noi facciamo del nostro meglio per rispondere in modo costruttivo», ha detto Bangle. D’altra parte «i promotori ci riportano che l’installazione di una panchina gigante su un territorio comporta una significativa ricaduta positiva sul territorio», ha aggiunto, sia in termini di occupazioni di camere che nelle attività dei ristoranti e degli esercizi commerciali. Uno degli obiettivi della fondazione è quello di contenere il fenomeno ed evitare che «si diffonda in massa, snaturandosi», ha detto: ha infine paragonato il progetto a Venezia, che è notoriamente alle prese con il problema del turismo di massa, osservando che anche in quel caso «c’è chi la visita in modo superficiale e chi in modo approfondito e rispettoso».
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