L’ambiguità del governo italiano sull’accordo commerciale col Mercosur
Era favorevole, o così almeno diceva il ministro degli Esteri prima che quello dell'Agricoltura dicesse il contrario, assecondando Coldiretti
Nelle ultime settimane il governo italiano ha dimostrato di avere una posizione piuttosto ambigua sulle sue intenzioni riguardo al cosiddetto “Mercosur”, l’importante trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e il Mercosur, appunto, cioè l’area di mercato comune sudamericana di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Nel complesso dibattito tra i paesi europei, negli ultimi due anni il governo di Giorgia Meloni aveva sempre tenuto una posizione favorevole all’accordo, sia pure con qualche marginale perplessità, e in questo senso si era espresso il ministro degli Esteri Antonio Tajani ancora lo scorso ottobre.
Poi, durante il G20 a Rio de Janeiro, l’orientamento è improvvisamente cambiato. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, recependo le grosse critiche espresse a livello sia europeo sia italiano dalle associazioni degli agricoltori, tra cui l’influente Coldiretti, si è detto nettamente contrario all’entrata in vigore del trattato, inducendo di fatto anche Tajani a rivedere la sua posizione. E Giorgia Meloni, pur evitando di esporsi personalmente, ha assecondato questa linea, facendo sapere informalmente che così com’è il trattato non è accettabile per l’Italia.
La cosa bizzarra, però, è che a sciogliere questa ambiguità italiana è stato Emmanuel Macron, il presidente francese. Macron è da sempre convintamente contrario al Mercosur, e intercettando alcuni cronisti italiani presenti a Rio de Janeiro ha elogiato la «bella mossa di Meloni» che ha seguito l’orientamento del governo francese: ed è così che si è capito che l’Italia aveva definitivamente cambiato idea.
Dell’accordo tra Unione e Mercosur si parla da oltre vent’anni. I negoziati, iniziati nel 2000, sono stati lunghi e complessi, e hanno dovuto tenere conto delle obiezioni e dei veti sia dei paesi europei sia di quelli sudamericani. L’obiettivo del trattato è favorire gli scambi commerciali tra i due mercati, e agevolare gli investimenti delle imprese europee nel Sud America, e viceversa. L’Europa ha interesse a importare materie prime e a esportare prodotti finiti; Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay si prefiggono di esportare principalmente prodotti agroalimentari, in particolare grano e carni (soprattutto bovine). Ma al di là della dimensione commerciale, c’è poi un aspetto politico molto importante: l’accordo è uno strumento per rafforzare il legame diplomatico tra l’Unione e il Sud America in un momento in cui molti paesi di quell’area sono attratti più o meno direttamente dalla Cina.
Questo lungo e contorto negoziato sembrava dovesse risolversi durante il G20 di Rio de Janeiro della scorsa settimana: lì, secondo le previsioni degli analisti e dei diplomatici europei, si sarebbe insomma capito se la Commissione Europea aveva effettivamente interesse a chiudere le trattative. E proprio in vista di questo evento, le divisioni tra i paesi europei sono tornate a esasperarsi. Macron ha ribadito la contrarietà storica della Francia, poiché gli industriali del settore agroalimentare temono che l’immissione nel mercato europeo di carni e formaggi sudamericani, prodotti con standard qualitativi più bassi, producano una concorrenza sleale per i produttori francesi.
E però la Francia è l’unico grande paese europeo che finora aveva questa posizione, e dunque difficilmente avrebbe potuto impedire un voto favorevole all’entrata in vigore del trattato da parte del Consiglio Europeo, cioè la riunione dei capi di stato e di governo dei 27 paesi europei. Per questo il cambio di orientamento italiano è così rilevante: insieme, Francia e Italia potrebbero invece impedire di fatto l’approvazione dell’accordo col Mercosur (la decisione avviene tramite un voto dal funzionamento un po’ complesso in cui in sintesi i voti dei paesi più grandi contano di più).
È stata una svolta inattesa: l’Italia finora aveva avuto una posizione abbastanza favorevole, meno entusiastica di quella della Spagna e soprattutto della Germania (che avrebbe un grosso interesse ad aumentare le esportazioni di automobili in Sud America), ma comunque favorevole. Peraltro, a guidare i negoziati per la scrittura dell’accordo in rappresentanza dell’Unione fu Sandra Gallina, una delle più esperte e apprezzate funzionarie italiane all’interno della Commissione, e il suo lavoro, durato anni, era culminato nell’accordo politico raggiunto nel giugno del 2019 tra le controparti. Il ruolo di Gallina, sia pure indirettamente, aveva reso più facile per i governi italiani segnalare alcune esigenze legate all’industria e all’agricoltura italiane.
