Le cose che fa Quarticciolo, dalla borgata per la borgata
La palestra, il doposcuola, l'ambulatorio e la microstamperia sono iniziative dal basso di un quartiere di Roma spesso raccontato in modo parziale
di Giulia Siviero
Subito dopo la liberazione dall’occupazione nazista di Roma, sull’Unità venne pubblicato un articolo su Quarticciolo, quartiere nella periferia est dove i soldati tedeschi non osavano neppure avvicinarsi per timore dei partigiani e della cosiddetta banda del Gobbo, che espropriava chi si era arricchito al mercato nero e distribuiva vettovaglie e beni di prima necessità alla popolazione affamata. L’articolo denunciava come quella borgata dalla storia coraggiosa fosse sprovvista di qualsiasi tipo di servizio sanitario, dell’elettricità e dei trasporti pubblici. Quarticciolo era insomma una di quelle nuove periferie nate durante il fascismo che aveva soltanto spostato più in là vecchie emergenze. La descrizione che potremmo darne oggi non è molto differente: come non sono lontani i racconti popolari sulla resistenza interna che in questo posto è riuscita a svilupparsi.
Da almeno otto anni in quartiere è attivo «Quarticciolo Ribelle», un progetto partito dall’apertura di una palestra popolare che ha poi avviato un doposcuola, un laboratorio di birrificazione, un ambulatorio e una microstamperia: qui non sono qualche cosa di marginale o di accessorio, ma attività che in molti ambiti si sostituiscono in modo determinante all’amministrazione pubblica nell’erogazione dei servizi. E che sono diventate, in assenza delle istituzioni, un punto di riferimento funzionale e funzionante per chi ci vive.
Quarticciolo nacque alla fine degli anni Trenta come “borgata ufficiale”, all’interno di un programma promosso dall’allora Istituto Fascista Autonomo per le Case Popolari (IFACP) e dal governatore di Roma, cioè il sindaco fascista. L’obiettivo del regime era creare degli insediamenti di edilizia «ultrapopolare», ma anche allontanare dai centri urbani le fonti di possibili tensioni. I primi alloggi furono assegnati alle famiglie numerose con almeno sette figli, poi a quelle con tanti figli in condizioni di bisogno e con benemerenze militari e politiche, il resto a vedove di guerra, mutilati e squadristi. Il quartiere si riempì davvero solo più tardi, con gli sfollati dei bombardamenti del luglio del 1943. E cambiò la propria storia diventando con il Quadraro, Centocelle, Torpignattara e il borghetto Alessandrino, uno dei centri della Resistenza contro l’occupazione tedesca di Roma.
Camminandoci in mezzo è evidente come il quartiere riprenda la pianta ortogonale degli accampamenti romani. È attraversato da due strade principali, il cardo (via Manfredonia) e il decumano (via Ostuni), che si incrociano in una piazza dove c’è un edificio a torre, la Casa del Fascio, utilizzato fino agli anni Ottanta come questura, poi abbandonato e occupato dal 1998. Tutt’intorno i blocchi residenziali, alti edifici in sequenza, formano a loro volta una successione di piccole piazze. Ci abitano circa 5mila persone, ma il quartiere sembra deserto.
Qualche settimana fa Quarticciolo Ribelle ha festeggiato gli otto anni della palestra popolare, cioè accessibile a tutte e a tutti in un posto dove gli spazi per fare sport sono stati chiusi. Non molto tempo fa dall’ex locale caldaie si è trasferita nella casa di quartiere di via Ugento, costruita cinquant’anni fa intorno a un traliccio. Vittorio, 77 anni, che qui chiamano “il boss”, racconta come prima, al suo posto, «non ci fosse niente. Abbiamo costruito tutto: il capannone per il campo da bocce con e per la gente che stava qua, piano piano, rimediando tutto, con collette per compra’ i materiali. Amo fatto tutto da noi». Sul muro esterno della casa c’è una grande scritta bianca su fondo azzurro che riassume quanto rivendica Vittorio e il lavoro politico di Quarticciolo Ribelle: «Dalla borgata per la borgata».
Ora nel capannone, al posto del bocciodromo, ci sono attrezzature, un ring, sacchi da box appesi, una bandiera di Cuba e un murale per ricordare Lorenzo Orsetti, ucciso in Siria nel 2019 dove era andato a combattere con i curdi dell’Unità di Protezione Popolare (YPG).
