I nove animatori che cambiarono la storia della Disney

A partire dagli anni Cinquanta i “Nine Old Men” definirono lo stile estetico e narrativo di cartoni memorabili

di Giuseppe Luca Scaffidi

Da sinistra verso destra, in piedi: Milt Kahl, Marc Davis, Frank Thomas, Eric Larson e Ollie Johnston; sempre da sinistra verso destra, seduti: Wolfgang Reitherman, Les Clark, Ward Kimball e John Lounsbery (Wikimedia Commons)
Da sinistra verso destra, in piedi: Milt Kahl, Marc Davis, Frank Thomas, Eric Larson e Ollie Johnston; sempre da sinistra verso destra, seduti: Wolfgang Reitherman, Les Clark, Ward Kimball e John Lounsbery (Wikimedia Commons)
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I titoli di coda della maggior parte dei lungometraggi pubblicati dallo studio dei fratelli Roy e Walt Disney nella prima fase dei cosiddetti “classici Disney”, tra gli anni Trenta e Sessanta, hanno in comune una cosa: 9 nomi. Quelli di Les Clark, Marc Davis, Wolfgang Reitherman, John Lounsbery, Frank Thomas, Ollie Johnston, Eric Larson, Ward Kimball e Milton Kahl. Tra gli appassionati sono conosciuti come Nine Old Men, dal nome che lo stesso Walt Disney attribuì a questo gruppo di animatori prendendo in prestito una formula che, negli Stati Uniti, viene talvolta usata per indicare i 9 giudici della Corte Suprema.

I Nine Old Men vengono spesso descritti come dei “pionieri” del settore. Questo perché, quando cominciarono a prendere in mano chine e matite, l’animazione era ancora una forma d’arte poco sviluppata, utilizzata per realizzare brevi spot pubblicitari o illustrazioni umoristiche in movimento di breve durata, e quando si ritirarono era ormai diventata un’industria milionaria. Durante la loro carriera furono protagonisti di tutte le fasi che resero possibile questo processo, dallo sdoganamento delle prime innovazioni del settore (come il rodovetro e il rotoscopio) allo sviluppo di soluzioni tecniche e narrative originali e in parte utilizzate ancora oggi.

Insieme vissero una sorta di epoca d’oro dell’animazione, rendendo questo mezzo espressivo funzionale al racconto di storie più lunghe e complesse e contribuendo a definire lo stile estetico e narrativo dei classici Disney.

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I Nine Old Men furono assunti da Disney negli anni Trenta, e parteciparono con ruoli e funzioni diverse alla realizzazione di Biancaneve e i sette nani (1937), il primo dei “classici” della società, riconosciuto dalla critica come un capolavoro che stabilì il canone dei film animati degli anni successivi.

Nel suo libro Vita di Walt Disney, lo storico dell’animazione Michael Barrier racconta che i Nine Old Men diventarono un gruppo informale e con una certa influenza all’interno dello studio soltanto nei primi anni Cinquanta, quando Walt Disney cominciò gradualmente a disinteressarsi dell’animazione per concentrarsi su altre attività, come i film in live action (ossia con attori veri) e la costruzione di Disneyland, il primo parco divertimenti della compagnia.

A quel punto, nominò un gruppo di persone fidate a cui delegare la gestione dei lungometraggi animati, affidandogli due compiti principali: supervisionare il lavoro degli altri animatori e sviluppare delle metodologie che potessero consentire all’azienda di velocizzare le consegne, risparmiando così tempo e denaro.

Wolfgang Reitherman (Wikimedia Commons)

Come ricorda Barrier nel suo libro, i Nine Old Men non erano gli animatori più bravi che Disney aveva a disposizione: in quegli anni passarono dallo studio artisti di enorme talento e inventiva come Norman Ferguson e Art Babbitt, autori di segmenti considerati tuttora dei capolavori e celebrati ancora oggi: per rendere l’idea, il primo è l’ideatore della famosa (e psichedelica) scena degli elefanti rosa di Dumbo, il secondo quello della danza dei funghi di Fantasia.

