La mappa che mandò in prigione due cartografi
Il più importante monastero della Georgia è tagliato in due dal confine con l'Azerbaijan, e questo ha provocato uno dei più grossi scandali nel paese degli ultimi anni
di Davide Maria De Luca e Leonardo Delfanti
Il 7 ottobre del 2020 la polizia georgiana arrestò due cartografi con l’accusa di aver tramato per cedere al vicino Azerbaijan il pezzo di suolo nazionale su cui sorge il più sacro monastero del paese. La cosa sorprese molto i due cartografi. Iveri Melashvili era un professionista del settore, che aveva fatto pratica come agronomo ai tempi dell’Unione Sovietica prima di essere chiamato come consulente al ministero degli Esteri della Georgia. Quando lo portarono in prigione gli mancavano pochi anni alla pensione.
Natalia Ilychova aveva un curriculum simile, ma su di lei i sospetti erano ancora maggiori perché il suo nome ha origini russe e in Georgia, un paese che negli ultimi 30 anni con la Russia ha combattuto tre guerre, molti diventano sospettosi quando la Russia viene associata a questioni di confini.
L’arresto divenne un caso nazionale. Il paese era in piena campagna elettorale. Il partito di governo, Sogno Georgiano, accusò l’opposizione di aver nascosto lo scandalo quando era al potere. Il ministro della Difesa chiamò i due cartografi «traditori» e la televisione di stato li additò come nemici pubblici. I due vennero tenuti in prigione per mesi e liberati soltanto dopo il voto. Ma il clima di persecuzione non si fermò. Melashvili fu aggredito per strada. Ilychova fu accusata di essere una spia al servizio della Russia. Nel frattempo, in un clima elettorale animato di patriottismo e sentimento nazionale offeso, Sogno Georgiano vinse con quasi il 50 per cento dei voti. Il partito, populista e di destra, è ancora oggi al potere in Georgia e ha da poco vinto nuove elezioni, in un clima molto teso e tra accuse di brogli.
Il monastero che ha dato origine a questa storia si trova nella regione del Kakheti, a un’ora di macchina dalla capitale, Tbilisi. Nonostante la prossimità geografica, è una regione remota e disabitata, fatta di colline spoglie, laghi salati e valli dove non cresce che erba gialla. In quest’area semidesertica e adatta alla contemplazione, alcuni monaci cristiani georgiani costruirono, a partire dall’VIII secolo, un complesso di monasteri dedicato al loro santo più importante.
Secondo la leggenda, David Gareji era andato in pellegrinaggio dalla Georgia a Gerusalemme e, volendo condividere la grazia ottenuta con il viaggio insieme ai suoi compatrioti, decise di portare con sé al ritorno tre pietre prese nella città santa. Venuto a sapere della sottrazione, il governatore di Gerusalemme disse che senza quelle pietre la città avrebbe perso la sua aura sacra. Ordinò così di fermare David e riprendersi almeno due delle tre pietre. Per questo in Georgia si dice che andare tre volte al monastero di David Gareji equivale a un pellegrinaggio in Terra Santa.
Oggi però la reliquia più sacra della Chiesa georgiana, affiliata al cristianesimo ortodosso e molto vicina alla Chiesa russa, viene custodita nella capitale Tbilisi e torna nel Kakheti soltanto per occasioni speciali. Il monastero è finito al centro di una disputa internazionale che lo ha privato del suo luogo più sacro: la cappella di Bertubani, situata in cima alla montagna più alta della zona, l’unica in tutto il paese affrescata con lo stile georgiano del XII secolo, secondo i rilievi topografici si trova nel territorio dell’Azerbaijan.
«Senza Georgia non c’è David Gereji e senza David Gereji non c’è la Georgia», dice Lazar, diacono del monastero e secondo nella gerarchia locale. Lazar è arrivato qui quando ancora studiava teatro all’università di Tbilisi pensando di restare qualche giorno per raccogliere le idee. Di settimana in settimana è rimasto per più di 25 anni. Le vicissitudini del monastero, diventato il centro di una contesa internazionale e di uno scandalo elettorale che ha segnato la storia del paese, le ha vissute tutte in prima persona. Compresi i confronti con i militari azeri.
