È ancora difficile capire come cambierà il Movimento 5 Stelle
Chi scriverà le nuove regole votate dagli iscritti? Cosa vuol dire diventare «progressisti indipendenti»? Intanto Beppe Grillo ha chiesto di rivotare, aggiungendo ulteriore incertezza
Con le votazioni di sabato e domenica che hanno concluso l’Assemblea costituente, gli iscritti del Movimento 5 Stelle hanno espresso a larga maggioranza delle chiare indicazioni sui cambiamenti che vorrebbero per il partito: tra le cose più rilevanti, si è deciso di abolire la carica del “garante”, quella ricoperta dal fondatore Beppe Grillo, e di rimuovere il limite dei due mandati, cioè l’impossibilità per i politici del Movimento di essere eletti più di due volte. Lo stesso Grillo però in quanto garante ha esercitato il diritto di chiedere che il voto venga ripetuto, com’era nelle sue facoltà: un fatto piuttosto bizzarro, visto che Grillo in questo modo potrebbe invalidare la consultazione che ha chiesto la sua rimozione definitiva dal partito. Al momento non è ben chiaro cosa accadrà, e se la ripetizione del voto possa cambiarne il risultato.
“Assemblea costituente” è il nome che è stato dato al percorso con cui il Movimento sta cercando di rinnovarsi, dopo una fase politica di risultati elettorali deludenti e un evidente calo di consensi: si è votato per lo più per modificare il funzionamento interno del M5S e le regole che dovrà seguire, oppure per ridefinire l’orientamento politico, la collocazione del partito e le sue alleanze. Nel complesso l’Assemblea è stata abbastanza partecipata: alle votazioni finali, avvenute su una piattaforma digitale, hanno votato a seconda dei quesiti tra i 45mila e i 54mila iscritti, su un totale di quasi 89mila aventi diritto.
A parte la richiesta di Grillo di rivotare però ci sono ancora molte cose poco chiare sulle conseguenze di queste decisioni, anche per gli stessi dirigenti del M5S: non si sa in che modo queste proposte di cambiamento verranno effettivamente recepite dal Movimento, chi si occuperà di integrare, correggere o riscrivere alcune parti dei regolamenti interni e soprattutto in che modo le indicazioni sul programma e sulle alleanze politiche verranno attuate.
– Leggi anche: Da dove arriva la lite tra Conte e Grillo
Chi riscrive concretamente le regole?
Resta poi ancora da capire in che modo, e con quali tempi, le modifiche allo Statuto, al Codice etico e ai regolamenti interni del M5S verranno effettivamente recepite. C’è bisogno di riscrivere alcune parti di questi documenti: su alcuni quesiti il voto sembra aver dato indicazioni precise sulle modifiche da fare, mentre su altre ci sarà bisogno di un lavoro più complesso. Gli iscritti hanno per esempio votato per «introdurre come requisito per la candidatura a presidente l’assenza di iscrizioni ad altri partiti politici nei dieci anni precedenti», e in questo caso è facile immaginare come il quesito possa trasformarsi automaticamente in una nuova norma. Ma hanno anche votato per «garantire pluralità e trasparenza nelle candidature al ruolo di presidente»: in questo caso ovviamente i modi per garantire queste “pluralità” e “trasparenza” possono essere diversi e andranno definiti.
Lo stesso vale per il “garante”: se la figura verrà abolita, come chiedono gli iscritti, bisognerà interrogarsi su come redistribuire i suoi compiti ad altri organismi interni e se eventualmente riequilibrare un po’ le funzioni di questi organismi.
Un ruolo decisivo in questo lavoro di interpretazione dei risultati, di raccolta e di riscrittura organica delle sollecitazioni arrivate dagli iscritti, sarà svolto dal presidente, cioè da Giuseppe Conte. Da un lato dovrà sovrintendere alla stesura del nuovo Statuto: stando a quanto dicono dal suo staff, è un’operazione che Conte intende fare coinvolgendo anche gli altri organismi direttivi del M5S, in particolare il Consiglio nazionale. È l’organismo più numeroso, di cui possono far parte fino a 20 persone. Non è però ancora chiaro con che tempi si svolgerà questo lavoro, né se quando sarà finito il testo verrà nuovamente sottoposto al voto degli iscritti.
