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  • Martedì 26 novembre 2024

La più grande organizzazione criminale brasiliana vuole infiltrarsi in politica

Il Primo commando della capitale finanzia campagne elettorali e nomina candidati, senza che il governo possa fare molto

Un poliziotto durante un'operazione di polizia a San Paolo nel 2012 (REUTERS/Nacho Doce)
Un poliziotto durante un'operazione di polizia a San Paolo nel 2012 (REUTERS/Nacho Doce)

In Brasile, durante le ultime elezioni amministrative nello stato di San Paolo, il dibattito elettorale si è incentrato sul tentativo sistematico di infiltrarsi in politica da parte del PCC (Primo commando della capitale), la più grande organizzazione criminale sudamericana per numero di membri, che gestisce un traffico internazionale di cocaina. È la prima volta nella storia del Brasile che la criminalità organizzata cerca di influenzare in modo così sistematico la politica locale, finanziando campagne elettorali, nominando propri candidati e corrompendo politici.

Nel corso della campagna, in alcuni comuni vicino a San Paolo, la polizia locale aveva arrestato 20 persone e condotto 60 perquisizioni dopo aver scoperto che il PCC stava cercando di manipolare le elezioni comunali, nominando propri candidati e finanziandoli.

Lincoln Gakiya, il pubblico ministero brasiliano che da più di 20 anni indaga sul “partito del crimine” – così si fa chiamare il PCC –, ha spiegato che durante queste elezioni l’obiettivo del PCC era infiltrarsi nelle istituzioni per ottenere vantaggi nelle gare d’appalto e per accedere ad agevolazioni fiscali per le proprie attività legali. Negli ultimi anni il PCC ha iniziato a riciclare i soldi della vendita di cocaina attraverso attività legali come il trasporto pubblico, il mercato immobiliare del lusso e le criptovalute.

Queste ultime, in particolare, sono sempre più usate dalle organizzazioni criminali brasiliane, perché i beni virtuali possono essere scambiati più velocemente da una parte all’altra del mondo senza che queste transazioni siano associate a una persona fisica. Tra le altre cose, negli scorsi mesi la polizia brasiliana ha sequestrato 8 miliardi di reis (1,3 miliardi di euro) provenienti dal traffico di droga: parte di questo denaro avrebbe dovuto essere riciclato in operazioni con criptovalute fatte tramite una banca online che il PCC aveva creato per l’occasione.

Benché le indagini della polizia di San Paolo abbiano riportato qualche successo, i modi molto violenti e repressivi con cui il Brasile cerca da 30 anni di combattere la criminalità organizzata non hanno grande efficacia.

Il PCC nacque nel 1993 nella prigione di Taubaté, a San Paolo. In quel periodo il governo brasiliano stava applicando contro la criminalità organizzata una politica della “mano dura” (“pugno di ferro”), estremamente repressiva, che aveva riempito le carceri ben oltre la loro capienza massima. Sfruttando il malcontento dei detenuti, che vivevano in condizioni di estremo degrado, il PCC si presentò come un’autorità alternativa allo Stato, in grado di fornire alcune garanzie che il governo non dava (come prodotti per l’igiene e aiuti alle famiglie), e nel tempo arruolò migliaia di carcerati.

Il controllo della popolazione carceraria di San Paolo (il 40 per cento di quella di tutto il Brasile) ha permesso al PCC di prevalere sulle altre organizzazioni criminali dello Stato. L’ascesa del PCC tra la criminalità organizzata brasiliana è avvenuta senza che il gruppo abbia dovuto ricorrere eccessivamente a reati violenti che generano allarme sociale. In questo modo, ha potuto crescere dentro e fuori il Brasile senza destare troppo l’attenzione. Grazie anche alla crescita del mercato della cocaina e ai legami che il PCC ha sviluppato con altre organizzazioni criminali – tra cui la ’ndrangheta –, oggi il gruppo conta 40.000 membri e ha un giro d’affari di quasi un miliardo di euro all’anno.

La città di San Paolo in una foto del 2022

La città di San Paolo in una foto del 2022 (AP Photo/Rodrigo Abd)

A fronte di questa enorme espansione del PCC il governo brasiliano ha continuato ad applicare la politica della “mano dura”, che prevede una repressione violenta dei fenomeni criminali e molto spesso ne trascura le cause. Lo stato di San Paolo, per esempio, ha avviato un’operazione molto violenta nelle favelas della città di Santos, al punto che la polizia è stata accusata da diverse organizzazioni umanitarie di aver condotto delle «esecuzioni sommarie». Questa politica è ritenuta poco efficace perché, concentrandosi sulle favelas dove la criminalità è più visibile e diffusa, colpisce principalmente i ranghi più bassi delle organizzazioni criminali e non i loro reali interessi economici.

Un altro problema significativo sono le politiche di sicurezza, che sono competenza dei singoli stati e non del governo federale. Di conseguenza, le azioni fra i diversi stati brasiliani sono raramente coordinate, cosa che crea uno svantaggio contro associazioni criminali diffuse in tutto il paese come il PCC.

Anche a fronte dei tentativi del PCC di infiltrarsi in politica, a fine ottobre il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il ministro della giustizia Ricardo Lewandowski hanno presentato ai governatori un piano volto a coordinare meglio i sistemi di intelligence fra gli stati e rafforzare il potere della polizia federale. Il piano prevede di inserire nella Costituzione il Sistema unico di pubblica sicurezza, una legge del 2018 che centralizza la gestione della sicurezza.

Alcuni governatori però si sono detti contrari alla proposta, perché ritengono che delle norme troppo rigide imposte dal governo federale possano limitare la loro capacità di reagire autonomamente alle emergenze.