Da lì si racconta come vivere nella borgata sia sempre più difficile perché gli spazi abbandonati sono troppi, e troppi i progetti che il comune ha iniziato e lasciato a metà. I piani terra con le botteghe si sono svuotati e le saracinesche chiuse contribuiscono alla desertificazione del quartiere, alla percezione di insicurezza, alla mancanza di servizi e di economie locali: «Quarticciolo è stato abbandonato dalle istituzioni. Vogliamo serrande aperte, non piazze sorvegliate e deserte», dice Valerio, un attivista. «L’abbandono, la penuria, la precarietà ne attirano altrettanta ed è quello che lo Stato e il suo governo ci riservano. A tutto questo si può resistere, non ci si deve per forza piegare. Quello che abbiamo intrapreso è un percorso per creare possibilità nel deserto che ci circonda».
Quarticciolo, così come molte altre periferie d’Italia, è un posto raccontato in modo molto parziale, o male, dai giornali e dalle televisioni: come luogo malfamato, del degrado, delle risse, dei lanci di bottiglie, della «droga consumata alla luce del sole e dello spaccio», come si dice in uno dei tanti servizi fatti qui da Striscia la Notizia.
Eddi, che fa politica con il Quarticciolo Ribelle e si occupa del doposcuola, conferma che il quartiere è, come tanti altri posti, uno specchio di qualcosa che sta dilagando, che ha a che fare «con l’aumento della povertà, delle disuguaglianze, con lo spaccio o con l’epidemia di crack, cose che qui si vedono e che pesano. Ma quello che si vede, soprattutto, è l’incapacità dello Stato e delle istituzioni di occuparsi di tutto questo, Stato e istituzioni che mostrano la loro presenza solo moltiplicando la polizia in borgata o inviando lettere di sfratto». Insomma, i problemi sociali sono stati trasformati in questioni di ordine pubblico.
Tra una retata e l’altra a Quarticciolo rimangono chiuse e vuote la piscina di via Trani, le palazzine popolari di via Ugento perché la ristrutturazione è stata bloccata, l’asilo nido, i locali commerciali. Rimangono le case che cadono a pezzi, gli ascensori fuori uso, l’assenza di manutenzione ordinaria nelle palazzine, le sanatorie ferme da quattro anni, le infiltrazioni, l’immondizia sparsa ovunque, gli spazi verdi abbandonati all’incuria e gli alberi che non vengono potati. Rimangono molte case inagibili e dunque non assegnabili secondo le graduatorie dell’Ater, l’azienda del comune di Roma che gestisce l’edilizia residenziale. Finora è intervenuta spesso, ma solo per sgomberare.
Sono alcune delle conseguenze più visibili dell’abbandono delle amministrazioni pubbliche, spiegano alcune attiviste e attivisti: «E poi c’è tutto il resto». Per esempio c’è il fatto che nascere in una borgata come questa, come dicono i dati dell’ISTAT sul livello di istruzione del 2023, significa avere meno del 50 per cento di probabilità di terminare le scuole superiori. Chi vive qui «è un abitante di serie B», prosegue Valerio, reso invisibile o criminalizzato. La biblioteca non esiste più, le scuole che c’erano sono state chiuse e accorpate, «come in altre periferie e proprio in quei territori dove la scuola avrebbe un ruolo cruciale». Infine i presidi sanitari sono insufficienti, gli uffici pubblici sono intasati e con pratiche urgenti che ottengono risposta dopo mesi, e la burocrazia è più inefficiente rispetto a quella dei quartieri centrali.
Quel che qui c’è e che funziona, dice Eddi, «o l’hanno fatto le persone che ci vivono con le mani loro, o è merito dell’attivazione e della militanza dei movimenti» che accanto alle lotte di rivendicazione per lo stanziamento di risorse pubbliche hanno costruito dei presidi dal basso: per rendere le lotte collettive, per non farle ricadere sulle spalle delle singole persone «che passano la vita al telefono per parlare con gli uffici pubblici» e per fare quel che il comune non fa.
«L’alternativa allo spaccio l’hanno creata gli abitanti di Quarticciolo»: la palestra popolare dove si pratica pugilato agonistico, il doposcuola attivo tre giorni a settimana per sostenere bambine, bambini, ragazze e ragazzi con i compiti, il laboratorio di birrificazione dove si può imparare un mestiere, le mappature dei locali comunali vuoti che potrebbero essere riassegnati, i laboratori nelle scuole, le inchieste e le raccolte dati per conoscere i bisogni delle persone e affrontarli, lo sportello per il diritto alla casa e il CAF, l’assistenza per ottenere bonus e agevolazioni fiscali o la tutela burocratico-legale, e l’ambulatorio popolare in cui volontariamente lavora una trentina di persone. Ci sono uno sportello di medicina generale, uno psicologico e uno nutrizionale.
