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  • Domenica 24 novembre 2024

Alla COP29 non si sono trovati abbastanza soldi

Si è conclusa con un accordo sui fondi che i paesi più ricchi daranno a quelli in via di sviluppo per far fronte al cambiamento climatico, ma quasi nessuno è soddisfatto

Il presidente della COP29 Mukhtar Babayev e altri delegati applaudono per il raggiungimento di un accordo
Il presidente della COP29 Mukhtar Babayev e altri delegati applaudono per il raggiungimento di un accordo (Sean Gallup/Getty Images)

Nella notte tra sabato e domenica, passate le 2 del mattino, alla COP29 di Baku in Azerbaijan è stato trovato un faticoso e contestato accordo sui nuovi impegni condivisi a livello internazionale per contrastare il cambiamento climatico.

La COP è la più importante conferenza annuale delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico (quella di Baku è stata la ventinovesima), e l’accordo è stato contestato duramente da buona parte dei paesi partecipanti, soprattutto quelli più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, perché ritenuto troppo poco ambizioso o addirittura fatto in malafede.

Come previsto fin dall’inizio dal paese ospite di quest’anno, l’Azerbaijan, l’accordo ha riguardato soprattutto la questione della finanza climatica, cioè gli aiuti economici con cui i paesi più ricchi e storicamente responsabili per le emissioni di gas serra, quelli che causano il riscaldamento globale, si sono impegnati a sostenere quelli meno sviluppati dal punto di vista economico. L’accordo prevede circa 1.300 miliardi di dollari (circa 1.250 miliardi di euro) di aiuti all’anno, ma di questi soltanto 300 miliardi arriveranno nella forma che è più necessaria, cioè come contributi e prestiti a basso interesse da parte dei paesi sviluppati.

Tutti gli altri soldi dovranno essere raccolti in maniere più incerte e parzialmente ancora da decidere, per esempio da finanziatori privati, aziende, tasse sull’aviazione e altro: tutti fondi che di fatto devono essere ancora stanziati e definiti.

È questa offerta di 300 miliardi a essere stata ritenuta inadeguata da buona parte dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico. Nel pomeriggio di sabato, mentre erano in corso riunioni piuttosto frenetiche, due gruppi di nazioni particolarmente vulnerabili (l’Alleanza dei piccoli stati insulari e i Paesi meno sviluppati) hanno abbandonato i negoziati per protesta, facendo temere che la COP29 si sarebbe conclusa senza un accordo: era successo soltanto una volta in precedenza, alla COP6 del 2000.

Una protesta di attivisti climatici alla COP29

Una protesta di attivisti climatici alla COP29 (AP Photo/Sergei Grits)

L’accordo è stato infine raggiunto, ma è stato complessivamente ritenuto insufficiente rispetto agli obiettivi della conferenza. Chandni Raina, la delegata dell’India, ha detto che «il documento conclusivo non è nient’altro che un’illusione ottica» e che il suo paese non può sostenerlo.

La COP29 di Baku si era aperta due settimane fa tra un certo pessimismo, principalmente per due ragioni: il paese ospitante, l’Azerbaijan, è uno dei principali produttori ed esportatori di petrolio e gas naturale al mondo (il 90 per cento delle esportazioni azere è composto da idrocarburi). In secondo luogo perché la Conferenza si è aperta pochi giorni dopo l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.

Trump ha promesso che gli Stati Uniti lasceranno l’accordo di Parigi, il più importante accordo sulla limitazione delle emissioni, e la sua amministrazione sarà con ogni probabilità meno attiva nelle attività di cooperazione internazionale di contrasto al cambiamento climatico. Anche per questo la delegazione americana, composta ancora da membri dell’amministrazione di Biden, è rimasta molto defilata a Baku.

L'ingresso del complesso dove si è tenuta la COP29 a Baku, Azerbaijan

L’ingresso del complesso dove si è tenuta la COP29 a Baku, Azerbaijan (AP Photo/Joshua A. Bickel)

Inoltre alla COP29 sono stati molto presenti, e molto attivi, gli interessi dei paesi esportatori di idrocarburi. L’Arabia Saudita, per esempio, ha tentato più volte di eliminare dal documento finale il passaggio che parla di «allontanarsi gradualmente dai combustibili fossili nei sistemi energetici», il cui inserimento era stato uno dei principali successi della COP28 dell’anno scorso. Il Guardian ha inoltre sostenuto che i delegati sauditi abbiano tentato a un certo punto di modificare di nascosto un importante documento negoziale.

Come già avvenuto alle Conferenze precedenti ci sono state anche polemiche su quali paesi dovrebbero fornire gli aiuti economici per i paesi più poveri. Per esempio la Cina, che oggi è il primo paese per emissioni di gas serra nell’atmosfera (in termini assoluti, ma non in termini di emissioni per persona), secondo le classificazioni dell’ONU viene considerata ancora un paese in via di sviluppo, e questo fa sì che i suoi contributi siano volontari, e non obbligatori come quelli dei paesi considerati sviluppati.

Mohamed Adow, direttore del centro studi Power Shift Africa, ha detto al Guardian: «Questo summit è stato un disastro per il mondo in via di sviluppo. È un fallimento per la popolazione e per il pianeta da parte dei paesi ricchi che sostengono di prendere sul serio il cambiamento climatico».