Come le bambole possono servire nella demenza senile
È una terapia non farmacologica utilizzata in alcuni casi per ridurre l’ansia e l’agitazione, ma a volte rifiutata per i rischi e le implicazioni
Ad agosto il tribunale civile e amministrativo del New South Wales, a Sydney, ha giudicato colpevole di condotta professionale inadeguata un’infermiera del reparto di geriatria dell’ospedale della città di Junee, per un fatto avvenuto a dicembre del 2021. L’infermiera aveva intenzionalmente sbattuto su un tavolo la bambola terapeutica di una paziente della clinica di 82 anni affetta da demenza. La Health Care Complaints Commission, l’agenzia che raccoglie i reclami per i servizi sanitari forniti nello stato, ha cancellato il nome dell’infermiera dal registro dei professionisti autorizzati.
Il reparto di geriatria dell’ospedale di Junee è una delle strutture di assistenza agli anziani che in Australia utilizzano la terapia della bambola con pazienti affetti da demenza, una malattia che interessa circa 411mila persone nel paese (più o meno 15 abitanti su mille) e oltre 55 milioni nel mondo. Diffusa negli Stati Uniti e in Australia fin dagli anni Ottanta, è una terapia complementare non farmacologica utilizzata da tempo anche in altri paesi, inclusa l’Italia (all’ospedale Molinette a Torino, tra gli altri). Le persone con una demenza in Italia sono oltre un milione, di cui circa 600mila con demenza di Alzheimer.
Lo scopo della terapia della bambola è da un lato stimolare le funzioni cognitive residue nelle fasi avanzate della demenza e di altri disturbi neurodegenerativi. Dall’altro è ridurre i comportamenti spesso associati a queste malattie: agitazione, aggressività, disturbi dell’umore e alterazioni percettive, tra gli altri. A seconda dello stadio della malattia, le alterazioni determinano una distorsione più o meno profonda del senso del tempo e dello spazio.
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L’efficacia della terapia ha a che fare con le caratteristiche stesse delle demenze, che tendono a far perdere il ricordo degli eventi più recenti prima di quelli più lontani nel tempo. Coccolare la bambola può indurre la persona malata a rievocare periodi della vita in cui accudiva bambini, oppure altri in cui desiderava una bambola. Ed è anche un’attività manuale, che può servire come altre – dalla cucina al giardinaggio – a stimolare le capacità motorie e sensoriali. La terapia è inoltre considerata un modo efficace per orientare l’attenzione sia della persona che del caregiver verso un oggetto comune, in una fase della malattia in cui la comunicazione può essere limitata a causa della perdita di alcune funzioni linguistiche.
In tempi recenti alcune strutture per anziani in diversi paesi hanno cominciato a utilizzare le bambole reborn (“rinate”), un tipo di bambole iperrealistiche e piuttosto costose diffuse fin dagli anni Novanta. In Francia, per esempio, sono utilizzate in una clinica per anziani a Le Thor in cui lavorano circa venti operatori sanitari specializzati.
La loro presenza è necessaria per regolare la relazione tra i residenti e le bambole. L’efficacia della terapia con un residente di 80 anni ha permesso di eliminare il bisogno di farmaci sedativi, ha detto al quotidiano Le Parisien Laure Bertrand-Gervais, medica coordinatrice della clinica. In altri casi le bambole hanno ridotto anche problemi di nutrizione, ha aggiunto.
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La terapia della bambola è diffusa in molti paesi perlopiù in forma sperimentale. «Esistono linee guida generali, a livello internazionale, ma devono essere adattate individualmente a ciascun paziente», spiegò nel 2019 al quotidiano El País la psicologa e neuroscienziata spagnola Nuria Carcavilla, che si occupa di ricerca e formazione sulle demenze.
Il quadro teorico di riferimento è la teoria dell’attaccamento, elaborata negli anni Settanta dal medico inglese John Bowlby. Secondo la teoria le relazioni primarie che si sviluppano tra l’adulto e il bambino servono anche a regolare le emozioni negative in caso di eventi minacciosi o dannosi. L’utilizzo delle bambole richiede però una certa accortezza: «Introduciamo uno strumento culturale legato ai bambini, ma non è un gioco», aggiunse Carcavilla.
In molti casi le persone malate che si affezionano a una bambola sono portate a trattarla come un essere umano, bisognoso di cure e attenzioni. Possono quindi rimanere turbate, se notano una differenza tra le loro percezioni e quelle di altre persone. Per questo motivo è importante lasciarsi guidare dalla persona malata, ha scritto sul sito The Conversation Nikki-Anne Wilson, ricercatrice in neuroscienze alla University of New South Wales a Sydney.
Non tutte le persone affette da demenza traggono benefici dalla terapia. Può essere inadatta a chi non si è mai preso cura di bambini, per esempio, o suscitare reazioni negative a persone con traumi associati alla morte di un figlio o di una figlia, sebbene siano noti (e discussi) anche casi di uso terapeutico delle bambole da parte di giovani madri nell’elaborazione del lutto.
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La ricerca scientifica, per quanto limitata, mostra in generale che la terapia è efficace. Secondo una ricerca pubblicata nel 2024 è un approccio utile per ridurre l’ansia, l’agitazione e altri disturbi comportamentali. Ma per valutare meglio gli effetti servirebbero studi clinici su campioni più ampi ed eterogenei, che includano più pazienti maschi.
Uno studio italiano del 2018 misurò l’efficacia della terapia su 29 residenti di case di cura affetti da demenza grave, di età compresa tra 76 e 96 anni. Dopo 20 sedute i pazienti che avevano utilizzato le bambole mostrarono una riduzione significativa dei disturbi psichiatrici e comportamentali rispetto a un gruppo di controllo.
Da tempo la terapia della bambola è anche oggetto di critiche. Molte persone, spesso tra i parenti degli anziani malati, la considerano una forma di infantilizzazione che rischia di aumentare lo stigma verso persone già portate a isolarsi per la loro malattia. Se non supervisionato da personale preparato, l’attaccamento alla bambola può anche interferire con le relazioni umane, provocando incomprensioni e sofferenza.
Le preoccupazioni per i rischi sono tuttavia controbilanciate dalle crescenti preoccupazioni per la sostenibilità di efficaci politiche di assistenza agli anziani malati, a fronte dell’invecchiamento della popolazione mondiale. La terapia della bambola è ritenuta in questo senso una delle più convenienti e meno rischiose terapie non farmacologiche della demenza, secondo una ricerca pubblicata nel 2023 sulla rivista Plos One.
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In una casa di riposo ad Alpedrete, in Spagna, la terapia è utilizzata da diversi anni, per brevi sedute e sotto la supervisione di un terapista. Tra i residenti malati è servita a ridurre sintomi come l’apatia e l’agitazione, ma anche a motivarli a svolgere attività quotidiane come fare una passeggiata o dormire.
È capitato che alcuni parenti dei residenti si opponessero all’uso delle bambole, o che dessero l’autorizzazione a patto che venisse chiarito alla persona malata che la bambola non era un essere vivente. Ma non è così che funziona la terapia, spiegò a El País Ana Sanz, un’operatrice della residenza: «Non specifichiamo se è una bambola o un bambino, diciamo “guarda chi è venuto” e rispettiamo la loro percezione. Non lo facciamo per intrattenerli, ma per il legame che si crea, non solo con le bambole ma con le altre persone».