Giulia, antropologa medica in formazione, spiega che nel 2023 l’ambulatorio ha seguito un centinaio di persone, tra cui molti anziani che avevano rinunciato alle cure per problemi economici o per le lunghe liste di attesa, oppure stranieri senza permesso di soggiorno che vengono aiutati a chiedere il tesserino sanitario temporaneo con il quale possono poi provare ad accedere gratuitamente alle cure mediche.
Oltre a risolvere problemi e a fornire un sostegno concreto, l’ambulatorio cerca di portare avanti anche un lavoro differente, basato su un’idea di salute attenta al contesto e ai condizionamenti di chi vive in questo quartiere: la cattiva alimentazione, le pessime condizioni abitative, l’inaccessibilità allo sport, le muffe, l’amianto nelle case, l’inquinamento, «tutte cose che fanno in modo che l’aspettativa di vita di chi nasce nei quartieri del centro sia più alta di chi nasce a Quarticciolo», dice Giulia. Un’idea di salute, dunque, in cui la migliore cura è la prevenzione: «Prevenzione che facciamo organizzando incontri collettivi sui rischi cardiovascolari o sul miglioramento dello stile alimentare. Ma arginando la deriva punitiva sul cibo, senza lanciare messaggi normativi che trasmettano l’idea che l’assenza di salute è una colpa individuale».
Anche l’ambulatorio fa parte delle iniziative che cercano non solo di offrire un servizio al quartiere, ma di trasformarlo: «Attraverso la lotta», dice Giulia, «cerchiamo di costruire possibilità di formazione e di lavoro».
Striscione accanto all’ex locale caldaie di Quarticciolo dove si trova l’ambulatorio popolare (Il Post)
Tra gli ultimi progetti avviati a Quarticciolo c’è la Microstamperia che si trova in un locale affacciato su una strada poco lontano dalla casa di quartiere: ci lavorano Riccardo, Virginia, Helena, Paolo, Simona, che sono illustratrici, illustratori, insegnanti di disegno, diplomati all’accademia di belle arti o parte del mondo dell’accademia.
Tutto quel che esce da qui è stampato in risograph, macchina erede del ciclostile inventata in Giappone nel 1986 che utilizza inchiostri a base di soia e matrici in fibra di banano. Consuma pochissima energia perché il processo avviene a freddo, ha costi sostenibili e permette una stampa rispettosa dell’ambiente. Il nome non dipende dall’utilizzo di fogli in carta di riso, bensì dalla parola giapponese “riso”, che significa “ideale”. La Microstamperia ha potuto comprare la risograph grazie a un bando finanziato dalla Regione Lazio.
La Microstamperia nasce per educare e formare, sulla base dei principi della riproducibilità, dell’autoproduzione e della creazione di una comunicazione popolare. Cielo Stampato per esempio è la prima pubblicazione di una collana editoriale chiamata “Come si fa Cosa serve”, che fornisce gli elementi essenziali per poter riprodurre il lavoro. È il frutto di un laboratorio di stampa serigrafica per le scuole medie e elementari. «Non c’è una stella giusta o una stella sbagliata, sono tutte diverse, e il libro nasce dalla collaborazione tra studenti, ma anche tra adulti, per organizzarle nel cielo», dice Riccardo.
Romanzo del pratone è invece un racconto collettivo scritto da decine di studenti di diverse età e genitori della scuola media Rugantino di Torre Spaccata, per immaginare un futuro diverso dell’area, con meno cemento. Tra le pubblicazioni ci sono poi Storie partigiane, con i racconti popolari che tuttora caratterizzano la memoria della Resistenza nella parte est di Roma, mentre La logica della ferocia del sociologo francese Mathieu Rigouste ragiona sul ruolo e sul posizionamento della polizia nelle periferie delle metropoli occidentali.
Ma la Microstamperia ha prodotto anche un Giornale murale con il racconto delle lotte del Quarticciolo Ribelle, organizza workshop per capire come raccogliere dati dal basso e diffonderli, per realizzare delle fanzine o per imparare a preparare e a stampare degli opuscoli senza strumenti digitali. E ha avviato una nuova collana editoriale tascabile, fatta di saggi, racconti o poesie. Si chiama “Dante”, il cui ritratto sta sulla moneta da 2 euro, che è anche il prezzo di questi opuscoli spillati ed economici, perché il punto irrinunciabile per chi fa politica qui è che tutto possa arrivare e debba arrivare a tutte e tutti.