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  • Mercoledì 20 novembre 2024

Alla COP29 è pieno di lobbisti dei combustibili fossili

Sono più di 1.700 e da un certo punto di vista ha senso siano lì, ma secondo le organizzazioni ambientaliste l'ONU dovrebbe controllarli meglio

Una grande sala con decine di persone sedute ai tavoli attorno a uno spazio centrale
Una delle sale dei negoziati della COP29 di Baku, in Azerbaijan, il 15 novembre 2024 (UN Climate Change - Kiara Worth)
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Alla COP29 di Baku, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in corso in Azerbaijan, si sono registrate più di 1.700 persone legate in qualche modo ad aziende del settore dei combustibili fossili. Il conteggio è stato fatto da un raggruppamento di 450 organizzazioni di tutto il mondo, Kick Big Polluters Out (il nome è traducibile come “Cacciamo i grandi inquinatori”), che ha anche sottolineato che complessivamente sono più dei membri delle delegazioni ufficiali dei dieci paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, che tutti insieme sono 1.033.

Il contrasto del riscaldamento globale richiede la riduzione o l’interruzione dell’utilizzo di carbone, petrolio e gas: per questo la presenza numerosa di chi lavora nel settore è vista con preoccupazione dalle organizzazioni ambientaliste. L’industria dell’energia di cui le grandi aziende petrolifere fanno parte deve essere necessariamente coinvolta nella transizione verso un sistema economico che produca minori emissioni di gas serra. Tuttavia i gruppi ambientalisti temono che i lobbisti dei combustibili fossili influenzino i negoziati internazionali in modo da limitarne le ambizioni, oltre a sfruttare le conferenze sul clima per fare affari.

Per avere accesso alle conferenze sul clima dell’ONU è necessario registrarsi indicando il proprio legame con un paese o un’organizzazione. Le Nazioni Unite permettono a membri di ong e associazioni di vario genere, oltre che ai giornalisti, di entrare nelle strutture che le ospitano e di seguire gran parte degli eventi, anche se l’accesso alla maggior parte degli incontri delle delegazioni dei paesi è limitato (i media possono assistere solo alle riunioni plenarie, i membri delle organizzazioni riconosciute come “osservatori” anche a quelle appena più ristrette).

Secondo l’analisi di Kick Big Polluters Out gran parte dei lobbisti del settore dei combustibili fossili si è registrata alla COP di Baku affiliandosi a un’associazione di categoria, come l’International Emissions Trading Association (IETA), che rappresenta aziende di tutto il mondo interessate ai mercati di quote di emissioni di gas serra (i cosiddetti “crediti di carbonio”). Molte persone che lavorano per aziende petrolifere però fanno anche parte delle delegazioni dei singoli paesi, non tra i delegati veri e propri, quelli autorizzati a negoziare per esempio a nome dell’Italia, ma nel gruppo di persone che un governo sceglie di portare con sé a vario titolo (il nome tecnico è “party overflow”).

Kick Big Polluters Out ha potuto fare una stima del numero di lobbisti dei combustibili fossili abbastanza facilmente perché dalla COP28 del 2023 l’UNFCCC, l’agenzia dell’ONU che gestisce le conferenze sul clima, mette a disposizione sul proprio sito la lista completa delle persone registrate, indicando per ciascuna l’azienda o l’organizzazione di affiliazione. Anche in precedenza le organizzazioni ambientaliste stimavano il numero di lobbisti dei combustibili fossili presenti alle COP, ma farlo era più complicato.

Il numero massimo di persone legate alle aziende dei combustibili fossili presenti a una COP c’è stato alla conferenza del 2023 a Dubai, che è stata anche la più partecipata di sempre: secondo il calcolo di Kick Big Polluters Out erano più di 2.450 contro le circa 500 della COP26 di Glasgow, due anni prima.

Nella delegazione allargata dell’Italia sono indicate otto persone di Italgas, l’azienda di distribuzione del gas naturale di cui la statale Cassa Depositi e Prestiti (CDP) è la principale azionista, e una persona che lavora per Eni, la più grande azienda petrolifera italiana. Altre tre persone di Eni si sono registrate con la Camera di commercio internazionale (ICC), mentre Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’azienda, ha avuto accesso alla COP di Baku in quanto ospite del governo dell’Azerbaijan, il paese organizzatore. Anche Patrick Pouyanné e Murray Auchincloss, gli amministratori delegati di TotalEnergies e di BP, rispettivamente le grandi aziende petrolifere francese e britannica, sono stati invitati direttamente dall’Azerbaijan, che è un paese produttore di petrolio e gas.

