Dallo psicologo meglio una poltrona o il lettino?

Distendersi e non parlare faccia a faccia può servire in certi casi, ma la scelta dipende dalle esigenze del paziente e dall’approccio terapeutico

Una scena del film in cui il protagonista e il suo analista, interpretati da Matt Damon e Robin Williams, parlando nello studio durante una seduta
Una scena del film del 1997 Genio ribelle (Miramax/Courtesy Everett Collection/Contrasto)
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Se la prima o al massimo la seconda cosa che viene in mente immaginando lo studio di uno psicologo o di una psicologa è un lettino, è perché il lettino ha avuto un ruolo centrale nel trattamento dei pazienti fin dall’origine della psicanalisi, che della psicologia è una delle teorie più conosciute. Le ricerche del suo fondatore, il neurologo austriaco Sigmund Freud, presero infatti spunto alla fine dell’Ottocento da terapie già esistenti come l’ipnosi, che richiedevano al paziente di rimanere per un periodo di tempo piuttosto lungo nella stessa posizione: possibilmente comoda, quindi, in modo da favorire un rilassamento fisico.

Una delle ipotesi alla base della psicanalisi è che distendersi su un lettino dando le spalle all’analista, anziché sedersi di fronte a lui o a lei, favorisca un’espressione più libera di pensieri ed emozioni, e una riduzione delle resistenze psichiche che impediscono ai contenuti inconsci di emergere. Ma la psicoterapia basata sui metodi della psicanalisi, cioè quella psicodinamica, è solo uno dei tanti orientamenti nella psicologia clinica. Ce ne sono altri molto diversi, come la terapia familiare o sistemica e la cognitivo-comportamentale, tra le più diffuse e studiate negli ultimi decenni, e ciascuna prevede differenti obiettivi e modalità di interazione tra psicoterapeuta e paziente.

Indipendentemente dall’orientamento terapeutico, esistono poi molte condizioni in cui l’utilità del lettino viene meno. Usarlo può anzi essere controproducente per pazienti con determinati disturbi, che per esempio hanno bisogno di un contatto visivo, o che si sentono meno al sicuro se si sdraiano. Sedersi su una poltrona e interagire faccia a faccia è da tempo una condizione preferita da psicoterapeuti e pazienti nella maggior parte dei casi, perché permette loro di entrare in confidenza e stabilire un rapporto più facilmente.

La presenza di una poltrona anziché di un lettino, o viceversa, rientra inoltre nelle scelte dello e della psicoterapeuta nell’organizzazione dello spazio architettonico dello studio: scelte che tengono conto di diversi fattori, inclusa la quantità di spazio disponibile (generalmente minore negli studi europei rispetto a quelli statunitensi). Di solito è comunque presente un divano, più versatile rispetto al lettino, anche nei casi di stanze di piccole dimensioni.

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Sebbene il lettino sia da sempre un oggetto abbastanza centrale nella psicanalisi, la ricerca empirica sulla relazione tra la posizione del paziente e lo svolgimento delle sedute è limitata, ed è praticamente inesistente quella sulla relazione con gli esiti della terapia. Diversi studi condotti dallo psicologo statunitense Eddie Harmon-Jones, perlopiù da una prospettiva neuroscientifica, mostrano che nelle situazioni in cui le persone sono arrabbiate la posizione supina del corpo è associata a una minore spinta ad agire aggressivamente rispetto ad altre posizioni, a giudicare dai tracciati dell’elettroencefalogramma. Può inoltre avere altri effetti sulle reazioni fisiologiche e cerebrali a determinati stimoli.

Più della letteratura scientifica sul tema, peraltro limitata, a influenzare la scelta tra il lettino e la poltrona nella pratica clinica sono spesso fattori specifici relativi al rapporto tra psicoterapeuta e paziente, diverso da caso a caso. Anche l’analista potrebbe in alcuni casi sentirsi più a suo agio utilizzando il lettino, in modo da non avere lo sguardo del paziente su di sé tutto il tempo. «Non sopporto che altre persone mi fissino per otto ore al giorno (o più)», scrisse lo stesso Freud, che comunque era abbastanza flessibile sull’argomento: con i suoi pazienti faceva anche lunghe passeggiate, per esempio.

Anche se nella maggior parte dei casi il lettino non è necessario, utilizzarlo ogni tanto potrebbe allentare lo stress in pazienti che durante le sedute sentissero il dovere di assecondare le dinamiche interpersonali che si sono create nel tempo nella relazione con il proprio o la propria psicoterapeuta. Per spiegare il concetto la giornalista scientifica dell’Atlantic Shayla Love ha citato l’esempio di persone che ultimamente sui social media fanno battute su quanto vorrebbero far ridere il loro psicoterapeuta, e ha scritto di aver sentito lei stessa questo tipo di pressione durante la terapia cognitivo-comportamentale che sta seguendo. Distendersi sul lettino e dare le spalle al proprio o alla propria psicoterapeuta, anche solo occasionalmente, potrebbe far venir meno la tentazione di cercare sul suo volto segni di approvazione o di dispiacere.

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Il lettino potrebbe essere una scelta vantaggiosa anche in molti casi che non richiedono un’interazione continua tra paziente e psicoterapeuta, ha scritto Love citando una recente crescita di interesse per l’approccio psicanalitico. Terapie tendenzialmente brevi, come quella cognitivo-comportamentale, mirano a modificare i comportamenti disfunzionali indagando a monte pensieri ed emozioni che li determinano. La psicanalisi è invece meno orientata agli obiettivi e più concentrata sull’autoesplorazione: un processo per cui è appunto utile e spesso necessario il rilassamento fisico indotto dal distendersi sul lettino.

Dopotutto, distendersi anziché rimanere seduti è una tecnica, non un obiettivo della terapia, ha detto all’Atlantic lo psichiatra e psicologo Ahron Friedberg. In alcuni casi potrebbe non essere gradita dal paziente né adatta sul piano terapeutico, in altri potrebbe stimolare più riflessione e intimità, e permettere di parlare in un modo diverso e a cui si è meno abituati nella quotidianità. Quale che sia la scelta tra il lettino e la poltrona, l’importante è che metta psicoterapeuta e paziente a loro agio, e che favorisca il lavoro di entrambi.