Lazar vive nel monastero principale del complesso, un pugno di casette e caverne connesse da scale di legno. Appena fuori dalle mura, due militari georgiani sorvegliano il sentiero che porta sulla cima del monte, dove si trova la cappella di Bertubani e il confine con l’Azerbaijan.
Tutta la vicenda, spiega Lazar, risale a prima dell’indipendenza della Georgia, quando ai tempi dell’Unione Sovietica l’intero Caucaso faceva parte dello stesso super-stato e quelli con il vicino Azerbaijan erano semplici confini amministrativi che attraversavano zone desertiche e disabitate di scarsa importanza. Il fatto che l’Urss avesse chiuso il monastero per aprirci vicino una base militare non forniva incentivi a realizzare mappe precise della zona.
Tuttavia, quando nel 1991 Georgia e Azerbaijan conquistarono l’indipendenza, dove passava esattamente la linea divenne una questione che poteva finire in una guerra. Erano anni complicati per la regione, in cui numerosi conflitti scoppiati tra vicini o tra governi e separatisti e minoranze interne videro spesso l’intervento della Russia a favore di una delle parti, o a volte di entrambe.
Il confine tra Georgia e Azerbaijan rimase relativamente tranquillo. L’Azerbaijan rivendicava come sua l’altura con la preziosa cappella di Bertubani. Non per motivi storici o religiosi: l’Azerbaijan è un paese a maggioranza musulmana. Da quel punto però, sostengono gli azeri, si domina l’intera vallata: è un punto strategico. Per anni, ai sacerdoti e pellegrini georgiani fu comunque consentito l’accesso al monastero. Poi la situazione si fece più tesa. Gli azeri smisero di far accedere i monaci e i due paesi entrarono in trattative per risolvere pacificamente il conflitto.
Il diacono Lazar misura attentamente le parole quando arriva a questo punto del racconto. «Una persona molto ricca ha comprato una rarissima mappa che mostrava chiaramente che il monastero era georgiano. Per qualche motivo, però, non è stata presa in considerazione». La persona che ritrovò la mappa e la consegnò al ministero della Difesa, dando avvio al caso che avrebbe portato in prigione i due cartografi, è un uomo d’affari dal passato ambiguo. In un’intervista, quest’uomo ha raccontato che a chiedergli di intervenire sulla questione era stato Bidzina Ivanishvili, uomo più ricco della Georgia, fondatore e leader del partito di governo, Sogno Georgiano. Le critiche contro i due cartografi cominciarono in quel momento, quando in Georgia si iniziò a parlare di una rara mappa che dava ragione alle rivendicazioni territoriali georgiane sul monastero.
«Tutta questa storia è una stupidaggine – dice Iveri Melashvili, seduto in un ristorante vicino alla sua abitazione, in un quartiere periferico e popolare di Tbilisi – Quella mappa la conosco come il Padre nostro». Nato nel 1958 in un villaggio di montagna in una famiglia della classe media in ascesa nel dopoguerra sovietico – padre ingegnere e madre insegnante di geografia – Melashvili si definisce un “violino”, un vecchio termine pre-indipendenza che oggi potremmo tradurre con “nerd”.
Laureato alla facoltà di Agronomia, per anni ha lavorato in una commissione che si occupava di determinare i confini tra le varie fattorie collettive, le cooperative agricole statali presenti in tutta l’Urss, un lavoro scrupoloso e razionale che si adattava bene al suo temperamento, racconta. Con l’indipendenza della Georgia, la sua carriera ha avuto un’accelerazione. Dopo aver collaborato con la Banca Mondiale, nel 2006 gli fu offerto di partecipare come esperto tecnico alla Commissione di demarcazione, un organo del ministero degli Esteri che aveva il compito di fornire consulenze sulla determinazione dei confini. «L’area più complicata era quella al confine con l’Azerbaijan: 460 chilometri di cui soltanto 300 delimitati con certezza».
Per lui fu un riconoscimento importante della sua professionalità. Certo, contribuire a delimitare i confini di una nazione solleticava il sentimento patriottico del figlio di un’insegnante di geografia, ma per lui, dice, la cosa più importante era svolgerlo con scrupolosità, mantenendo i nervi saldi e senza farsi prendere da colpi di testa.
