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  • Lunedì 18 novembre 2024

Quando un giornalista italiano portò i pinguini in Alaska

Nel 1958 Antonello Marescalchi partecipò a una specie di esperimento, ma non andò a finire bene

Alcuni pinguini fotografati alle isole Falkland/Malvinas nel febbraio del 2007 (Peter Macdiarmid/ Getty Images)
Alcuni pinguini fotografati alle isole Falkland/Malvinas nel febbraio del 2007 (Peter Macdiarmid/ Getty Images)
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È noto che i pinguini vivono in Antartide e in altre zone nell’emisfero australe, e comunque non più a nord delle isole Galápagos, al largo dell’Ecuador, dove si trova l’unica specie in prossimità dell’Equatore. Non vivono invece nelle zone del Circolo polare artico e quindi nemmeno in Alaska, nel nord-ovest degli Stati Uniti, dove a fine anni Cinquanta ne furono portati due esemplari per una specie di esperimento: lo storico del posto David Reamer ha raccontato sull’Anchorage Daily News che fu un’idea del giornalista italiano Antonello Marescalchi, a lungo corrispondente della Rai a New York. Per i pinguini non finì affatto bene.

Reamer dice che l’idea di portare i pinguini in Alaska era nata dalla domanda di un ragazzino che nel 1958 aveva chiesto a un programma radio della Rai come mai non ci fossero pinguini al Polo Nord. È una versione simile a quella che si legge in una lettera pubblicata il 15 dicembre dello stesso anno su Time, in cui un funzionario della KLM spiegava che la compagnia aerea olandese aveva portato «due pinguini nell’Artico» proprio per scoprire se potessero viverci.

Anche se la lettera non cita Marescalchi, entrambi i resoconti dicono che i due animali furono prelevati dall’Antartide e poi trasportati da Amsterdam ad Anchorage, la città più popolosa dell’Alaska, con un volo KLM.

Al tempo Marescalchi raccontò che i pinguini non avevano potuto viaggiare nello scompartimento dei bagagli «perché sarebbero morti di freddo», ma nemmeno assieme ai passeggeri, altrimenti sarebbero morti loro, a causa del forte odore degli animali. Così li rinchiusero in uno dei quattro bagni dell’aereo, scrisse l’Anchorage Daily Times, un quotidiano locale chiuso nel 1992, lo stesso anno in cui morì Marescalchi.

L’obiettivo sarebbe stato quello di liberare gli animali in natura per avviare una popolazione di pinguini in Alaska, ma da subito non sembrò una cosa fattibile. Quindi se ne fece carico un centro di ricerca di Anchorage, dove il 6 novembre del 1958 fu organizzata una specie di cerimonia di battesimo: i pinguini furono chiamati rispettivamente Egegik, come un piccolo comune nel sud-ovest dello stato, e Angela, un nome italiano. A entrambi venne dato il cognome Kinglea, che come spiegava la lettera voleva dire “ottimo amico”.

Sempre secondo la lettera i due pinguini «erano piuttosto felici nella loro nuova casa»: il piano però non andò come previsto. Tutti e due gli animali erano femmine, e anche volendo sarebbe stato impossibile creare una nuova colonia; inoltre il centro era impreparato a gestirle: erano state messe in una gabbia pensata per un alce da cui erano scappate con facilità, scrive Reamer, e in più non si sapeva esattamente cosa dar loro da mangiare. Dopo due mesi morirono durante un periodo di freddo particolarmente intenso e venti forti.

– Leggi anche: Un pinguino imperatore è arrivato per sbaglio in Australia

Ci sono testimonianze di pinguini avvistati al largo delle coste occidentali degli Stati Uniti sia negli anni Settanta che negli anni Ottanta, mentre nel luglio del 2002 un esemplare rimase impigliato nelle reti di un pescatore a ovest dell’isola di Noyes, sempre in Alaska. Secondo gli scienziati comunque è probabile che fossero arrivati fin lì perché trasportati illegalmente da navi provenienti dal sud.

La morte dei due animali portati in Alaska a fine anni Cinquanta indica che quello non era un ambiente adatto a loro. In Alaska vivono specie come orsi polari, foche e pulcinelle di mare, o puffin, che ricordano i pinguini ma hanno caratteristiche e abitudini diverse. I pinguini si sono evoluti in specifiche condizioni climatiche in varie zone dell’emisfero australe, e vivono lungo le coste, soprattutto in Antartide, motivo per cui non è corretto nemmeno dire che vivono al Polo Sud (che invece si trova all’interno del continente antartico). Per loro sono fattori di rischio sia temperature a cui non sono abituati, sia una differente distribuzione delle ore di luce, così come correnti oceaniche diverse da quelle che conoscono.