La decisione tormentata di Biden sull’uso dei missili ATACMS contro la Russia
Era successa la stessa cosa con i veicoli Bradley, gli F-16 e i carri armati Abrams: è dall'inizio della guerra che gli Stati Uniti dicono di no all'Ucraina, poi cambiano idea
Martedì secondo fonti americane, ucraine e russe c’è stato il primo attacco con missili americani ATACMS in Russia nella regione di Bryansk, al confine con l’Ucraina, contro un deposito di munizioni per l’artiglieria che erano destinate anche ai soldati nordcoreani entrati in guerra al fianco dei russi.
Due giorni prima il governo statunitense di Joe Biden aveva cambiato idea sull’uso dei missili americani ATACMS e aveva autorizzato i soldati ucraini a lanciarli contro bersagli in territorio russo. È una storia che abbiamo già visto altre volte in questa guerra: quando l’esercito e il governo dell’Ucraina chiedono un’arma specifica per resistere all’invasione della Russia, gli Stati Uniti prima rispondono no, poi difendono il loro no per qualche tempo – e in questo intermezzo succedono cose sul campo, perché c’è una guerra in corso – e infine cambiano idea. Quello che prima non era possibile diventa di colpo possibile.
Un chiarimento: spesso i media definiscono gli ATACMS «missili a lungo raggio», ma in realtà come tutti i missili balistici che hanno un raggio d’azione inferiore ai 1.000 chilometri sono a corto raggio (arrivano al massimo a 300 chilometri). L’equivoco è causato dal fatto che l’ultima versione degli ATACMS è quella che ha un raggio d’azione maggiore e quindi è diventata la versione «a lungo raggio» di un’arma a corto raggio: è un errore incoraggiato anche dal fatto che suona meglio nei titoli delle notizie. Il missile balistico Iskander, usato spesso dai russi per bombardare le città ucraine, può volare per 400 chilometri ed è classificato come missile a corto raggio.
Il tira e molla americano era successo con i veicoli da trasporto truppe corazzati Bradley (dodici mesi tra la richiesta ucraina e il loro arrivo in zona di guerra), con gli aerei da combattimento F-16 (diciassette mesi tra la richiesta e la prima consegna da parte della Danimarca con l’autorizzazione dell’amministrazione Biden, poi ci è voluto altro tempo per addestrare i piloti) e con i carri armati Abrams (diciotto mesi, dopo che altri paesi alleati avevano cominciato a mandare carri armati di loro iniziativa).
Gli Stati Uniti non sono obbligati a fornire aiuti militari all’Ucraina, e hanno dato comunque un grande contributo. Ma se decidono di impegnarsi in modo massiccio, dicono i critici, allora dovrebbero farlo in modo tempestivo e non secondo questa scansione dei tempi riluttante, perché diluire negli anni gli arrivi di armi non fa che danneggiare i soldati ucraini e incoraggiare il presidente russo Vladimir Putin.
L’ex generale americano David Petraeus, che fu direttore della CIA durante l’amministrazione Obama e ora commenta le notizie militari in televisione, è uno di questi critici e riassume così la questione: «If it shoots, send it». Se spara, mandalo agli ucraini.
La storia degli ATACMS e dei ripensamenti americani è più tormentata del solito. Nel 2022, dopo due mesi di invasione, gli ucraini chiesero agli Stati Uniti gli HIMARS, che sono lanciarazzi mobili, e fu un successo militare. Gli HIMARS lanciano razzi a ottanta chilometri, hanno un margine di errore di nove metri e quando puntano un edificio lo centrano. All’inizio dell’estate del 2022 i soldati ucraini fecero saltare in aria depositi di munizioni, depositi di carburante, hangar di elicotteri e caserme nell’Ucraina occupata nel giro di poche settimane senza che la Russia potesse farci nulla.
In Ucraina è ancora possibile, nelle zone che un tempo sono state occupate dai soldati russi, riconoscere gli edifici colpiti dagli HIMARS ucraini: l’esplosione li ha devastati al centro con esattezza e ha lasciato in piedi le ali.
Visti i risultati, a settembre di quell’anno gli ucraini inserirono i missili ATACMS in una lista di armi che chiesero ai paesi alleati. Gli ATACMS sono lanciati dallo stesso veicolo HIMARS e hanno la stessa precisione inesorabile ma sono più potenti e vanno più lontano.