Sulle modifiche agli altri regolamenti, a partire dal Codice etico, Conte dovrà invece coordinarsi con il Comitato da Garanzia. È composto dall’ex presidente della Camera Roberto Fico, dalla ex sindaca di Roma Virginia Raggi e dalla ex senatrice Laura Bottici. È a questo organismo che Conte dovrà proporre le modifiche ai vari regolamenti, e potrà riceverne delle controproposte. Se non si troverà un accordo spetterà agli iscritti decidere con un nuovo voto online. Anche in questo caso, non si ha alcuna indicazione sui tempi e sugli orientamenti puntuali del presidente e del Comitato, che dovranno peraltro decidere anche su quella che è una delle più clamorose modifiche al Codice etico, e cioè l’abolizione del limite dei due mandati.
Come superare i due mandati e definire le alleanze
Finora gli eletti del Movimento 5 Stelle non potevano di fatto ricoprire una carica elettiva per più di due volte, salvo rarissime eccezioni. L’Assemblea costituente ha deciso di eliminare questo vincolo, votando a favore di varie proposte sostitutive: aumentare il numero massimo di mandati da due a tre; tenere fermo il limite a due mandati, ma solo rispetto a ciascun livello istituzionale (si potrà dunque essere per due volte consiglieri regionali, e poi diventare senatori in parlamento, per esempio); introdurre una pausa minima di cinque anni dopo aver ricoperto i due mandati, prima di potersi ricandidare; introdurre deroghe specifiche. Tutte queste proposte sono state approvate insieme dalla maggioranza degli iscritti, con percentuali di consenso diverse, ma andranno coordinate e definite meglio perché alcune sono tra loro difficilmente compatibili.
Ci sono poi alcune incertezze sulle future alleanze del partito. L’Assemblea ha risolto un’ambiguità che durava da molti anni, quella sulla collocazione politica del M5S, decidendo apparentemente di collocarlo nel centrosinistra: in realtà è un po’ più complicata di così. Tra i quesiti che riguardavano questo tema infatti l’opzione che ha ottenuto più voti (il 36,7 per cento) prevede che il M5S si dichiari una forza di «progressisti indipendenti». Il testo votato però ha qualche ambiguità: dice che il Movimento si pone «in opposizione alle forze di destra», ma lo qualifica come «forza autenticamente democratica e pacifista, non riducibile solo alle più tradizionali forze di sinistra».
È difficile da dire nella pratica come andrà attuato questo voto. Conte, nel discorso finale con cui ha commentato i risultati, si è mantenuto molto sul vago al riguardo, specie sull’opportunità di costruire un’alleanza solida e imprescindibile col principale partito progressista italiano, il Partito Democratico. Del resto Conte deve tenere evidentemente conto anche degli altri orientamenti emersi dalle votazioni online. Il 26,2 per cento degli iscritti ha infatti proposto di non dichiarare alcun collocamento politico, «e mantenere la storica distanza dalla destra e dalla sinistra». Poi, col 22 per cento dei voti, è emersa la volontà di proporsi come «forza progressista», e infine l’11,5 per cento degli iscritti ha votato per «dichiararsi forza di “sinistra”».
Le diverse correnti del M5S
Questa incertezza sulla collocazione da parte degli iscritti si riflette anche tra i dirigenti del M5S. In queste settimane di dibattito interno ci sono infatti state grosse divergenze sulle alleanze e sulla collocazione politica. Da un lato c’è stato chi, come la vicepresidente Chiara Appendino, ha espresso grosse perplessità sulla vicinanza al PD, arrivando anche a polemizzare direttamente con Conte sul tema. Certamente c’è una convinzione ideologica di Appendino, che è di formazione e di cultura moderata; ma, come lei stessa ammette, la sua diffidenza nei confronti del partito di Elly Schlein ha origine anche nel rapporto burrascoso che lei ebbe col PD piemontese durante il suo mandato da sindaca di Torino, tra il 2016 e il 2021.
