Uno dei problemi della COP29 in Azerbaijan è stato l’Azerbaijan
Il presidente autoritario del paese ha definito il gas naturale un «dono di Dio» e non è sempre sembrato concentrato sulle priorità della crisi climatica
Uno degli aspetti più controversi della COP29 che si è appena conclusa è stato il ruolo dell’Azerbaijan, il paese ospite di quella che è la più importante conferenza annuale delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico.
L’Azerbaijan è un paese produttore di petrolio e gas naturale, oltre che un paese repressivo e autoritario il cui leader, il presidente Ilham Aliyev, è stato accusato di aver usato la conferenza dell’ONU per perseguire obiettivi politici personali, piuttosto che per cercare di trovare un accordo – che alla fine è stato trovato, ma è ritenuto deludente.
Non è la prima volta che un paese autoritario e produttore di idrocarburi ospita la COP: era successo anche l’anno scorso, per esempio. Ma l’interventismo smaccato di Aliyev è risultato particolarmente notevole, al punto che negli scorsi giorni un gruppo di importanti esperti di questioni climatiche – tra cui l’ex segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon e l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson – ha reso pubblico un appello per chiedere che le prossime COP siano tenute in paesi che sostengono davvero la necessità della transizione ambientale.
Nel discorso d’apertura dell’evento, Aliyev ha detto per esempio che le ampie riserve di petrolio e gas naturale dell’Azerbaijan sono un «dono di Dio». Più del 90 per cento delle esportazioni dell’Azerbaijan e circa il 50 per cento del budget dello stato dipendono dagli idrocarburi. Ma al contrario di altri petrostati come i paesi del Golfo, la maggior parte della popolazione azera non gode della ricchezza generata da gas e petrolio e un quarto della popolazione è in stato di povertà, secondo dati della Banca Mondiale.
Nel corso della Conferenza, inoltre, Aliyev ha spesso adottato posizioni estremamente aggressive nei confronti dei paesi che percepisce come avversari, anche usando pretesti che hanno poco a che vedere con le politiche climatiche: ha accusato la Francia e i Paesi Bassi di colonialismo, con toni molto duri per il leader del paese che ospita la COP. Tradizionalmente il ruolo dei paesi ospitanti è quello di cercare di appianare le differenze e cercare accordi e compromessi, anche perché le decisioni alla COP si prendono di fatto all’unanimità.
Aliyev, tra le altre cose, ha una lunga storia di attacchi politici soprattutto nei confronti della Francia, che considera troppo vicina a un paese rivale, l’Armenia.
Nel 2020 l’Azerbaijan cominciò e vinse una breve guerra contro l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, una regione formalmente azera ma abitata da una popolazione per la maggioranza armena: dopo la guerra, negli anni successivi l’Azerbaijan ha rafforzato il proprio controllo sul Karabakh e cacciato quasi tutti gli abitanti armeni, al punto che varie associazioni indipendenti hanno accusato il regime di pulizia etnica.
La COP29 ha anche contribuito a mettere in luce le gravi violazioni dei diritti umani compiute dal regime di Aliyev, che arresta, perseguita e tortura oppositori e attivisti.
I prigionieri politici, secondo ong locali, sono più di 300, e il regime negli scorsi mesi ha fatto arrestare anche numerosi attivisti e ricercatori per l’ambiente. Uno dei casi più noti è stato quello di Gubad Ibadoglu, un professore azero della London School of Economics autore di ricerche piuttosto critiche sulle politiche ambientali ed economiche del governo. Ibadoglu è stato arrestato nell’estate del 2023 durante una visita in Azerbaijan con accuse di truffa ritenute pretestuose, ed è tuttora agli arresti domiciliari.
L’Azerbaijan ha però rapporti economici strettissimi soprattutto con l’Europa, che si sono intensificati dopo che i paesi europei sono stati costretti a eliminare le importazioni di gas naturale russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Per l’Italia, per esempio, l’Azerbaijan è uno dei primi fornitori di petrolio (15 per cento del totale importato) e il secondo fornitore di gas naturale (16 per cento delle importazioni), secondo le stime del think tank italiano Ecco.