Concretamente la presenza di persone legate alle aziende petrolifere e affini significa che queste possono assistere ad alcuni tavoli di discussione e incontrare e parlare con i delegati dei paesi, riferendo le proprie valutazioni sui negoziati in corso. Le attività di lobbying sono in gran parte proprio questo: scambio di informazioni. I delegati per primi possono essere interessati a chiederle, per capire le possibili conseguenze di provvedimenti e decisioni internazionali che hanno ripercussioni su un settore tecnicamente complesso e molto rilevante per le economie nazionali come quello energetico.

Ovviamente attraverso queste informazioni i lobbisti possono anche influenzare i delegati, fornendo delle valutazioni che risentono degli interessi della propria parte. Ma le aziende petrolifere non sono le uniche a portare avanti questo tipo di attività: anche altre aziende lo fanno, così come le organizzazioni ambientaliste, i think tank che si occupano di transizione energetica e i vari altri enti che partecipano alle COP. Ciò che alla fine determina l’orientamento dei governi sono le loro scelte politiche, ma resta il fatto che per i media e la società civile è difficile sapere con certezza come avvengono i processi di influenza. Per questo le organizzazioni di Kick Big Polluters Out chiedono alle Nazioni Unite di introdurre delle regole sul conflitto d’interessi.

Un gruppo di persone che reggono degli striscioni contro i lobbisti del settore dei combustibii fossili e un altro che muove una sorta di grossa marionetta a forma di serpente

La protesta di Kick Big Polluters Out a Baku, il 15 novembre 2024; i lobbisti del petrolio sono rappresentati come un serpente alla COP (Sean Gallup/Getty Images)

Alle COP rappresentanti delle aziende dei combustibili fossili possono essere coinvolti nei numerosi eventi organizzati in parallelo alle trattative, quelli che si svolgono nei padiglioni di paesi o organizzazioni partecipanti, in quella parte delle conferenze sul clima che somiglia a una fiera.

Ad esempio Pier Lorenzo Dell’Orco, amministratore delegato di Italgas Reti, era tra i relatori di un evento del Padiglione Italia dedicato alla riduzione delle emissioni di metano (un potente gas serra) che derivano da problemi di inefficienza delle tubature in cui passa il gas naturale e dei siti in cui viene estratto. Allo stesso evento ha parlato anche Francesco Corvaro, inviato speciale per il cambiamento climatico del governo italiano.

Il 12 novembre Italgas ha firmato un accordo con Socar, l’azienda petrolifera statale dell’Azerbaijan: tra le altre cose prevede l’utilizzo della tecnologia di Italgas per il rilevamento delle dispersioni di gas nelle infrastrutture azere. È un’iniziativa che può contribuire a ridurre le emissioni di metano in Azerbaijan, ma l’incontro tra le due aziende durante la COP29 è stato comunque malvisto dai gruppi ambientalisti per gli altri possibili aspetti dell’accordo che non sono stati pubblicizzati. Nel 2023 l’Azerbaijan è stato il secondo paese per forniture di gas naturale all’Italia dopo l’Algeria; esporta un quinto della sua produzione di gas in Italia.

Pouyanné ha difeso la presenza delle aziende dei combustibili fossili alla COP29 durante un’intervista con l’agenzia di stampa francese AFP: ha ammesso che le compagnie petrolifere «sono parte del problema», ma ha insistito sul fatto che abbiano «una mentalità di progresso continuo», sebbene secondo alcune opinioni non stiano «andando abbastanza veloce». Anche Darren Woods, amministratore delegato della grande azienda petrolifera statunitense ExxonMobil, si è espresso in un certo senso a favore delle COP: ha detto che Donald Trump non dovrebbe fare uscire gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi del 2015, come il presidente eletto ha promesso di rifare non appena sarà in carica, per continuare a partecipare ai negoziati internazionali.

– Leggi anche: Trump rallenterà le politiche globali contro il cambiamento climatico

Gli interessi del settore del petrolio comunque possono essere favoriti anche da singoli paesi produttori. Secondo un articolo del New York Times, a Baku la delegazione dell’Arabia Saudita sta facendo molta resistenza nei processi negoziali. Nelle trattative delle COP basta l’opposizione di un singolo paese per vanificare un negoziato: la delegazione saudita sta osteggiando in tutti i modi qualsiasi bozza di accordo che preveda una conferma di un impegno preso alla COP28 di Dubai, quello ad «allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili».

La COP negli Emirati Arabi era stata la prima in cui l’espressione «combustibili fossili» era stata inserita esplicitamente nell’accordo finale tra i paesi: nei precedenti 28 anni di conferenze sul clima l’opposizione saudita era sempre riuscita a evitarlo nonostante sia stranoto che sia proprio l’uso di carbone, petrolio e gas la causa principale del cambiamento climatico.