Oltre ad Appendino, ad aver auspicato che il M5S si mantenesse «né di destra né di sinistra» sono stati anche altri esponenti un tempo molto importanti: da Virginia Raggi a Danilo Toninelli, solo per fare due nomi. Nel loro caso peraltro la contrarietà a schierarsi esplicitamente nel centrosinistra si è sovrapposta alla difesa del ruolo di Grillo in opposizione a Conte. Questo pezzo del partito più ancorata alle origini ha cercato nei mesi scorsi anche di organizzarsi e strutturarsi, chiedendo anche ad Alessandro Di Battista se fosse interessato ad assumere un ruolo di coordinatore. Poi però non se ne è fatto niente.
E poi c’è l’ala più di sinistra, che fa riferimenti anzitutto a Stefano Patuanelli, già due volte ministro e capogruppo al Senato. Lui da tempo chiedeva che il M5S affermasse la sua salda collocazione nel campo progressista, e nelle scorse ore ha ribadito che a suo avviso il voto degli iscritti va inteso proprio in questo senso: il M5S non potrà più fare alleanze che non siano con partiti di centrosinistra (ha anche chiesto ai responsabili legislativi del gruppo del M5S al Senato di imbastire una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis, recependo un’indicazione arrivata dagli iscritti). Lo ha fatto anche auspicando che non ci siano divisioni sul tema. «Tra le tante cose positive che derivano dall’esserci collocati stabilmente tra i progressisti, c’è una cosa che non mutuerei dai partiti che già ci stanno: la divisione in correnti», dice Patuanelli.
In questo scenario abbastanza composito e ancora non del tutto chiaro, Conte si è mosso finora in maniera un po’ criptica. Ha indicato chiaramente la sua volontà di collocarsi in maniera stabile nel campo progressista solo negli ultimi giorni, arrivando anche a dire che se l’Assemblea avesse dato indicazioni in senso opposto lui avrebbe rinunciato alla guida del M5S. Conte è un progressista moderato, che ha accettato di guidare prima un governo di destra sovranista e populista (insieme alla Lega, tra il 2018 e il 2019), e poi uno di centrosinistra (insieme al PD, tra il 2019 e il 2021).
Allo stesso modo, ha dapprima tentato di favorire l’ingresso del M5S nel gruppo al parlamento europeo di Renew Europe, cioè i centristi che fanno capo a Emmanuel Macron. Poi ha negoziato a lungo per far aderire il M5S al gruppo dei Socialisti europei, lo stesso del PD. Ha quindi tentato coi Verdi, sempre in maniera infruttuosa. Infine, nel luglio scorso, ha ottenuto l’adesione al gruppo LEFT, quello della Sinistra radicale, spiegando però che si tratta di una prova di sei mesi, dopodiché si deciderà che fare. Durante una recente assemblea coi parlamentari ha spiegato che è stata una scelta un po’ obbligata, e che comunque si valuterà in seguito se sarà davvero quella la collocazione definitiva.
Si è dimostrato insomma sempre piuttosto pragmatico e duttile, cercando di volta in volta le alleanze che gli tornavano più utili senza grossi vincoli ideologici. La linea politica che il M5S dovrà seguire, da adesso in poi, sulla base delle indicazioni ricevute dagli iscritti, restringe il perimetro d’azione di Conte al solo campo del centrosinistra. Anche in questo caso ci saranno da elaborare un programma e una linea coerenti, e una strategia delle alleanze che vada al di là delle convenienze del momento. Su questo come su altre questioni Conte dovrà confrontarsi con gli organismi interni del M5S, ma sarà soprattutto la pratica quotidiana a definire l’orientamento effettivo.