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  • Mercoledì 27 novembre 2024

Perché il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah è fragile

C'entrano precedenti poco incoraggianti e il fatto che nessuna delle due parti sembra davvero intenzionata a trovare una soluzione pacifica

Un uomo si affaccia da un edificio danneggiato da un razzo a Ramat Gan, in Israele (AP Photo/Oded Balilty)
Un uomo si affaccia da un edificio danneggiato da un razzo a Ramat Gan, in Israele (AP Photo/Oded Balilty)

Ci sono diversi dubbi sulla solidità dell’accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, annunciato martedì sera ed entrato in vigore alle 4 ora locale di mercoledì (le 3 in Italia).

Da un lato l’accordo ne ricalca un altro fatto quasi vent’anni fa, che poi non fu rispettato: ora si teme che finisca nello stesso modo. Dall’altro sembra che trovare una soluzione pacifica non sia la reale intenzione delle due parti, ma la risposta a un momento di debolezza che entrambe attraversano, seppur su scale decisamente diverse, perché la distruzione che può provocare Israele con i suoi bombardamenti è incredibilmente superiore a quella che può provocare Hezbollah.

Entrambe hanno quindi interesse a interrompere gli scontri e usare questo tempo per riorganizzarsi: nel caso di Israele per far riposare i propri soldati e accumulare nuove armi e munizioni, come ha detto lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu. Nel caso di Hezbollah per ricostruire soprattutto la propria leadership, dopo che Israele ha ucciso buona parte del suo comando politico e militare, compresi lo storico leader Hassan Nasrallah e diversi suoi successori. L’accordo potrebbe permettere a centinaia di migliaia di persone sfollate di ritornare nelle proprie case, sia nel sud del Libano che nel nord di Israele.

L’accordo, mediato dagli Stati Uniti e dalla Francia, prevede un cessate il fuoco di 60 giorni. In questo periodo l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi dalle zone meridionali del Libano e Hezbollah spostare le sue forze a nord del fiume Litani (o Leonte). Nel sud del Libano si creerebbe così una zona cuscinetto in cui dovrebbero operare l’esercito regolare libanese (che è diverso da quello di Hezbollah) e le Nazioni Unite, tramite la missione UNIFIL.

Le difficoltà di UNIFIL di mantenere sotto controllo la situazione è uno dei problemi che vengono citati per il rispetto del cessate il fuoco. L’UNIFIL fu creata nel 1978, dopo che Israele aveva invaso il Libano per la prima volta, per definire e garantire il rispetto del confine tra i due paesi (che in realtà non è un confine, ma una “linea di demarcazione”): negli anni la missione si è mostrata debole e incapace di imporsi sia sull’esercito israeliano che su quello di Hezbollah.

Nel 2006, dopo un’altra guerra tra le due parti, fu approvata la Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che per molti versi ricalca l’accordo per il cessate il fuoco approvato martedì: prevedeva che nel sud del Libano potessero operare e maneggiare armi solo l’esercito regolare libanese e l’UNIFIL. Le cose però sono andate diversamente: Hezbollah ha rafforzato parecchio la propria presenza nella zona, e ha continuato a militarizzarla.

– Leggi anche: Tra Israele e Libano non esiste un confine

Persone a Beirut, in Libano, guardano il discorso con cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu annuncia il cessate il fuoco (Ed Ram/Getty Images)

Le carenze di UNIFIL sono dovute anche a meccanismi strutturali: la missione può denunciare le violazioni ai governi israeliano e libanese e alle Nazioni Unite, ma al di là di questo non ha davvero modo di far rispettare gli accordi. Negli anni i suoi soldati (che oggi sono circa 10mila) hanno riferito di numerose violazioni, ma le loro segnalazioni sono state perlopiù ignorate.

Dallo scorso settembre, quando gli attacchi israeliani nel sud del Libano si sono intensificati, i soldati dell’ONU si sono sostanzialmente limitati a rimanere nelle proprie basi, che tra l’altro sono state più volte attaccate.

Anche l’esercito libanese è da tempo sottofinanziato, non adeguatamente armato e incapace quindi di presentarsi come una forza credibile nel far rispettare un accordo di questo tipo. C’è inoltre un problema con il governo libanese: il Libano non ha un presidente dal 2022, e negli ultimi decenni Hezbollah ha molto consolidato la sua influenza sulla politica, sulla società e sull’economia libanese.

Hezbollah infatti non è solo una milizia: è anche un partito politico che fa parte dei governi, elegge rappresentanti in parlamento e gestisce scuole, ospedali e programmi di welfare per i suoi sostenitori (o almeno, lo faceva prima dell’inizio della guerra).

Passeggeri di un'auto in Libano mostrano la bandiera di Hezbollah e la foto dello storico leader del gruppo, Hassan Nasrallah, dopo l'annuncio del cessate il fuoco

Passeggeri di un’auto in Libano mostrano la bandiera di Hezbollah e la foto dello storico leader del gruppo, Hassan Nasrallah, dopo l’annuncio del cessate il fuoco (AP Photo/Mohammed Zaatari)

L’accordo per il cessate il fuoco approvato martedì prevede che, oltre all’esercito e all’UNIFIL, il rispetto delle condizioni sia garantito anche da una commissione internazionale composta da cinque paesi, tra cui Stati Uniti e Francia. Questo dovrebbe rendere più solido il meccanismo di supervisione, anche se non risolve il problema di agire sul campo, nel caso di violazioni.

Israele ha già messo in chiaro di essere pronto a riprendere i combattimenti nel caso in cui ritenga che Hezbollah non rispetti le condizioni dell’accordo. Netanyahu ha detto che la durata del cessate il fuoco dipenderà «da quello che succede in Libano», e che riprenderà gli attacchi non solo se i miliziani di Hezbollah dovessero rientrare nel sud del Libano, ma anche se dovesse ritenere che il gruppo stia «cercando di riarmarsi». È evidentemente un criterio piuttosto vago, che potrebbe essere chiamato in causa in modo più o meno arbitrario per giustificare eventuali futuri attacchi.