Come spiega ancora Barrier, Thomas, Johnston, Larson, Reitherman e gli altri Old Men acquisirono quel ruolo di comando non soltanto per meriti strettamente artistici, ma per la loro mentalità aziendalista. Non erano soltanto gli uomini che Disney considerava più adatti per svolgere funzioni manageriali, ma anche quelli che conoscevano meglio la cultura aziendale dello studio. Erano insomma persone ritenute molto affidabili: gente che, all’occorrenza, avrebbe saputo come agire per scongiurare scioperi, placare eventuali agitazioni sindacali (verso cui Disney mostrò sempre una certa insofferenza) e informare il consiglio d’amministrazione sul rendimento produttivo degli animatori, in particolare di quelli più giovani.

A questo proposito, Barrier ha scritto che dagli anni Sessanta, quando Disney rinunciò alla direzione creativa dei lungometraggi, il gruppo lavorò «in piena autonomia senza la rete di protezione tenuta salda dal padre spirituale, con scarsi finanziamenti e poco personale a disposizione».

Al di là del loro attaccamento all’azienda e della loro tendenza a non avere troppe pretese sugli straordinari, i Nine Old Men avevano anche delle caratteristiche professionali uniche che li rendevano le persone più adatte per guidare l’attività dello studio.

Clark per esempio aveva partecipato insieme a Ub Iwerks alla creazione e al character design di Topolino, e tra le altre cose disegnò una scena di Steamboat Willie, il corto più famoso dedicato al personaggio. Era noto per la sua grande abilità nell’animazione delle scene di ballo, ed era considerato una sorta di memoria storica della Disney: esibiva un rispetto quasi filologico per il lavoro di Iwerks, e quando quest’ultimo lasciò lo studio agli inizi degli anni Trenta diventò l’animatore ufficiale delle serie dedicate a Topolino. Davis invece veniva chiamato dai colleghi «l’uomo delle donne», dato che era la persona a cui veniva affidato lo sviluppo della maggior parte dei personaggi femminili. Con le sue intuizioni, creò alcune delle antagoniste più eccentriche e ricordate della Disney, come Malefica e Crudelia De Mon.

Anche per via del suo stile poco ortodosso, Kimball era invece l’animatore ideale su cui fare affidamento per realizzare personaggi immaginifici, altisonanti e dai contorni morali poco definiti, e quindi in grado di distaccarsi dal rigido manicheismo disneyano, come il Cappellaio matto e lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie e Lucifero, il gatto di Cenerentola. Lucas O. Seastrom, uno dei blogger del sito waltdisney.org, ha scritto che «mentre personaggi classici come Cenerentola o Peter Pan avevano linee morbide e raffinate, i personaggi di Ward esplodevano sullo schermo in un modo spesso illogico, bizzarro e audace».

Per creare da zero un cattivo, e magari fargli pronunciare qualche battuta formidabile, poche persone erano più adatte di Kahl, autore tra gli altri di Edgar degli Aristogatti, dello sceriffo di Nottingham di Robin Hood e di Maga Magò, la principale antagonista della Spada nella roccia. Lounsbery aveva invece un grande intuito per l’ideazione di comprimari originali e un po’ disfunzionali, come il gatto e la volpe di Pinocchio.

Ollie Johnston nel 1989 (Wikimedia Commons)

C’era anche chi, col tempo, assunse ruoli che avevano poco a che fare con l’animazione in senso stretto, e più affini alle risorse umane. Per esempio, Larson era un bravo formatore, e tra gli anni Sessanta e Settanta diventò una sorta di talent scout: si occupava della selezione dei nuovi animatori, e poi di fargli acquisire in tempi molto brevi le complesse metodologie di lavoro richieste dallo studio. Tra i suoi allievi più famosi ci furono Brad Bird, Glen Keane, Don Bluth, Ron Clements e Tim Burton, che oggi è conosciuto soprattutto come regista ma che iniziò la sua carriera proprio alla Disney.

