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  • Giovedì 21 novembre 2024

Anna Lucia Cecere è stata rinviata a giudizio per l’omicidio di Nada Cella, dopo 28 anni

Il caso del delitto avvenuto a Chiavari nel 1996 è stato riaperto nel 2021 grazie alle ricerche di una genetista

Nada Cella, uccisa a Chiavari nel 1996
Nada Cella, uccisa a Chiavari nel 1996 (Ansa)
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La Corte d’Appello di Genova ha accolto il ricorso della procura contro il “non luogo a procedere” deciso dal tribunale nei confronti dell’ex insegnante Anna Lucia Cecere, accusata dell’omicidio di Nada Cella, una donna di 24 anni uccisa a Chiavari il 6 maggio del 1996 nello studio del commercialista dove lavorava come segretaria. Il “non luogo a procedere” è la formula giuridica con cui si indica la decisione di non processare la persona indagata. Il processo inizierà il 6 febbraio e coinvolgerà anche altre due persone: il commercialista Marco Soracco e sua madre Marisa Bacchioni, accusati di favoreggiamento e falsa testimonianza. La tesi della procura è che la donna allora fosse innamorata del commercialista e gelosa di Cella: per questo quel giorno l’avrebbe affrontata e uccisa.

Durante la prima inchiesta Marco Soracco raccontò di aver trovato Nada Cella in fin di vita nel suo studio. Erano le 9:10 del 6 maggio 1996, un lunedì. Nella stanza c’era molto sangue e la donna si muoveva ancora. L’uomo corse al terzo piano e avvertì la madre. Furono chiamati i soccorsi. Marisa Bacchioni disse ai magistrati che all’inizio aveva pensato a un ictus. Nada Cella fu portata in ospedale in condizioni molto gravi, morì sei ore dopo l’aggressione. Gli agenti di polizia che arrivarono nello studio del commercialista non pensarono a un omicidio e l’ufficio della donna non fu trattato come una scena del crimine. Lo stesso giorno la madre di Soracco iniziò a pulire le scale e il ballatoio davanti all’ufficio.

All’ospedale di Lavagna i medici si accorsero che non c’era stato nessun malore e nessuna caduta: Cella era stata ripetutamente colpita alla testa. Solo quando la notizia dell’aggressione arrivò a Chiavari il palazzo venne isolato. La polizia iniziò a indagare sulla vita della donna. L’unica cosa di una certa rilevanza che emerse fu che aveva intenzione di cambiare lavoro.

Sulla scena del delitto venne ritrovato un bottone con un disegno a stella che oggi, con gli sviluppi delle indagini, ha assunto una nuova importanza. Una persona disse di aver telefonato tre volte quella mattina e che una volta non aveva risposto nessuno, mentre la seconda volta una voce femminile gli disse che aveva sbagliato numero. Alla terza telefonata aveva risposto Soracco dicendogli di richiamare perché la segretaria si era sentita male.

Le indagini si concentrarono proprio su Soracco: venne interrogato più volte, la sua casa perquisita. Fu trovata una piccozza che per alcune ore venne identificata come la possibile arma del delitto, ma l’ipotesi fu accantonata dopo le prime analisi. Soracco non cadde mai in contraddizione.

Il 27 maggio un suo conoscente andò spontaneamente in questura e raccontò: «Durante un incontro al bar, Soracco mi confidò: “Fra un po’ in ufficio ci sarà il botto. Ne sentirai parlare, se ne occuperanno anche i giornali. E Nada se ne andrà, ma poi la verità verrà a galla”». Tre mesi dopo l’inizio delle indagini, le analisi scientifiche non diedero nessuna conferma ai sospetti della procura.

– Ascolta Indagini: L’omicidio di Nada Cella e la visione a tunnel

Il nome di Anna Lucia Cecere emerse per la prima volta nell’autunno del 1996. All’epoca la donna aveva 28 anni. Qualcuno raccontò agli investigatori che era innamorata di Soracco e voleva prendere anche il posto occupato da Cella nello studio. Soracco e Cecere si erano conosciuti a una scuola di ballo e si erano poi rivisti in discoteca. Mesi dopo il delitto Cecere si trasferì in Piemonte a Demonte, vicino a Cuneo dove lavorò fino al 2017 quando fu licenziata per non meglio chiariti motivi disciplinari. Di lei non si era più sentito parlare fino al 2021, quando è stata aperta una nuova inchiesta.

A dare un importante impulso alla riapertura delle indagini è stata una genetista dell’università di Bari, Antonella Delfino Pesce, che proprio frequentando a Genova un master in criminologia aveva iniziato a studiare il caso, preso come esempio di cold case (cioè un vecchio caso irrisolto), raccogliendo una grande mole di documenti e testimonianze. Studiando oltre 13mila pagine e ripercorrendo tutta la catena di interrogatori, Delfino Pesce ha messo insieme una serie di indizi importanti.

La genetista ha scoperto che la mattina del 6 maggio 1996 due testimoni avevano visto una donna somigliante a Cecere uscire dal palazzo di via Marsala. E che a casa della donna furono trovati cinque bottoni di una giacca di jeans simili a quello ritrovato sulla scena del delitto. Erano custoditi in una scatoletta ed erano di una giacca appartenuta all’ex fidanzato della donna. All’epoca fu fatta una comparazione fotografica con il bottone trovato nell’ufficio dove fu uccisa Cella, ma l’analisi non venne ritenuta sufficiente e anche quella pista fu accantonata.

Nel 2021 grazie a nuove strumentazioni furono individuati due profili di DNA maschile e femminile su una sedia dell’ufficio e sugli indumenti di Nada Cella, ma non fu trovata una corrispondenza per quei due profili. La procura ha quindi portato avanti l’accusa nei confronti di Cecere più che altro attraverso indizi, che inizialmente non avevano convinto il tribunale a confermare il rinvio a giudizio, decisione poi ribaltata dalla Corte d’Appello.

«Nessuno ci ha condannato, affronteremo il processo e, a oggi, non è cambiato nulla rispetto al proscioglimento», ha detto mercoledì Giovanni Roffo, avvocato di Anna Lucia Cecere. Soracco ha sempre negato di aver protetto Anna Lucia Cecere. Sabrina Franzone, avvocata di Silvana Smaniotto, la madre di Nada Cella, ha detto che il processo sarà difficile, ma che non farlo sarebbe stato ingiusto perché secondo lei gli elementi indiziari ci sono e portano in un’unica direzione.