Su chi governerà Gaza ci sono tante opinioni, ma nessuna soluzione
Ora si parla di un accordo tra Hamas e Fatah per un governo tecnico, ma è solo l'ultima di una serie di ipotesi molto vaghe
Negli ultimi giorni, dapprima sui giornali in lingua araba e poi sul resto della stampa internazionale, si è cominciato a parlare di come Hamas e Fatah, le due principali forze politiche palestinesi, stiano discutendo sulla formazione di una specie di governo tecnico palestinese per governare la Striscia di Gaza dopo la fine della guerra. Il tema di cosa verrà dopo è molto importante e se ne discute in termini generali da oltre un anno, anche perché Israele non ha chiarito le sue intenzioni.
Hamas è il gruppo radicale che ha governato la Striscia di Gaza fino all’inizio della guerra, e che si è reso responsabile dell’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. Fatah è un gruppo più moderato che governa in Cisgiordania, e che domina l’Autorità nazionale palestinese, cioè il governo palestinese riconosciuto dalla comunità internazionale. Hamas e Fatah sono in lotta da decenni: i due gruppi combatterono fra loro una guerra civile nel 2007 per il controllo della Striscia di Gaza, che Hamas riuscì a vincere scacciando Fatah dalla regione. Da allora i gruppi hanno contatti costanti, ma sono di fatto rivali e nemici.
Secondo fonti citate dal Wall Street Journal, i due gruppi avrebbero trovato un accordo che prevede che una volta terminata la guerra vengano formate due entità: una commissione per la ricostruzione e un governo tecnocratico e apolitico, formato da palestinesi ma non affiliato formalmente né a Hamas né a Fatah.
Questa soluzione consentirebbe a entrambi i gruppi di mantenere una certa influenza su Gaza e al tempo stesso risolverebbe loro vari problemi.
Hamas, ovviamente, non potrebbe tornare a governare sulla Striscia di Gaza, perché non lo accetterebbero né i paesi arabi né gli Stati Uniti né tantomeno Israele. Fatah in teoria potrebbe ottenere il sostegno internazionale – degli Stati Uniti, per esempio – ma c’è il problema che non ha praticamente nessun tipo di legittimità tra la popolazione della Striscia. Con un governo tecnocratico appoggiato all’esterno da entrambi i gruppi, Hamas eviterebbe di sparire e Fatah potrebbe entrare a Gaza da una posizione di autorevolezza.
Ma, come è ovvio, questo tipo di accordi dipende da fattori che vanno ben oltre Hamas e Fatah.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sostiene da tempo che Israele non consentirà né ad Hamas né a Fatah di governare la Striscia di Gaza, ed è improbabile che un governo di tecnici promosso da entrambi i gruppi possa andargli bene. Israele, finora, non ha reso pubblici piani dettagliati su chi e come dovrebbe governare la Striscia di Gaza dopo la fine della guerra.
Ormai diversi mesi fa, a febbraio, Netanyahu aveva fatto circolare una bozza di piano molto generica, in cui si parlava della necessità di demilitarizzare Gaza, della creazione di una “zona cuscinetto” dentro tutta la Striscia e che prevedeva per Israele il diritto di assumere il «controllo sulla sicurezza» non soltanto della Striscia di Gaza, ma anche di tutta la Cisgiordania e di Gerusalemme Est, cioè dei territori che secondo gli accordi di pace dei decenni passati sarebbero di pertinenza dei palestinesi.
Secondo quel vecchio piano la Striscia di Gaza avrebbe dovuto essere amministrata da «funzionari locali» che non fossero legati a «paesi o entità che sostengono il terrorismo»: Netanyahu non ha mai fatto riferimento a chi intendesse, ma in numerose dichiarazioni in questi mesi ha detto di non volere né Hamas né Fatah al governo della Striscia.
Nei mesi successivi i media hanno pubblicato altri piani o comunque ipotesi avanzate dentro all’amministrazione israeliana per il futuro di Gaza. Si è parlato per esempio della possibilità di creare delle “bolle”, cioè di dividere la Striscia di Gaza tra aree a cui la popolazione civile ha accesso e aree militari in cui l’esercito israeliano avrebbe mano libera.
Questo è in parte quello che sta già succedendo nel nord della Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano sta cercando di far evacuare forzatamente tutti i civili e dove non sembra intenzionato a farli tornare in tempi brevi.
Una ulteriore ipotesi di cui si parla molto in Israele, e a cui fanno riferimento spesso i ministri più estremisti del governo già molto estremo di Netanyahu, è quella di un’occupazione militare della Striscia di Gaza, e perfino del ritorno di coloni israeliani che si stabiliscano nella regione. Questa ipotesi non è sostenuta ufficialmente dal governo di Israele, ma potrebbe diventare più probabile dopo l’arrivo di Donald Trump al governo degli Stati Uniti.
L’altro fattore importante da considerare sono proprio gli Stati Uniti: pur tra molti fallimenti, per ora l’amministrazione di Joe Biden ha sempre insistito molto sulla necessità che dopo la guerra la Striscia di Gaza torni a essere governata da palestinesi, e che non debba essere occupata militarmente da Israele. Trump non si è pronunciato in proposito, ma non è da escludere che le sue posizioni saranno più permissive.
Al momento, tuttavia, dagli Stati Uniti dipende anche un accordo di cessate il fuoco: i negoziati sono di fatto fermi, ed è probabile che le parti stiano aspettando che si insedi una nuova amministrazione.