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  • Giovedì 21 novembre 2024

Il Tren de Aragua esporta violenza in mezzo Sudamerica

Il gruppo criminale venezuelano è nato in una prigione di Tocorón, è cresciuto sfruttando la tratta di migranti e ha raggiunto anche paesi con poca criminalità organizzata, come il Cile

di Valerio Clari

La polizia del Venezuela mostra alcuni membri del gruppo dopo gli arresti (Sebastian Barros/LongVisual via ZUMA Press Wire)
La polizia del Venezuela mostra alcuni membri del gruppo dopo gli arresti (Sebastian Barros/LongVisual via ZUMA Press Wire)

Negli ultimi mesi il gruppo criminale venezuelano Tren de Aragua è diventato un problema per diversi paesi latinoamericani e per il governo federale degli Stati Uniti (è attivo in 16 stati, fra cui California, Florida e New York): ha creato strutture stabili in Perù, Bolivia, Ecuador e Colombia e ha esteso la sua attività anche in paesi in cui non c’era, come Argentina, Brasile e Cile. Il caso del Cile, una delle economie più forti della regione, è particolarmente rilevante, perché fino a pochi anni fa si registrava il tasso di criminalità più basso del continente. Oggi il Tren de Aragua è il gruppo criminale più potente del paese e i temi della sicurezza e della lotta alla criminalità sono diventati prioritari per tante persone, finendo al centro del dibattito politico.

Il Tren de Aragua non è solo una banda criminale molto potente: la sua capacità di espandersi attraverso affiliazioni la rende particolarmente pericolosa e il suo business principale è la tratta di esseri umani.

Il carcere di Tocorón, in Venezuela (REUTERS/Leonardo Fernandez Viloria )

Il Tren de Aragua fu fondato nel 2010 da Larry Amaury Álvarez Núñez, meglio conosciuto come Larry Changa (arrestato a luglio in Colombia), e Héctor Guerrero Flores, el Niño Guerrero, su cui c’è una taglia di 5 milioni di dollari decisa da Stati Uniti e Colombia. Il gruppo nacque all’interno del carcere della cittadina di Tocorón, nella regione venezuelana di Aragua, rimasto fino allo scorso anno il centro operativo dell’organizzazione.

Il Tren de Aragua è un’evoluzione del fenomeno dei cosiddetti pranes, che in Venezuela sono leader criminali che assumono un controllo assoluto delle carceri, sfruttando il sovraffollamento delle strutture e la corruzione del personale che dovrebbe gestirle. Fanno costruire all’interno piscine e discoteche e governano da lì le operazioni del gruppo all’esterno.

Pran è un acronimo di “Preso Rematado Asesino Nato”, traducibile più o meno come “carcerato e super assassino nato”. Ci sono vari pranes in Venezuela, ma quelli del Tren hanno progressivamente aumentato la loro area di influenza, diffondendosi prima nelle regioni circostanti e poi in altri paesi sudamericani. La profonda crisi economica del Venezuela ha costretto il gruppo a cercare nuovi mercati, ma ha fornito anche un nuovo business e nuova manodopera all’estero: dal 2015 otto milioni di venezuelani hanno lasciato il paese, il Tren si è inserito e spesso ha gestito questi flussi migratori, installandosi nei paesi di destinazione.

Aree di attività del Tren de Aragua (WMrapids, CC0, via Wikimedia Commons)

Valeska Troncoso è docente dell’Universidad de Santiago de Chile ed esperta di crimine organizzato transnazionale. Si è occupata a lungo del Tren de Aragua e dice che il gruppo ha alcune peculiarità: «Opera per affiliazioni, una sorta di franchising criminale: concede di far parte del gruppo e di usarne il “marchio” a bande di fatto indipendenti, in cambio di una quota di denaro che viene corrisposta all’organizzazione centrale».

Dice che quindi la struttura non è strettamente piramidale ma prevede una frammentazione in sottobande senza un controllo totale dei vertici su tutte le attività dei sottoposti: «Finché pagano la somma pattuita hanno una certa autonomia».

Dice sempre Troncoso che questa flessibilità, insieme alla «capacità di reagire razionalmente alle condizioni che trova, analizzare le opportunità e adattarsi al contesto» ha permesso al gruppo una rapida espansione. In Cile il Tren de Aragua ha avuto vita particolarmente facile ed è diventato molto potente perché non c’erano altri gruppi criminali di grandi dimensioni, perché la polizia si è dimostrata particolarmente impreparata a contrastarlo e perché l’immigrazione venezuelana è molto consistente.

Scritte sul muro contro il Tren de Aragua alla frontiera fra Venezuela e Colombia (EPA/Mario Caicedo)

La banda è entrata in Cile organizzando i viaggi dei migranti venezuelani attraverso il triplice confine a nord, con Bolivia e Perù. La zona del confine settentrionale è molto poco abitata: il centro maggiore è Arica, ma il resto è per lo più occupato da un deserto e un altopiano. Il viaggio per arrivarci, attraverso le Ande, è complesso, la frontiera è difficilmente controllabile dalle forze di polizia cilene e per questo “porosa”. Il gruppo organizza i trasferimenti: a volte i migranti credono di affidarsi a semplici agenzie di viaggio, scoprendo solo in seguito di essere finiti sotto il controllo del gruppo criminale.