L’amministrazione Biden rispose no per una serie di ragioni, come la preoccupazione che potessero cadere nelle mani dei russi. C’era anche la tentazione di gestire da remoto la guerra con un’accorta modulazione dei rifornimenti, come se fosse possibile rallentare o accelerare il corso del conflitto e come se fosse possibile usare l’invio oppure no di ogni arma per mandare segnali alla Russia.
Biden temeva soprattutto che i missili sarebbero stati usati dagli ucraini in territorio russo. Voleva evitare che Putin sfruttasse gli ATACMS americani come un pretesto per alzare di livello l’intensità del conflitto, fino ad arrivare nello scenario peggiore e meno probabile all’uso di testate atomiche.
A metà ottobre del 2023 gli ucraini lanciarono per la prima volta i missili ATACMS contro alcune basi russe in Crimea, dopo averli ricevuti in segreto nelle settimane precedenti. Si trattava di una versione che riesce a colpire a 160 chilometri di distanza, quindi non la versione più nuova e capace di raggiungere bersagli fino a trecento chilometri di distanza (qui c’è bisogno di un secondo chiarimento: i missili ATACMS sono apprezzati per la loro precisione ma i russi riescono ad abbatterne molti in volo, non sono armi magiche. Martedì hanno detto di averne abbattuti cinque su sei: non ci sono conferme).
Forse l’amministrazione Biden aveva voluto rassicurare gli ucraini dopo il fallimento della controffensiva estiva contro i russi sul fronte meridionale, che per mesi era stata discussa – in anticipo – sui giornali di tutto il mondo e aveva ottenuto soltanto perdite pesanti.
Poi nell’aprile del 2024 gli ucraini hanno cominciato a usare anche gli ATACMS nuovi, quelli più a lungo raggio, di nuovo contro le basi russe in Crimea. Gli ucraini avevano da poco subìto una spettacolare sconfitta nel sud del Donbass, avevano perso centinaia di soldati, catturati o uccisi, e si erano ritirati dalla piccola città di Avdiivka. Anche in questo caso è possibile che i missili a lungo raggio americani servissero, assieme ad altre cose, a destabilizzare i soldati russi divenuti troppo baldanzosi e a rassicurare gli ucraini in crisi. Erano passati diciotto mesi da quando gli Stati Uniti avevano risposto per la prima volta no.
Restava il divieto di usare gli ATACMS contro bersagli in territorio russo. Gli ucraini hanno chiesto la fine del divieto ad agosto, quando hanno invaso la regione russa di Kursk. A settembre l’amministrazione Biden ha risposto no, perché temeva che i russi avrebbero reagito all’uso di missili americani. Il presidente Putin ha detto in televisione in quei giorni che l’uso dei missili sarebbe stato il segnale ufficiale che la Nato era entrata in guerra contro la Russia.
Nel frattempo l’esercito e l’aeronautica russi hanno spostato la maggior parte dei possibili bersagli più importanti fuori dal raggio di azione dei missili, quindi a più di trecento chilometri dalla linea del fronte di Kursk.
Breve digressione. Il territorio ucraino occupato dai soldati russi è a tutti gli effetti Russia secondo la propaganda russa, per effetto dei cosiddetti referendum per l’annessione del settembre 2022 e del marzo 2014, ma cessa di essere Russia quando si parla di attacchi al territorio russo vero. La differenza diventa di colpo chiara. Colpire la Crimea va bene, colpire Kursk no.
Ora il divieto di Biden è caduto, perché cinquantamila soldati russi e nordcoreani preparano un’offensiva per far sloggiare i militari ucraini dalla regione di Kursk e cacciarli di nuovo in territorio ucraino. Gli ATACMS faranno parte del piano ucraino per continuare a conservare un pezzo di Russia, da usare forse un giorno come oggetto di scambio nei negoziati.
Il New York Times in un articolo di settembre spiegava che quando l’intelligence statunitense tenta di prevedere come reagirà Putin ai missili ATACMS non pensa a una rappresaglia nucleare, ma a una campagna di sabotaggi e attentati in Europa e in territorio americano. Inoltre l’intelligence ritiene che i missili ATACMS siano troppo pochi per fare davvero la differenza sul campo di battaglia.
Questa estate ci sono stati due casi di ordigni incendiari lasciati su aerei che trasportano carichi commerciali dall’Europa agli Stati Uniti e secondo l’intelligence americana assomigliavano a prove generali fatte dai servizi segreti russi per testare la fattibilità di queste operazioni. Ma la notizia è uscita poco prima del 5 novembre ed è passata in sordina perché l’attenzione era tutta dedicata alle elezioni poi vinte da Donald Trump.