Le Regioni stanno scansando la legge sul fine vita
Anche in Lombardia la proposta di legge è stata affossata ancora prima dell'inizio della discussione, e continua a non esserci una legge nazionale
Martedì il Consiglio regionale della Lombardia doveva discutere e votare una proposta di legge regionale per regolamentare l’accesso alla morte assistita, la pratica con cui a determinate condizioni si può assumere un farmaco letale. La discussione non è nemmeno iniziata: la maggioranza di destra ha presentato una mozione per chiedere di non discutere la proposta di legge, sostenendo che la materia sia di competenza dello Stato e non delle Regioni. La mozione è stata approvata. Significa che la proposta di legge non verrà proprio esaminata dal Consiglio regionale. È la terza Regione in cui succede. Anche in Piemonte e in Friuli Venezia Giulia i partiti di destra e centrodestra, tradizionalmente contrari a regolamentare la morte assistita, avevano presentato e approvato una mozione per non discutere la proposta di legge.
Per capire quello che è successo in Lombardia, Piemonte e Friuli è necessario fare un passo indietro: da mesi le Regioni stanno cercando di dotarsi di una legge per regolamentare la morte assistita, perché nonostante la pratica sia legale in Italia, non esiste una legge che definisca tempi e procedure per la sua attuazione.
Tutto iniziò nel 2019, quando dopo anni di iniziative, appelli e infine di disobbedienze civili in cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita, una storica sentenza della Corte Costituzionale stabilì che chi aiuta qualcuno a morire non è sempre punibile. La sentenza di fatto legalizzò il suicidio assistito, ad alcune condizioni: la persona che lo chiede deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, avere una patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, ed essere tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale» (una definizione non del tutto chiara e su cui c’è dibattito).
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Nel 2019 la Corte costituzionale invitò il parlamento a regolamentare l’accesso alla morte assistita tenendo conto di questi quattro requisiti, ma il parlamento non lo ha mai fatto. Nel frattempo la mancanza di una legge ha creato grossi problemi a molte persone. In assenza di tempi e procedure certe, ogni azienda sanitaria si è gestita a modo suo: c’è chi è morto prima di riuscire ad accedere alla pratica, dopo sofferenze intense, chi ha dovuto intraprendere una lunga battaglia legale e chi alla fine ha scelto di andare all’estero.
Essendo la sanità in parte una competenza regionale, in alcune Regioni politici e attivisti hanno provato ad arrangiarsi e a dotarsi in maniera autonoma di una legge: in molti casi attraverso una proposta di legge regionale formulata dall’associazione Luca Coscioni, che si occupa di diritti civili da anni. Attraverso raccolte firme, iniziative dei comuni e di singoli consiglieri regionali, la proposta di legge è stata depositata o sta per essere depositata nella maggior parte delle regioni italiane. In Lombardia, per farlo, sono state raccolte 8.181 firme, oltre 3.000 in più rispetto alle 5mila necessarie.
La questione della competenza statale o regionale è stata dibattuta fin da subito. Nel 2023, mentre le regioni raccoglievano le firme, l’Avvocatura dello Stato (l’organo che rappresenta e difende lo Stato e le pubbliche amministrazioni italiane) ha pubblicato un parere (non vincolante) i cui ha parlato di possibili «rilievi di non conformità al quadro costituzionale» sulla proposta di legge regionale: sosteneva che per il tipo di ambiti, competenze e strumenti che comporta, la morte assistita debba essere regolamentata dal parlamento nazionale e non dalle singole regioni.
Nel frattempo, però, in tutti i casi in cui la proposta di legge è stata depositata gli uffici tecnici delle regioni l’hanno dichiarata ammissibile: hanno cioè valutato che la proposta non andasse oltre le competenze regionali e fosse in linea con le singole normative regionali. La morte assistita, inoltre, è una pratica legata alla sanità, ambito su cui le regioni hanno sempre avuto un ampio margine di discrezione e autonomia, e su cui è previsto dalla Costituzione che ci sia “concorrenza” tra Stato e Regioni, cioè che possano occuparsene entrambe.
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Finora in nessuna Regione è stata ancora approvata questa legge: il Veneto è stata la prima a votare la proposta, che non è passata. Due Regioni, Emilia-Romagna e Puglia, hanno regolamentato la pratica con una delibera anziché con una legge, evitando la discussione in Consiglio regionale ma scegliendo uno strumento diverso (una delibera è un atto della giunta o del presidente). In Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, come detto, le maggioranze hanno bloccato la discussione e il voto approvando la mozione sull’incostituzionalità della proposta.