A partire dagli anni Sessanta, Reitherman diventò invece una sorta di plenipotenziario dei Nine Old Men, quello che, in un certo senso, controllava i controllori: fu il più prolifico dei registi dello studio, curando la direzione di film come La carica dei cento e uno, La spada nella roccia, Il libro della giungla e Gli Aristogatti. Prima di allora aveva realizzato sequenze di grande impatto e dinamicità, come lo scontro tra dinosauri in Fantasia e il combattimento tra il principe Filippo e il drago nella Bella addormentata nel bosco.

Frank Thomas nel 2003 (Frazer Harrison/Getty Images)

Thomas è l’autore della memorabile scena degli spaghetti di Lilli e il vagabondo, e insieme a Johnston (il disegnatore di Pinocchio) è ricordato anche per il suo ruolo accademico: insieme scrissero infatti uno dei saggi d’animazione più importanti di sempre, The Illusion of Life (1981). Fu un testo avveniristico, che formò generazioni di animatori e diede accesso a molti segreti del mestiere. È ricordato soprattutto perché, nelle sue pagine, Thomas e Johnston codificarono dodici principi dell’animazione che diventarono una fonte di sapere indispensabile per qualsiasi animatore.

Tra questi il più importante era il cosiddetto squash and stretch (schiaccia e allunga), che consisteva nel dare risalto a tutti i cambiamenti di forma che venivano impressi a un oggetto. L’esempio classico è quello di una palla da tennis: nella vita reale, la deformazione che subisce al momento del rimbalzo è quasi invisibile. Nell’animazione, però, questo passaggio deve essere reso visibile allo spettatore, che altrimenti non avrebbe modo di cogliere la dinamicità della sequenza: per risultare credibile, quindi, la palla deve allargarsi a terra come se si schiacciasse, per poi rilanciarsi verso l’alto con una forma oblunga, simile a quella di un proiettile.

Altri concetti che Thomas e Johnston spiegarono nel loro libro furono quelli di anticipation (anticipazione), ossia il principio per cui tutti i gesti compiuti dai personaggi dovrebbero essere preceduti da una fase di “presentazione” (per esempio, darsi un bacio soltanto dopo un avvicinamento reciproco) e della secondary action (azione secondaria), ossia un preciso movimento del corpo che il personaggio compie per enfatizzare una determinata emozione. Per esempio, per fare esprimere paura o sconforto a uno scoiattolo, lo si lascia compiere un’azione principale (far cadere la nocciolina che ha tra le mani) e una secondaria (fargli drizzare la coda) per rendere il messaggio ancora più esplicito.

Da The Illusion of Life di Frank Thomas e Ollie Johnston, 1981

I Nine Old Men cominciarono ad abbandonare la Disney agli inizi degli anni Settanta: l’ultimo a ritirarsi fu Larson, che nel 1986 lavorò come consulente per l’animazione in Basil l’investigatopo. Tuttavia, dopo aver lavorato con altri studi di animazione e in progetti indipendenti, Thomas e Johnston tornarono a collaborare con l’azienda in alcune produzioni, come Le avventure dei Chipmunk (1987) e Piccolo Nemo – Avventure nel mondo dei sogni (1989).

Oggi hanno acquisito uno status leggendario nel mondo dell’animazione: tra le altre cose, nel 1989 furono inseriti nella Hall of fame della Disney, e furono tutti premiati con un Winsor McCay Award, un premio alla carriera che viene assegnato agli animatori ritenuti fondamentali per lo sviluppo del settore. Nessuno dei Nine Old Men è ancora in vita: l’ultimo a morire fu, nel 2008, Johnston.

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