Il governo sovranista formato da Lega e Movimento 5 Stelle, guidato da Giuseppe Conte, aveva messo in discussione alcuni punti dell’accordo; e la contrarietà di alcuni esponenti del M5S, come Manlio Di Stefano, era stata ribadita anche nel corso del secondo governo di Giuseppe Conte, di cui faceva parte il Partito Democratico al posto della Lega. Proprio l’impegno del PD e di Italia Viva aveva però garantito che l’Italia confermasse la sua posizione favorevole, sia pur con qualche scetticismo.
Era un po’ l’orientamento che stava tenendo anche il governo di Meloni: cautamente favorevole. Il 9 ottobre scorso, durante un viaggio in Brasile, aveva espresso la volontà italiana di agevolare la definizione definitiva dell’accordo. «Stiamo lavorando per accelerare i tempi e arrivare a una conclusione positiva», aveva detto. Poco più di un mese dopo, proprio mentre erano in corso i lavori del G20, il ministro Lollobrigida ha di fatto contraddetto la posizione del titolare del commercio internazionale, e cioè appunto il ministro degli Esteri Tajani.
Per Lollobrigida il trattato ha pro e contro, ma secondo lui approvarlo farebbe subire «un danno insostenibile» al settore agricolo europeo e in particolare a quello italiano. Lollobrigida ci ha tenuto a chiarire che la sua non era una posizione isolata. Lo staff di Meloni, sia pure in maniera del tutto informale, ha fatto sapere che bisogna continuare a lavorare per arrivare una soluzione positiva, e che così com’è il testo del trattato non va bene proprio per il rischio di aggravare la situazione del settore agricolo.
Ai giornalisti che hanno fatto notare questa incongruenza, entrambi i ministri hanno detto che in realtà le loro dichiarazioni erano coordinate e concordate, e Tajani ha poi detto che a suo avviso il testo può e deve essere migliorato su alcuni punti specifici. Ipotesi che però appare piuttosto inverosimile: riaprire il negoziato per modificare alcune parti significherebbe di fatto rimettere tutto in discussione, e rinviare di anni l’entrata in vigore dell’accordo, con la prospettiva concreta che i paesi sudamericani, e in particolare il Brasile, decidano di disinteressarsene del tutto preferendo rafforzare i già solidi legami diplomatici e commerciali con la Cina.
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A suggerire il ripensamento al governo italiano sono state anche le prese di posizione delle varie associazioni agricole nei giorni precedenti all’inizio del G20. In tante hanno espresso perplessità. Ma la più forte nel condizionare l’orientamento del governo è stata, come al solito, Coldiretti, la potentissima associazione degli agricoltori diretti che più di tutte esercita da decenni pressioni e influenze sui governi, e che ha un grande ascendente sullo stesso ministro Lollobrigida e sui suoi collaboratori.
Le posizioni di Coldiretti riflettono timori reali degli imprenditori agricoli, ma ci sono due elementi da considerare: il primo è che l’agroalimentare rappresenta in media tra il 10 e il 15 per cento dell’export italiano nel Sud America, una parte molto minoritaria. È comprensibile che Lollobrigida da ministro dell’Agricoltura dia grande risalto alle critiche delle associazioni di categoria; lo è meno che lo faccia Tajani, che rappresenta gli interessi del commercio estero nel suo insieme.
La seconda cosa da considerare sono i precedenti, che fanno pensare che gli allarmi della Coldiretti siano potenzialmente ingiustificati.
Quello che sta succedendo col Mercosur ricorda quello che avvenne col CETA, un analogo trattato di libero scambio commerciale tra l’Unione Europea e il Canada. Anche in quel caso, Coldiretti temette «danni irreparabili per il Made in Italy», e fece una campagna di propaganda contro l’accordo molto intensa prevedendo tutta una serie di scenari catastrofici che poi non si sono mai realizzati. Anzi, l’Italia è uno dei paesi europei che hanno beneficiato maggiormente del CETA: dall’introduzione del CETA, nel 2016, al 2024, l’interscambio è aumentato del 60 per cento, e le esportazioni italiane in Canada di oltre il 35 per cento. La bilancia commerciale è diventata sempre più favorevole per l’Italia: nel 2023 ha esportato beni per quasi 9 miliardi di euro, importandone 1,8 miliardi.