In Cile ci sono oggi circa 800mila venezuelani, per lo più arrivati negli ultimi anni: nel 2019 in un celebre discorso a Cúcuta, alla frontiera fra Colombia e Venezuela, l’allora presidente cileno, il conservatore Sebastian Piñera, invitò i cittadini venezuelani ad abbandonare il regime di Nicolás Maduro e ad andare in Cile, in una mossa politica che intendeva indebolire il già traballante governo venezuelano. A partire dal 2021 proprio dai racconti dei migranti, o occupandosi di tragedie legate alla migrazioni, la polizia cilena iniziò a registrare la presenza del Tren de Aragua in Cile.

Olga Espinoza, che insegna nel dipartimento di Scienze politiche all’Universidad de Chile, dice che l’allarme scattò anche altrove: «Nelle carceri del paese si notò che qualcosa stava cambiando: prima i problemi di gestione erano minori, mentre in quegli anni gruppi di detenuti stranieri iniziarono ad attaccare i dipendenti dei penitenziari e altri detenuti. Si ribellavano con violenza all’autorità, una dinamica prima sconosciuta nelle carceri cilene». Gli affiliati del Tren de Aragua stavano importando nelle carceri cilene le dinamiche dei pran.

Nel giro di pochi mesi il gruppo divenne noto anche all’esterno per una serie di rapine, rapimenti e crimini molto violenti, che in Cile si erano visti raramente: persone bruciate vive, decapitazioni, cadaveri in valigie e altre situazioni truculente, che i media raccontarono molto, e che rimangono frequenti anche oggi.

Il gruppo non si limita a chiedere ed estorcere denaro ai migranti per portarli a destinazione, ma continua a controllarli, ricattarli e sfruttarli anche nei paesi di arrivo (il Cile, ma anche la Colombia o gli Stati Uniti). Donne e minori possono finire nel mercato dello sfruttamento sessuale, uomini e ragazzi vengono assoldati per azioni criminali e controllo del territorio, altri migranti sono soggetti a estorsioni prolungate e continue. Polizie di vari paesi hanno scoperto l’esistenza di agende fisiche o virtuali in cui i capi del gruppo tengono nota di tutte le persone a cui hanno fatto attraversare il confine e su cui continuano a esercitare un potere, spesso riducendole in uno stato assimilabile alla schiavitù.

Un soldato venezuelano dopo l’operazione nel carcere di Tocorón (AP Photo/Ariana Cubillos)

Ci sono poi le attività più classiche dei gruppi criminali: traffico di droga, rapimenti con richieste di riscatto, offerta di “protezione” per le attività commerciali in cambio di un “pizzo”, che viene chiamato vacuna, vaccino. Il gruppo attua un controllo armato del territorio puntando soprattutto sulla paura: per questo le sue azioni sono spesso clamorose e ben visibili, ricorrendo a volte anche alla tortura. In più paesi sudamericani si segnalano “imitatori” del Tren de Aragua, criminali comuni che lasciano volantini e firme del gruppo nei luoghi in cui compiono reati, per sfruttare la paura che incute.

A capo delle sottobande possono esserci anche criminali locali e non necessariamente uomini venezuelani (che restano però la maggioranza). Nei paesi in cui erano presenti gruppi criminali organizzati e potenti il Tren de Aragua ha stretto accordi o occupato aree meno controllate.

La risposta dei vari stati in cui opera il Tren de Aragua è stata spesso tardiva e incompleta: in Cile ora si è focalizzata soprattutto su misure straordinarie di repressione, sul modello di quelle applicate in Salvador da Nayib Bukele. Dice Troncoso: «Oggi si discute se costruire un supercarcere su un’isola o nel deserto, ma si parla meno dei metodi per smantellare davvero l’organizzazione, come seguire i flussi di denaro». Le sottobande devono infatti inviare denaro all’organizzazione centrale, e lo fanno spesso utilizzando canali legali come le agenzie di “money transfer”, nascondendosi fra le numerose rimesse che gli immigrati che lavorano legalmente mandano ai parenti in patria. Le autorità non hanno ancora trovato un modo efficiente per tracciare e fermare questi trasferimenti.

La necessità di nuove strutture carcerarie, di massima sicurezza, mette apparentemente d’accordo governo di sinistra e opposizione di destra.

Espinoza, che si è occupata molto di sistema carcerario, dice: «Quella del megacarcere è una soluzione che la politica presenta come molto semplice, ma che in realtà è molto complessa. Strutture di quel genere non solo sono molto care, ma implicano anche la decisione di rinunciare alla gran parte dei diritti dei detenuti». Prevedono per chi è rinchiuso l’annullamento di ogni tipo di contatto, di attività, di ipotesi di recupero. Finiscono col pregiudicare «la stessa umanità dei detenuti: chi esce, se mai esce, lo fa con enormi danni e ferite, con la possibilità di diventare un elemento ancora più nocivo per la comunità», dice Espinoza.

Per contrastare il Tren de Aragua sarebbe inoltre necessaria una maggiore collaborazione internazionale: i vari paesi sudamericani in cui opera stanno cominciando a farlo solo negli ultimi mesi, con anni di ritardo, grazie anche all’interessamento dell’amministrazione statunitense di Joe Biden, che ha inserito il Tren de Aragua nella lista delle organizzazioni criminali transnazionali.

La cattura di Larry Changa in Colombia è stato un primo grande risultato. L’altro fondatore, el Niño Guerrero, è invece fuggito dal carcere venezuelano di Tocorón quando il governo di Maduro fece un’operazione per riprenderne il controllo, a settembre del 2023. Il governo venezuelano non sembra intenzionato a collaborare con gli altri paesi: ad aprile il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha persino negato l’esistenza del gruppo, dicendo che si trattava di «un’invenzione mediatica internazionale».