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  • Martedì 26 novembre 2024

Anche nel rugby c’è un progetto per fare una “Super Lega”

Un torneo molto elitario, da disputare in giro per il mondo: attirerebbe investimenti di cui lo sport ha bisogno, ma potrebbe anche cambiarlo radicalmente

Un placcaggio in una partita di United Rugby Championship tra DHL Stormers e Glasgow Warriors, giocata in Sudafrica (Grant Pitcher/Gallo Images/Getty Images)
Un placcaggio in una partita di United Rugby Championship tra DHL Stormers e Glasgow Warriors, giocata in Sudafrica (Grant Pitcher/Gallo Images/Getty Images)
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Diversi media inglesi hanno fatto sapere che c’è un progetto molto concreto per creare una nuova competizione globale di rugby per club, che comincerebbe nel 2026 e sarebbe un grande cambiamento per il modo in cui il pubblico è abituato a seguire il rugby e per l’immagine collettiva che si ha di questo sport. Il progetto si basa sul modello della “Super Lega”, di cui si parlò anche per il calcio ma che poi in quel caso non portò a nulla: cioè un torneo elitario che raduni idealmente i migliori giocatori in circolazione e attragga grossi investimenti. Stando a diverse fonti tra chi sta lavorando al progetto, riferite sempre dai media inglesi, il torneo avrebbe già ottenuto il supporto finanziario di investitori statunitensi e britannici.

Al torneo parteciperebbero solo otto squadre, che si affronterebbero in 14 diverse tappe in giro per il mondo sul modello della Formula 1: si giocherebbe quindi in 14 fine settimana e tutte le partite in programma si terrebbero nello stesso posto. Le partecipanti alla lega non sarebbero squadre già esistenti, ma da formare ex novo assegnandole a otto città attraverso una sorta di asta, o comunque ai luoghi con gli investitori più convincenti. Anche per questo è forse più corretto parlare di “franchigie” sul modello americano, cioè squadre a cui corrisponde una licenza che le riconosce come tali e che non è strettamente collegata al luogo in cui hanno sede. Parallelamente verrebbe creata anche una lega femminile.

I giornali inglesi che hanno dato la notizia scrivono che il torneo avrebbe già ottenuto il sostegno finanziario di investitori statunitensi e britannici: il fatto che qualcuno ci stia lavorando comunque non significa che il progetto verrà necessariamente realizzato, ma per uno sport come il rugby già il fatto che esista questa possibilità è una notizia molto insolita, che spiega in parte come la sua sostenibilità economica negli ultimi anni sia diventata complicata.

Secondo le fonti sentite tra gli altri dal Times, dal Telegraph e da Sky Sports, molti tra i 2-300 migliori rugbisti al mondo sarebbero già stati contattati e la maggior parte di loro avrebbe detto di essere interessata: su questo hanno con ogni probabilità un ruolo le ottime prospettive di guadagno. Si parla infatti di stipendi da circa 850mila euro all’anno, cifre simili a quanto guadagnano oggi solamente i giocatori più pagati al mondo nel rugby. La possibilità di dare stipendi così alti, per giocare peraltro solamente 14 partite all’anno, deriverebbe dal giro d’affari che la nuova lega ha l’obiettivo di generare, puntando sulla promozione di una nuova immagine del rugby per renderlo uno sport più conosciuto e seguito.

Nei piani degli organizzatori ogni weekend di partite si trasformerebbe in una specie di festival, con diversi eventi di contorno, mentre i giocatori diventerebbero più “superstar” come quelli di football americano, di NBA o i piloti di Formula 1, e tutto questo consentirebbe di ottenere maggiori ricavi da investire anche nelle squadre giovanili e locali. Allo stesso tempo i fondatori della nuova lega starebbero cercando di non porsi in contrasto con il calendario rugbistico internazionale, per consentire ai giocatori di continuare a giocare regolarmente con le loro nazionali: è però evidente che, se la cosa si facesse e attirasse alcuni dei migliori rugbisti al mondo, ci sarebbero ripercussioni soprattutto sulle competizioni nazionali e internazionali per club.

Maro Itoje dell’Inghilterra contrastato da due avversari della Nuova Zelanda (Mike Hewitt/Getty Images)

In Italia il rugby viene visto e seguito soprattutto durante le partite della Nazionale nel Sei Nazioni e nei Mondiali, ma durante l’anno si giocano diverse competizioni nazionali e internazionali per club. Il campionato italiano si chiama Serie A Élite e ha 10 partecipanti; due squadre italiane invece, Benetton Treviso e Zebre Parma, partecipano allo United Rugby Championship, un campionato a 16 squadre in cui ce ne sono di gallesi, irlandesi, scozzesi e, da tre anni, anche quattro sudafricane. I due campionati più importanti in Europa sono quello inglese e quello francese, mentre nel mondo un altro torneo molto competitivo e simile per organizzazione allo United Rugby Championship è il Super Rugby, in cui giocano squadre professionistiche di Australia, Nuova Zelanda e Fiji (e in passato anche sudafricane, argentine o giapponesi). Le migliori squadre europee, oltre ai propri campionati, giocano anche la Champions Cup, l’equivalente della Champions League per il rugby.

Non è semplice prevedere come la nuova lega si inserirebbe in questo contesto, più che altro perché è difficile pensare che i giocatori parteciperebbero eventualmente a tutti i tornei, e quindi gli attuali campionati rischierebbero di perdere importanza e prestigio, soprattutto qualora se ne andassero molti dei rugbisti più forti. Il rugby è molto dispendioso dal punto di vista fisico e infatti già oggi si giocano meno partite rispetto ad altri sport di squadra: in Inghilterra c’è un limite di 30 partite a stagione, in Francia i rugbisti possono farne al massimo 37 in un anno.

Non è chiaro nemmeno come reagirebbero (o stanno già reagendo) le varie federazioni rugbistiche nazionali e quella mondiale, che pare non se la passino benissimo: di recente il nuovo presidente della World Rugby Brett Robinson ha detto che la sostenibilità economica dello sport è «in crisi». La nuova lega sarebbe un’opportunità per il rugby mondiale, ma anche un rischio per uno sport in cui la tradizione ha un ruolo importante e in cui l’eccessiva commercializzazione viene spesso osteggiata da appassionati e addetti ai lavori. A differenza di altri sport come il calcio o il football americano, insomma, solitamente il rugby è meno associato a logiche in cui il profitto diventa preminente sul gioco in sé, nonostante campionati e leghe internazionali come lo United Rugby Championship e il Super Rugby esistano anche per motivi economici e di visibilità.

Un momento della partita di Premiership inglese tra Exeter Chiefs e Harlequins (Dan Mullan/Getty Images)

L’ultimo tentativo simile a questo risale al 1995. Non appena il rugby diventò uno sport professionistico, l’imprenditore australiano Kerry Packer fondò la World Rugby Corporation (WRC) e provò a creare una nuova competizione globale, riuscendo ad accordarsi con alcuni dei migliori giocatori australiani, neozelandesi e sudafricani. Le federazioni dei tre paesi reagirono creando a loro volta due competizioni professionistiche, il Super Rugby (per club) e il Tre Nazioni (per nazionali), e allo stesso tempo minacciarono i rugbisti che avessero aderito alla WRC di non farli mai più giocare per le loro nazionali. Molti a quel punto si tirarono indietro e il progetto di una nuova lega immaginato da Packer fallì, anche perché sin dall’inizio era stata pensata come alternativa alle competizioni già esistenti.

Tag: rugby