• Domenica 17 novembre 2024

La fine dell’Hotel Jugoslavia

Fu uno dei simboli di Belgrado e della Repubblica Socialista di Tito: venerdì è cominciata la demolizione vera e propria, fra molte proteste

Una vista dell'Hotel Jugoslavia a Belgrado, Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic)
Una vista dell'Hotel Jugoslavia a Belgrado, Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic)
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A Belgrado è cominciata venerdì, nonostante le proteste, la demolizione dello storico Hotel Jugoslavia, edificio che fu a lungo simbolo della Repubblica Socialista, che ospitò capi di stato e personaggi famosi e che fu colpito da un bombardamento NATO nel 1999. L’hotel fu costruito nel 1960 ed entrò ufficialmente in funzione nel 1969 come albergo a cinque stelle, uno dei più lussuosi della ex Jugoslavia e uno dei più grandi d’Europa, con i suoi mille posti letto. È stato un simbolo di Belgrado, chiuse una prima volta nel 2006, ma riaprì in parte nel 2013: fino a pochi mesi fa era attivo, nonostante gran parte dell’edificio originario fosse abbandonata e in pessime condizioni, piena di graffiti, con finestre rotte e pezzi di arredamento distrutti.

Da venerdì è cominciata la sua totale demolizione: verrà sostituito da una nuova costruzione, che prevede due torri di 150 metri, al cui interno ci sarà un altro albergo, un’area residenziale e una di uffici.

Chi ha provato a opporsi alla demolizione ricordava come fosse un pezzo di storia della città. Il presidente jugoslavo Jozip Tito lo volle come hotel di rappresentanza dopo aver ospitato nel 1961 il primo summit dei «paesi non allineati»: erano gli stati che non intendevano schierarsi con uno dei due blocchi, quello capitalista che faceva riferimento agli Stati Uniti e quello comunista nell’orbita dell’Unione Sovietica. L’hotel fu progettato da alcuni dei migliori architetti modernisti del paese e sorgeva quasi alla confluenza dei fiumi Sava e Danubio, in un quartiere, Nuova Belgrado, che si sviluppò in quegli anni e che si proponeva come un altro simbolo della nuova Jugoslavia di Tito.

Quando aprì aveva camere su sette piani, ed era arredato con moquette rossa, poltrone di velluto, grandi tende, mobili e quadri di pregio: la suite presidenziale era rivestita in legno, le stoviglie erano dorate o argentate. L’elemento più noto era però il lampadario centrale della hall, uno dei più grandi al mondo, composto da 40.000 cristalli Swarovski e 5.000 lampadine: sarà anche l’unica cosa a sopravvivere alla demolizione, perché verrà riutilizzato nel nuovo edificio.

A partire dal 1969 l’Hotel Jugoslavia ospitò le famiglie reali olandese e belga, la regina britannica Elisabetta II, i presidenti statunitensi Richard Nixon e Jimmy Carter, gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin, la cantante Tina Turner (fra gli altri).

Continuò a funzionare anche dopo la fine della Jugoslavia. Nel 1999 fu colpito dal bombardamento della NATO sulla capitale serba, nell’ambito dell’intervento militare in Kosovo, deciso per porre fine a una deliberata campagna di pulizia etnica portata avanti dall’allora presidente serbo Slobodan Milošević contro la popolazione musulmana di origine albanese del Kosovo.

Da allora ne fu restaurata e utilizzata solo una parte. Nel 2006 fu venduto dallo stato a un’azienda privata, che però dichiarò bancarotta poco dopo. Nel 2011 fu escluso da una lista di edifici destinati a diventare “monumento nazionale”, nel 2013 riaprì parzialmente e infine a marzo è stato venduto durante un’asta alla MV Investment per circa 27 milioni di euro. La società è una controllata della Millennium Team, una grossa azienda del settore delle costruzioni con una lunga storia di collaborazione con il Partito Progressista Serbo.

Da quando sono stati presentati i progetti della nuova costruzione, che prevedeva la demolizione completa delle vecchie strutture, ci sono state numerose proteste da parte di chi voleva salvaguardare la memoria storica della città, ma anche dai residenti della zona, che si oppongono alla costruzione di altri grattacieli. Belgrado ha avuto negli ultimi anni uno sviluppo molto “verticale” con problemi di aumento della densità abitativa e di diminuzione della luce a disposizione per le case più basse presenti in prossimità delle nuove costruzioni. Le proteste non sembrano però aver fermato i progetti.