Le possibilità che Netanyahu venga arrestato sono molto scarse
Soprattutto perché la Corte penale internazionale, che ha emesso il mandato di arresto, non ha modo di far rispettare le sue sentenze
Con ogni probabilità, il mandato d’arresto che la Corte penale internazionale (ICC) ha emesso contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant non avrà effetti concreti.
I due sono stati accusati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza, e almeno in teoria rischierebbero di essere arrestati nel caso in cui dovessero entrare in un paese che accetta la giurisdizione della Corte. In realtà, benché le sue sentenze siano vincolanti, la Corte non ha davvero modo di metterle in pratica, e ciascun governo decide sulla base delle proprie convenienze politiche se applicarle o meno. Nel caso di Netanyahu, è probabile che molti paesi alleati di Israele si rifiuteranno di arrestarlo, anche se sulla base del diritto internazionale dovrebbero farlo.
La Corte penale internazionale è un organo indipendente istituito nel 2001 attraverso un trattato chiamato Statuto di Roma di cui fanno parte 124 paesi, compresa l’Italia. Israele non ha firmato lo Statuto e quindi non riconosce la giurisdizione della Corte. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.
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Finché Netanyahu rimarrà in Israele, che non riconosce la Corte, non avrà problemi. Lo stesso se andasse negli altri paesi che non la riconoscono, come gli Stati Uniti. Ma le cose si potrebbero complicare se dovesse visitare paesi che la riconoscono, come per esempio l’Italia. In quel caso in teoria il governo italiano sarebbe obbligato dal diritto internazionale ad arrestarlo ed estradarlo all’Aia, nei Paesi Bassi, dove ha sede la Corte. Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha sostenuto a Porta a porta che, nonostante ritenga sbagliata la sentenza, se Netanyahu e Gallant «venissero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale», secondo le anticipazioni della puntata di giovedì.
Ma appunto: spetta ai singoli stati decidere se eseguire o meno i mandati e le sentenze dell’ICC. Ed è facile immaginare che un paese che ha rapporti diplomatici ed economici amichevoli con Israele possa prendere la decisione politica di non arrestare il primo ministro israeliano. Proprio perché la Corte non ha modo di applicare le proprie sentenze, i paesi che non le rispettano non rischiano nessun tipo di conseguenza o ritorsione, anche se fanno parte dello Statuto di Roma.
Si è visto per esempio con il presidente autoritario russo Vladimir Putin, contro cui è attivo un mandato d’arresto della Corte dal 2023 per i crimini di guerra commessi in Ucraina. Dall’emissione del mandato, Putin ha visitato vari paesi che non riconoscono l’ICC, e che quindi per lui sono sicuri, come la Cina, la Bielorussia, l’Uzbekistan. Ma a settembre del 2023 ha visitato la Mongolia, che pur riconoscendo la Corte lo ha invitato per una visita di stato garantendo che non lo avrebbe arrestato. Altri governi hanno fatto promesse simili, per esempio quello slovacco guidato dal primo ministro Robert Fico.
È probabile che lo stesso succederà per Netanyahu e Gallant: i due continueranno ad andare in paesi che non riconoscono la Corte, ma potrebbero anche ottenere dei lasciapassare di convenienza dai paesi che la riconoscono, cosa che di fatto renderebbe futile il mandato d’arresto.
Anche se guardiamo ai precedenti di capi di stato contro cui l’ICC ha emesso mandati d’arresto, nessuno di loro è mai stato effettivamente arrestato. Omar al Bashir, l’ex dittatore del Sudan, nel 2009 fu accusato dall’ICC di gravi crimini per il suo ruolo nei massacri della regione sudanese del Darfur. Ma negli anni successivi Bashir viaggiò senza intoppi in decine di paesi, alcuni dei quali hanno sottoscritto lo Statuto di Roma. Bashir fu poi deposto da un colpo di stato nel 2019, e arrestato. Il nuovo governo sudanese promise che lo avrebbe consegnato all’ICC, ma finora non è successo: l’ex dittatore è ancora in carcere nel suo paese.