Il messaggio di Arecibo ha 50 anni

Il più famoso tentativo di comunicare con eventuali intelligenze extraterrestri è ancora in viaggio e racconta qualcosa di noi

Il messaggio di Arecibo e sullo sfondo la Via Lattea (ESO/S. Brunier)
Il messaggio di Arecibo e sullo sfondo la Via Lattea (ESO/S. Brunier)
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Il 16 novembre di cinquant’anni fa la grande antenna del radiotelescopio di Arecibo, sull’isola di Porto Rico, trasmise uno dei messaggi radio più famosi della storia per provare a comunicare con gli alieni. La comunicazione fu inviata verso l’ammasso globulare di Ercole (M13) a 25mila anni luce di distanza da noi, per dimostrare sia le capacità del radiotelescopio sia quella della nostra specie di mettersi in contatto con qualcuno nell’Universo in grado di ascoltare.

Il contenuto del messaggio era stato deciso dall’astrofisico Frank Drake, noto per essere stato il fondatore del SETI (il programma scientifico dedicato alla ricerca di vita extraterrestre) insieme ad altre personalità, come lo scienziato e divulgatore scientifico Carl Sagan. La matematica era stata scelta come forma di linguaggio comune per provare a farsi capire da un’ipotetica specie aliena, che non avrebbe probabilmente utilizzato i nostri modi di comunicare: due più due fa del resto sempre quattro, in qualsiasi parte del Cosmo.

Il messaggio di Arecibo è formato da 1.679 cifre binarie, cioè il frutto del prodotto di 23 e 73, due numeri primi. Drake, Sagan e gli altri scelsero quel numero di cifre perché pensarono che se una forma di vita intelligente avesse deciso di ordinarlo in un quadrilatero avrebbe potuto farlo solamente producendone uno di 23 colonne e 73 righe o di 23 righe e 73 colonne: in quest’ultimo caso non avrebbe ottenuto nulla di sensato, mentre nel primo si sarebbe accorta di poter dare un senso all’informazione.

Decodificando il messaggio di Arecibo si ottiene infatti un’illustrazione molto semplice che schematicamente rappresenta ciò che siamo. Nella prima parte della griglia sono elencati i numeri da 1 a 10 in formato binario, seguiti dai numeri atomici degli elementi idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo. Seguono poi indicazioni sulle caratteristiche molecolari del DNA, una rappresentazione di un essere umano e, molto stilizzata, una rappresentazione grafica della popolazione della Terra. Infine sono mostrati il Sole con i suoi pianeti (compreso Plutone, ora non più considerato un pianeta vero e proprio) e la grande antenna dell’osservatorio di Arecibo che aveva reso possibile l’invio del messaggio.

Il messaggio è ancora in viaggio e in 50 anni ha percorso una frazione minuscola della distanza di 25mila anni luce tra noi e M13. All’epoca fu scelto proprio quell’ammasso globulare perché comprende centinaia di migliaia di stelle, di conseguenza c’era una maggiore probabilità che ce ne fosse almeno una con un pianeta che orbitava alla giusta distanza da una stella per rendere possibile la vita (oggi sappiamo che ci sono migliaia di pianeti fuori dal nostro sistema solare, ma non abbiamo la certezza sulla possibilità che alcuni possano ospitare la vita, almeno per come la conosciamo). Anche nel caso in cui fosse effettivamente captato da qualcuno in grado di risponderci nei paraggi di M13, potremo ricevere un messaggio di risposta non prima di 50 mila anni.

M13 (Sid Leach/Adam Block/Mount Lemmon SkyCenter via Wikimedia)

Drake, Sagan e gli altri erano naturalmente consapevoli di questi limiti e l’invio del messaggio in quell’autunno del 1974 fu per lo più simbolico, in occasione delle rinnovate capacità di trasmissione del radiotelescopio di Arecibo. Un paio di anni prima, Sagan aveva lavorato alla preparazione di una targa da applicare sulla sonda Pioneer 10 della NASA, che conteneva un’illustrazione schematica della nostra posizione nell’Universo e degli esseri umani. La stessa placca sarebbe stata inserita sulla seguente missione della Pioneer 11 e fu in un certo senso il prototipo di un progetto più articolato, il cosiddetto “Golden Record”, che fu montato nel 1977 sulle sonde Voyager 1 e 2, che ancora oggi stanno esplorando i confini del nostro sistema solare.

Douglas Vakoch, presidente del METI International, un’organizzazione senza scopo di lucro impegnata nelle comunicazioni extraterrestri, ha ricordato l’anniversario del messaggio di Arecibo in un articolo di opinione sul New York Times, sostenendo l’importanza dell’esperienze di questo tipo:

Viviamo in tempi strani e precari, segnati di continuo da guerre, una crisi climatica globale e da sentimenti polarizzati sullo stato del mondo. In un momento storico come questo, con le preoccupazioni terrestri che ci lacerano, cosa succederebbe se guardassimo al cielo per trovare un motivo di speranza? Sapere che un’altra civiltà sta sopravvivendo alle proprie difficoltà potrebbe rassicurarci. E mentre speriamo di riuscire a scoprire e contattare altre forme di vita, anche concludere che siamo soli nell’Universo potrebbe essere una rivelazione importante per tenere unita la nostra specie.

Vakoch sostiene che ci si dovrebbe concentrare nell’invio dei messaggi verso obiettivi più vicini come Proxima Centauri, che si trova a circa quattro anni luce dal nostro sistema solare. Ciò ridurrebbe gli eventuali tempi di comunicazione e inoltre permetterebbe di captare più facilmente un eventuale messaggio di risposta. Dal messaggio di Arecibo, comunque, sono stati inviati diversi altri messaggi interstellari verso corpi celesti relativamente più vicini, e uno potrebbe raggiungere il proprio obiettivo tra poco più di quattro anni.

L’antenna del radiotelescopio presso l’osservatorio di Arecibo (© El Nuevo Dia de Puerto Rico via ZUMA Press / ANSA)

Il messaggio inviato nel 1974 è intanto sopravvissuto a ciò che rese possibile la sua partenza dalla Terra. Il radiotelescopio di Arecibo è ormai inutilizzabile a causa di alcuni crolli catastrofici della sua gigantesca antenna larga 305 metri avvenuti nel 2020. La struttura è ormai inservibile e nel 2022 l’agenzia governativa statunitense NSF (National Science Foundation) ha deciso di non ricostruirla né di procedere alla costruzione di un osservatorio simile nella stessa zona.

La struttura divenne famosa verso la fine degli anni Novanta grazie al film Contact di Robert Zemeckis con Jodie Foster. Era ispirato al romanzo dallo stesso titolo pubblicato nel 1985 da Sagan e raccontava il primo ipotetico contatto tra gli esseri umani e una specie aliena, affrontando soprattutto le implicazioni sul piano etico e religioso di questa scoperta. Per ora, appunto, solo in un romanzo.