Ricorda con particolare ammirazione la sua collega, Ilychova, una “violina” come lui, unica donna in una squadra di uomini che spesso doveva affrontare viaggi in terreni accidentati e notti all’addiaccio. Ilychova, ricorda, si è sempre comportata con la massima professionalità. Il loro lavoro, svolto in gran parte sotto il governo di Mikheil Saakashvili che precedette quello di Sogno Georgiano, ha contribuito a fissare l’attuale confine, su cui Georgia e Azerbaijan hanno raggiunto un accordo nel 2012.
Le prime voci sul fatto che la Georgia avesse avuto la peggio in quell’accordo e che una misteriosa mappa avrebbe potuto alterare il corso del confine avevano iniziato a circolare già dieci anni fa. Ma all’epoca Melashvili non vi diede peso. Quella misteriosa mappa, lui e la sua collega, l’avevano già vista. «È una mappa petrolifera, stampata dalla fabbrica cartografica di Tbilisi tra il 1936 e il 1938», dice.
La mappa, spiega, mostra effettivamente l’intero monastero di David Gereji entro il confine georgiano. Perché non l’hanno usata, allora? «Per prima cosa, perché era piena di errori», dice. Andando a riportare sul terreno le indicazioni della mappa, si scoprivano fiumi e rocce a centinaia di metri, a volte chilometri, da dove avrebbero dovuto essere. Non c’era da sorprendersi che una mappa petrolifera a piccola scala non riportasse con particolare scrupolosità un nebuloso confine regionale tra due repubbliche dell’Unione Sovietica.
Ma anche se fosse stata corretta, c’era un altro problema. «Le mappe non hanno un valore legale – spiega – e il nostro è un lavoro lento e scrupoloso. Fatto dall’analisi di centinaia di documenti. Una sola mappa non è sufficiente. È come pensare che un singolo ritratto possa definire completamente una persona. Prendete un altro artista, fategli fare un altro ritratto da un altro punto di vista e vedrete un’altra persona. La cartografia significa tener conto di tutti questi ritratti».
Le discussioni sulla mappa rimasero confinate a gruppi di nazionalisti e religiosi con tendenze cospirazioniste fino alle elezioni del 2020. Poi, con il “ritrovamento” della mappa e la sua consegna al ministero della Difesa, il caso esplose. L’arresto «è stata una sensazione incredibile, una sorpresa totale», ricorda oggi Melashvili. «In quei giorni si era tornati a parlare del caso, ma non credevo fosse una discussione seria».
Il fatto che il caso divenne immediatamente politico fece sì che l’opposizione si schierasse con i due cartografi. Sogno Georgiano venne accusato di aver trovato due capri espiatori per attaccare il governo precedente. La vasta e influente rete di ONG del paese denunciò la loro persecuzione e portò il caso di fronte alle corti internazionali, mentre le reti di attivisti organizzarono raccolte di fondi per sostenere i due arrestati.
Dall’arresto dei due cartografi sono passati quattro anni e i georgiani hanno visto negli ultimi mesi un’aspra e combattuta campagna elettorale. Sogno Georgiano si è presentato di nuovo agli elettori e, nuovamente, ha vinto elezioni contestate e accusate di irregolarità con più di metà dei voti. Ma questa volta, in campagna elettorale, del furto di stato e dei due cartografi traditori non ha più parlato nessuno. Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, a capo di un regime autoritario, è diventato nel frattempo uno dei più importanti alleati del partito di governo ed è stato uno dei primi a congratularsi per la contestata vittoria. La minoranza azera in Georgia ha votato in massa per Sogno Georgiano.
Nel frattempo la sacra cappella di Bertubani è ancora al di là del confine, inaccessibile a monaci e pellegrini. Anche la chiesa georgiana, alleata del governo, ha messo il tema in secondo piano. Dopo anni in cui il monastero è stato al centro di tensioni e rivendicazioni, il diacono Lazar ne parla con toni sobri, inaspettati in un religioso privato del suo luogo sacro: «Il presidente Aliyev ha promesso di risolvere la situazione, speriamo che mantenga presto la sua parola».
A Tbilisi, intanto, il processo a Melashvili e Ilychova non è ancora cominciato. I loro avvocati insistono affinché si inizino ad ascoltare i testimoni e a esaminare i documenti, certi che dimostreranno l’innocenza dei loro clienti. Ma le udienze vengono sempre rimandate. I due cartografi rischiano una condanna tra i 10 e i 15 anni di prigione.