Secondo i comitati promotori della proposta di legge e chi ne sostiene l’approvazione, l’argomento della competenza regionale o statale è diventato uno strumento per aggirare la proposta di legge e per affossarla senza assumersi la responsabilità politica di farlo. Lisa Noja, consigliera regionale lombarda di Azione – Italia Viva, avvocata e attivista, ritiene inoltre che rimandare la questione al parlamento nazionale permetta ai partiti di non affrontare le proprie divisioni interne su questo tema.
Nei mesi scorsi, in Lombardia, i partiti si erano proprio rifiutati di entrare nel merito della proposta di legge. Nel corso delle audizioni l’opposizione aveva presentato una serie di emendamenti alla proposta di legge, per migliorarne alcuni aspetti: «La maggioranza non ha presentato nemmeno un emendamento, e al tempo stesso, in sede di voto, si è astenuta dagli emendamenti proposti dall’opposizione», dice Giulia Crivellini, parte del gruppo legale del comitato promotore della proposta di legge.
I membri del comitato promotore definiscono le azioni della maggioranza una forma di «ostracismo» alla regolamentazione della morte assistita: la proposta di legge è arrivata alla seduta del voto esattamente nella stessa forma in cui era stata depositata, nonostante il passaggio in due diverse commissioni, Sanità e Affari istituzionali, per poi non essere nemmeno discussa.
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Formalmente la mozione presentata e approvata in Lombardia si chiama “pregiudiziale di costituzionalità”, e sostiene che la proposta di legge non vada discussa sulla base di una serie di argomenti. Il primo riguarda l’ammissibilità della legge: secondo gli autori della mozione, la proposta di legge è stata dichiarata ammissibile (e quindi depositata) semplicemente perché la procedura con cui è avvenuto il deposito si è svolta regolarmente, con la raccolta del corretto numero di firme e su materie che non sono espressamente escluse dalla competenza della Regione Lombardia secondo il suo statuto: questo non significa però, dice la mozione, che le Regioni siano effettivamente autorizzate a regolamentare autonomamente il ricorso a morte assistita.
La mozione sostiene inoltre che anche se la sanità è un ambito su cui le Regioni godono di molta discrezionalità, nel caso della morte assistita ci voglia una legge nazionale per evitare disomogeneità territoriali su un tema così delicato.
La questione della competenza sulla morte assistita è complessa e tecnica. Il problema di chi fra Stato e Regioni debba occuparsi di alcune specifiche materie riguarda le diverse materie che la Costituzione definisce “concorrenti”, in una situazione che non è mai stata del tutto definita e ha creato negli anni parecchi contenziosi, su cui di volta in volta è stato necessario l’intervento della magistratura o della Corte costituzionale.
Alcune indicazioni su come gestire le richieste di morte assistita sono state nel frattempo incluse nei regolamenti dei comitati etici regionali, o gestite in maniera informale alle singole aziende sanitarie locali: «L’aspetto paradossale di questa situazione è che ci si oppone alle leggi regionali dicendo che creerebbero troppe disomogeneità territoriali, e però, in assenza di una legge nazionale, ogni azienda sanitaria fa per sé creando disomogeneità territoriali ancora più estese», dice la consigliera Lisa Noja.
In assenza di una legge c’è il rischio che il paziente debba farsi carico di reperire il farmaco letale e il macchinario per somministrarlo, a seconda dell’azienda sanitaria in cui si trova: era stato il caso di Federico Carboni, la prima persona a ricorrere legalmente al suicidio assistito in Italia: oltre al macchinario e al farmaco, aveva dovuto trovare anche il medico che glielo prescrivesse. Nel suo caso farmaco e macchinario erano stati acquistati con una raccolta fondi organizzata dall’associazione Luca Coscioni, e per la prescrizione si era reso disponibile gratuitamente Mario Riccio, il medico anestesista che nel 2006 aiutò Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, a morire interrompendo il trattamento sanitario che lo teneva in vita.
Da gennaio del 2023 a oggi, in Lombardia, sono state presentate dieci richieste di morte assistita. Nessuna di queste si è conclusa con l’effettivo ricorso alla pratica: o perché è stato ritenuto che non ci fossero i requisiti, o perché le persone hanno scelto infine di fare ricorso a percorsi diversi, come le cure palliative, o perché sono morte prima della conclusione del procedimento. In un caso la persona che aveva fatto richiesta ha ricevuto l’autorizzazione ed è in attesa di procedere; in un altro, a causa dei tempi troppo lunghi, la persona ha deciso di andare a morire all’estero, in Svizzera.