La crisi in Germania sta già facendo male all’Europa dell’Est

È dove si trovano i paesi più dipendenti dall'industria tedesca, che ora sta rallentando e mettendo tutti in difficoltà

Il primo ministro ungherese Viktor Orban (Omar Marques/Getty Images)
Il primo ministro ungherese Viktor Orban (Omar Marques/Getty Images)

Le economie dei paesi dell’Europa dell’Est – come Ungheria, Romania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia – stanno iniziando a mostrare segnali di rallentamento a causa della crisi economica tedesca: la Germania è il più importante partner commerciale per più della metà dei paesi membri, con i quali ha integrato la sua industria e ha condiviso processi, materie prime e lavoratori, e i paesi dell’Europa dell’Est sono tra i più esposti.

Questi paesi hanno uno sviluppo economico relativamente recente, ottenuto in gran parte dopo l’adesione all’Unione Europea, che ha dato loro l’accesso al mercato comune e notevoli benefici: soprattutto li ha fatti diventare luoghi di destinazione di grandi quantità di investimenti esteri da parte di quelle aziende che cercavano posti con manodopera a basso costo dove aprire nuove sedi e trasferire certe attività, soprattutto industriali e in buona parte tedesche. Ora la produzione industriale è in calo e il Prodotto Interno Lordo, la stima migliore per osservare l’andamento generale dell’economia, ha perso lo slancio che aveva avuto negli ultimi anni, quando questi paesi sono cresciuti molto.

Questo è successo soprattutto nel settore delle auto, con grandi aziende europee che hanno costruito stabilimenti dove trasferire i processi meno specializzati. Oggi il settore automobilistico pesa all’incirca il 15 per cento del PIL in Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria. Un caso particolare è rappresentato dalla Slovacchia, dove la quota arriva vicino a un terzo: è il paese che produce più automobili al mondo in rapporto alla popolazione. Volkswagen e Stellantis, tra le altre, hanno grossi impianti nell’Europa dell’Est, ma ora queste regioni sono diventate interessanti anche per le grandi aziende cinesi di auto, che cercano produttori vicini al mercato europeo anche con l’obiettivo di aggirare i dazi imposti dall’Unione Europea sulle auto elettriche provenienti dalla Cina.

Tutto ciò ha garantito a questi paesi un certo grado di crescita e sviluppo, con un conseguente aumento del tenore di vita degli abitanti: secondo recenti stime del Fondo Monetario Internazionale gran parte di questi paesi entro il 2030 arriverà vicino agli standard di Italia e Spagna in termini di PIL procapite, misurato ovviamente in parità di potere d’acquisto, cioè livellate le differenze del costo della vita.

Quello che però ha garantito crescita e sviluppo si sta rivelando ora problematico: la crisi della Germania parte dalla sua industria, ed è simboleggiata dalle difficoltà di Volkswagen, forse l’azienda più rappresentativa dell’industrializzazione del paese, che ha già annunciato la volontà di chiudere alcuni stabilimenti. Di riflesso la produzione industriale è calata nei paesi dell’Est: rispetto a ottobre del 2023 a ottobre di quest’anno è risultata in calo del 5,8 per cento in Ungheria, del 3,8 in Romania e dell’1,3 in Polonia. Negli altri paesi è risultata ancora in crescita, ma la tendenza generale è in rallentamento.

Il riflesso di tutto ciò sul PIL di questi paesi è ancora lieve. Sia perché serve del tempo perché il rallentamento si trasmetta dall’industria all’intera economia, sia perché secondo gran parte delle previsioni la crescita economica degli ultimi anni è molto legata al buon andamento dei consumi interni, che beneficiano ancora del maggiore benessere che la crescita ha garantito finora agli abitanti.

Le stime più recenti della Commissione Europea registrano un calo della crescita economica di questi paesi già nel 2024, mentre dovrebbe tornare ad aumentare nel prossimo anno. I tassi di crescita, rispetto a quelli dei paesi più grandi, sono comunque buoni: nel 2024 la Polonia crescerà del 3 per cento, la Slovacchia del 2,2, la Romania dell’1,4, la Repubblica Ceca dell’1. Quella che va peggio è l’Ungheria, che crescerà dello 0,6 per cento.

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