Il personale che dovrebbe gestire i centri per migranti in Albania se ne sta andando

Nel corso del fine settimana rientrerà in Italia gran parte dei dipendenti della cooperativa che gestisce i centri, che sono vuoti e costosi 

(EPA/MALTON DIBRA/ANSA)
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Nel corso del fine settimana è previsto il rientro in Italia di gran parte del personale che gestisce i discussi centri per richiedenti asilo realizzati dal governo di Giorgia Meloni in Albania: i centri sono vuoti, visto che diversi tribunali italiani non hanno convalidato i trattenimenti dei migranti al loro interno.

Il personale che dovrebbe rientrare in Italia entro domani è quello di Medihospes, la cooperativa a cui era stata affidata la gestione dei centri. Rientreranno tutte le persone che avrebbero dovuto a vario titolo occuparsi direttamente dei migranti, e all’interno dei centri resteranno solo sette membri della cooperativa: il direttore e alcuni dipendenti con ruoli amministrativi. La notizia è stata data inizialmente venerdì dal Manifesto.

All’interno dei centri resterà inoltre una parte del personale albanese, soprattutto addetti alle pulizie e all’assistenza medica, e un numero imprecisato di agenti di polizia italiani. Inizialmente ce n’erano 220, ma l’impossibilità di trattenere i migranti nei centri aveva già portato a una loro riduzione: una decina di giorni fa, dopo la decisione di un altro tribunale di non convalidare il trattenimento di otto migranti, 50 agenti erano tornati in Italia.

Al momento non è chiaro quanti agenti si trovino ancora nei centri: la co-presidente di Volt Europa Francesca Romana D’Antuono, che venerdì ha visitato uno dei due centri di Gjader, nell’entroterra, ha detto a Repubblica che al suo interno c’erano 12 agenti e che nei prossimi giorni verranno ulteriormente ridotti: ha aggiunto che il 75 per cento del personale dei centri se n’è già andato.

Il centro di prima accoglienza di Shengjin (ANSA/Armand Mero)

I centri per i migranti in Albania sono stati voluti dal governo di Giorgia Meloni, che ne aveva annunciato la costruzione circa un anno fa: le strutture principali sono tre e si trovano tra Shengjin, sul mare, e Gjader, nell’entroterra: sono un hotspot, cioè un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti, un centro di prima accoglienza per i migranti che richiedono asilo e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR), cioè una struttura in cui recludere temporaneamente i migranti a cui è stata respinta la richiesta d’asilo.

I centri dovrebbero servire per portare i migranti soccorsi nel Mediterraneo, in acque internazionali, dalle autorità italiane, e al loro interno è previsto che siano detenuti i migranti maschi, adulti e provenienti da quelli che l’Italia considera “paesi sicuri”. La gestione delle strutture, così come delle procedure per esaminare le richieste d’asilo, è interamente a carico dello Stato italiano, così come tutte le spese per la loro costruzione.

La costruzione è stata completata lo scorso ottobre, ma i centri non sono mai davvero entrati in funzione: da quando sono stati aperti il governo italiano ha provato a portarci alcuni gruppi di migranti soccorsi nel Mediterraneo, utilizzando la nave della Marina “Libra”. Ma diversi tribunali italiani, tra cui quello di Roma, Catania, Bologna e Palermo, non hanno convalidato i trattenimenti dei migranti, che hanno dovuto quindi essere riportati in Italia e rilasciati, sempre per mezzo della nave militare italiana, con tutti i relativi costi.

La nave Libra (EPA/MALTON DIBRA/ANSA)

I tribunali che non hanno convalidato i trattenimenti lo hanno fatto sulla base di una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea che restringe la possibilità di definire un paese “sicuro”, ritenendo che i paesi di provenienza dei migranti finiti in Albania non potessero essere considerati tali, perché in caso di rimpatrio i migranti si sarebbero trovati in condizioni di pericolo.

Il risultato è che quei centri, un simbolo delle politiche migratorie del governo Meloni, in cui avrebbero dovuto essere trasferiti e trattenuti centinaia di migranti alla volta, sono rimasti vuoti. Mantenerli operativi col personale al completo comporta spese significative, per cui il governo ha ricevuto ulteriori critiche: confermando il rientro di gran parte del personale di gestione, il ministero dell’Interno ha detto che i centri resteranno aperti, anche se con personale ridotto e variabile a seconda delle esigenze del momento.