Cosa si sa del rapimento e dell’uccisione del rabbino Zvi Kogan a Dubai
Secondo gli Emirati i colpevoli sono tre cittadini uzbeki, già arrestati; sui media israeliani si parla di una «cellula diretta dall’Iran»
Il rabbino Zvi Kogan, 28 anni, che aveva doppio passaporto israeliano e moldavo, è stato rapito e assassinato negli Emirati Arabi Uniti. Kogan apparteneva al gruppo ortodosso Chabad Lubavitch, che manda emissari in tutto il mondo per rafforzare e aiutare la presenza di fedeli ebrei, e gestiva un supermercato kosher a Dubai, la città più grande degli Emirati.
Il rabbino è stato visto l’ultima volta mentre usciva dal suo supermercato, il Rimon Market, giovedì 21 novembre. Il suo cadavere è stato trovato la mattina presto di domenica a Al Ain, una città degli Emirati a un’ora e mezza di automobile (150 km) da Dubai, a ridosso del confine con l’Oman. Anche la sua automobile è stata trovata nella stessa zona, ma non è chiaro se il cadavere fosse dentro, nei pressi oppure distante. C’erano segni di colluttazione nel veicolo.
Non ci sono informazioni pubbliche sullo stato del cadavere, che sarà rimpatriato oggi in Israele, o su come il rabbino sia stato ucciso. Il giorno del rapimento l’automobile ha preso una multa per eccesso di velocità sulla strada tra Dubai e Al Ain.
Domenica sera il ministero dell’Interno degli Emirati ha annunciato la cattura «dei tre responsabili coinvolti nell’assassinio», e lunedì mattina ne ha rivelato l’identità, senza aggiungere altro. Sono tre cittadini dell’Uzbekistan: Olimboy Tohirovich, 28 anni, Makhmudjon Abdurakhim, anche lui 28 anni, e Azizbek Kamilovich, 33 anni.
Subito dopo il ritrovamento del cadavere il sito del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha scritto che l’intelligence israeliana, che aveva subito mandato una squadra di rinforzo negli Emirati a investigare sul sequestro, sospettava che il rabbino fosse stato rapito da tre cittadini uzbeki poi fuggiti in Turchia. La notizia però è stata contraddetta dagli Emirati, appunto, che qualche ora dopo hanno annunciato di avere arrestato i tre responsabili.
Il canale tv israeliano Kan 11 ha detto che il rabbino è stato rapito da «una cellula diretta dall’Iran».
Funzionari israeliani di alto livello hanno detto anche al sito di informazione israeliana Walla News che al centro delle indagini c’è «una squadra terroristica di origine uzbeka che operava a Dubai per conto dell’Iran» e che avrebbe eseguito il rapimento per poi fuggire in Turchia. L’intelligence israeliana sospetta che Kogan «potrebbe essere stato sorvegliato da elementi terroristici».
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato l’uccisione del rabbino Kogan come un «efferato atto di terrorismo antisemita» e ha promesso che i colpevoli saranno puniti, ma non ha menzionato l’Iran.
Kogan era arrivato a Dubai dopo i cosiddetti «Accordi di Abramo», il nome dato alla svolta diplomatica dell’agosto 2020 mediata dall’allora presidente americano Donald Trump che aveva ufficializzato la normalizzazione dei rapporti tra Israele e gli Emirati. I rapporti tra i due paesi si erano intensificati: oggi ci sono voli diretti ogni giorno e secondo fonti locali gli ebrei che abitano negli Emirati sono qualche migliaio. Vivono con discrezione perché il governo israeliano ha avvertito del rischio di attacchi antisemiti, in particolare dopo il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas contro Israele.
Di recente, hanno notato i giornalisti israeliani arrivati a Dubai per seguire la notizia, qualcuno aveva strappato dalle porte del Rimon Market le mezuzah, oggetti rituali ebraici che conservano versi della Torah, il libro sacro della religione ebraica. Kogan era entrato negli Emirati con il passaporto moldavo e gli Emirati nei comunicati lo trattano come fosse soltanto moldavo, perché crea meno imbarazzo.
Dubai è considerata una delle città più sicure del mondo grazie all’esteso sistema di sorveglianza con telecamere e ai programmi di identificazione facciale e delle targhe gestiti con l’intelligenza artificiale che riescono a ricostruire gli spostamenti di singole persone e di singoli veicoli.
Ci sono un paio di precedenti a Dubai che hanno fatto pensare a una possibile operazione dell’intelligence iraniana, ma non ci sono davvero prove che l’Iran c’entri qualcosa. Per quanto ne sappiamo al momento, il rabbino potrebbe essere stato ucciso da un gruppo estremista che non c’entra nulla con l’Iran, come lo Stato Islamico, o da altri soggetti. Citare i precedenti aiuta a capire perché alcuni da domenica accusano il regime iraniano.
Nel luglio 2020 un uomo con doppia nazionalità, tedesca e iraniana, venne rapito all’hotel Premier Inn dell’aeroporto internazionale di Dubai e trasferito di nascosto in Iran. L’uomo si chiamava Jamshid Sharmahd, era sospettato di essere un leader di Tondar, un gruppo monarchico in esilio che il governo iraniano accusa di alcuni atti terroristici in Iran.
Sharmahd viveva in California. Arrivò a Dubai come scalo per continuare con un altro volo verso l’India. Il 29 luglio saldò il conto dell’hotel. I dati della rete dicono che il cellulare di Sharmahd lo stesso giorno si spostò da Dubai ad Al Ain (come il rabbino Zvi Kogan), attraversò il confine con l’Oman, che era chiuso ai turisti a causa delle restrizioni per il Covid, e poi si spense. Tre giorni dopo l’Iran annunciò la sua cattura in un’operazione d’intelligence. In Iran fu poi giudicato, condannato a morte e ucciso. La notizia della sua morte è di pochi giorni fa, il 28 ottobre del 2024.
Il secondo caso è quello dell’uomo d’affari Abbas Yazdi, doppia nazionalità britannica e iraniana. Nel giugno 2013 Yazdi venne rapito da tre iraniani che lo immobilizzarono nella sua macchina nel parcheggio sotto al suo ufficio all’uscita dal lavoro (come forse è successo a Zvi Kogan) e poi il giorno dopo lo caricarono su una barca in partenza da al Sharja, il porto vicino a Dubai, per l’Iran. Sparì e da allora non abbiamo più notizie su di lui.
Yazdi era stato in prigione in Iran fino a 24 anni, poi era uscito e aveva cominciato una nuova vita a Londra. Si era trasferito a Dubai dopo un’accusa per corruzione. Gli iraniani ebbero un’enorme mole di informazioni su Yazdi grazie a un’indagine dell’ufficio frodi britannico, che poi passò tutto il faldone all’Iran credendo di fare una cosa buona.